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I batteri e i confini dell'Io

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Quando crescevo dentro mia madre, il mio Io era chiaramente definito: tutte le cellule del mio corpo avevano lo stesso patrimonio genetico. Ma non appena ho lasciato il protettivo grembo materno, i batteri hanno iniziato a colonizzarmi: in poche settimane hanno invaso la superficie della mia pelle, la mucosa del mio naso, quella della mia bocca, quella del mio tratto digerente. Oggi, io sono formato da circa 10.000 miliardi di cellule umane, e da un numero da 10 a 20 volte maggiore di cellule batteriche. Questi batteri sono parte di me o sono solo parassiti? Dove termina il mio Io?

Siccome i batteri sono molto più piccoli delle cellule umane, essi sono solo una percentuale minore del mio peso totale: circa 1 o 2 kg. Sono una piccola popolazione molto eterogenea di 500 specie diverse che abita sulla mia pelle. E sembra che di esse alcune vivano solo su di me, e che quindi contribuiscano alla mia identità molecolare.

Molti di questi batteri sono importanti anche per il benessere del mio patrimonio genetico: tengono lontani da me altri batteri nocivi, promuovono lo sviluppo del sistema immunitario durante i miei primi anni di vita, hanno fornito, a me bambino affamato al tempo della guerra, elementi importanti per la vita come la Vitamina K, la vitamina B12, l’acido folico. Sanno costruirli da composti più semplici, il mio corpo invece non lo sapeva fare, né il loro fabbisogno poteva essere compensato dal cibo, date le restrizioni del tempo di guerra. Forse, l’abilità sintetica dei batteri mi ha talvolta salvato la vita.

Ma non tutti i “miei” batteri sono pacifici. Finché sono in buona salute e vivo in modo ragionevole, il mio sistema immunitario li tiene sotto controllo. Se questa difesa viene meno perché mi nutro in modo errato, lavoro troppo, o combatto un’infezione virale, una di queste specie batteriche può improvvisamente moltiplicarsi in modo massiccio, liberando veleni, e danneggiandomi acutamente. Anche le ferite aperte ostacolano la collaborazione tra me ed i “miei” batteri poiché permettono l’accesso dei batteri nocivi al mio sangue ed ai miei tessuti, dove possono scorrazzare e moltiplicarsi senza controllo. E se io non mi pulisco regolarmente i denti, colonie di vari tipi di batteri della bocca svilupperanno una patina solida e danneggeranno lo smalto dei miei denti con gli acidi che producono.

Tutti gli  animali che conosciamo ospitano batteri, e molti di essi non potrebbero nemmeno vivere senza di essi. Ne sono esempi particolarmente convincenti gli insetti che si nutrono solo della linfa di certe piante. La linfa è un nutrimento incompleto, dato che non contiene molti degli aminoacidi che sono necessari per la sintesi delle proteine. Questi insetti non sanno costruirseli da soli, mentre lo sanno fare i “loro” batteri: sono loro a fornire  il materiale che permette agli invertebrati di continuare a vivere. Da milioni di anni questi insetti vivono con i “loro” batteri, e li trasmettono alla progenie attraverso le uova assieme al loro patrimonio genetico.

Nessuno padroneggia l’arte di vivere  questa vita in comune meglio dei batteri del genere Wolbachia. Vivono  in almeno un quarto di tutte le specie di insetti che ci sono note, ma anche in molti vermi, crostacei, e ragni:  sono forse i parassiti di maggior successo del nostro pianeta. Molti organismi che ospitano i Wolbachia possono vivere anche senza di essi, ma ne ricevono comunque composti  che non sanno costruirsi da soli e che non trovano in quantità adeguate nelle loro sorgenti di cibo. Presumibilmente, milioni di anni fa i Wolbachia hanno infettato alcuni organismi, e non li hanno più abbandonati. Da scrocconi quali sono, si sono persino potuti permettere di perdere circa i tre quarti del loro patrimonio genetico, senza che la loro capacità di riprodursi ne risentisse. Questo è stato possibile perché essi venivano “ereditati” attraverso le uova della madre, modificando a proprio vantaggio la vita sessuale della progenie derivante dalla madre da loro infettata.

A seconda del tipo di Wolbachia e di insetto coinvolti, i maschi possono soccombere prima dell’uscita dall’uovo, o venir convertiti in femmine, o resi inutili generando femmine sterili. In altri casi ancora, i maschi attaccati dal batterio possono procreare solo accoppiandosi con femmine a loro volta infettate. Lo scopo dell’intera operazione è di favorire la presenza nell’ambiente di femmine infettate, avvantaggiandole rispetto ai maschi ed alle femmine non infettate, e quindi favorendone la moltiplicazione attraverso le uova infettate. I Wolbachia farebbero impallidire d’invidia lo stesso Niccolò Machiavelli! Forse, nel corso dei prossimi milioni di anni, il batterio cederà una parte sempre più cospicua del suo patrimonio ereditario all’ospite, trasformandosi in un normale organello cellulare che non conserverà più alcuna traccia della sua origine batterica.

Anche in me vivono i discendenti di batteri che hanno infettato i miei progenitori un miliardo e mezzo di anni orsono e che vi si sono annidati permanentemente. Hanno imparato a bruciare materiali organici con l’aiuto dell’ossigeno liberando grandi quantità di energia, inventando così la respirazione cellulare. All’inizio, questi parassiti “respiranti” hanno fornito alle cellule ospite l’energia necessaria per sviluppare forme di vita più complesse. Alla fine, le cellule ospite dei miei progenitori si sono impadronite di più del 99% del patrimonio genetico dei loro ospiti respiranti, che ora  possiedono solo un patrimonio genetico estremamente ridotto. Così questi intrusi respiranti sono divenuti i mitocondri delle mie cellule. E la minuscola parte del loro patrimonio genetico che è sopravissuta, e che rappresenta il mio secondo genoma, quello mitocondriale, ora contiene solo le istruzione per la sintesi di 13 proteine. Ma questo mio secondo genoma, anche se è molto più piccolo di quello del nucleo, è nondimeno di importanza vitale. I miei mitocondri non sono più in grado di vivere indipendentemente, né di infettare altre cellule, ma sono ereditati, come lo sono i Wolbachia, attraverso le uova materne. Per i maschi della specie umana, i mitocondri sono invece un vicolo cieco: io non ho potuto trasmettere i miei mitocondri a nessuno dei miei figli.

Il mio corpo contiene da 5 a 7 kg di mitocondri. Siccome essi sono stati in me sin dall’inizio, io li considero parte del mio Io. Però, ora che ne conosco l’origine, non sono più così sicuro. E se penso ai 2 o 3 kg di batteri che mi hanno colonizzato dopo la nascita, i confini del mio Io divengono confusi. Forse è bene che sia così. Chi prende il proprio Io troppo sul serio, e ne difende sospettosamente i confini, non riesce evidentemente  a percepire la grande varietà dell’Universo, ed è schiavo di un modo stantio di pensare alle origini. E questo non vale solo per i singoli individui, vale anche per i popoli, per le Nazioni, per le culture. Chi prende il proprio Io come misura di tutte le cose, e la supremazia dell’uomo nel creato e  la propria visione del mondo come le sole verità, dimentica  la storia degli ultimi secoli, in cui la Terra era considerata il centro dell’Universo.

Pur rendendo più indefiniti i confini del mio Io, la biologia moderna non lo sminuisce, gli dona anzi più ampie dimensioni e maggiore profondità.


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