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Un calendario di chiusure programmate contro il coronavirus

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Per ridurre l'inefficacia di una "navigazione a vista" contro Covid-19, l'epidemiologo Rodolfo Saracci propone un calendario di lockdown, alternati con periodi con restrizioni minori, che prevengano nuove ondate con alta mortalità. La vaccinazione, infatti, non basterà a estinguere la pandemia.

Immagine: Pixabay License.

Tempo di lettura: 8 mins

Navigare a vista

Il 26 settembre 2020 i premi Nobel della Banca di Svezia per l’economia Esther Duflo e Abhijit Banerjee, docenti al Massachusets Institute of Technolgy, avanzavano ne Le Monde1 la proposta di un «lockdown» («confinement») nazionale su tutta la Francia per dicembre durante il periodo di tre settimane dell’Avvento. Obiettivo: frenare fortemente la circolazione del virus della Covid-19 e permettere alla popolazione francese di trascorrere le vacanze natalizie se non in condizioni normali almeno senza troppe restrizioni ai contatti interpersonali e ai viaggi. Il giorno successivo il Ministro della Sanità francese Olivier Véran esprimeva con chiarezza il suo parere in proposito.2 Dopo aver giudicato lo scenario delineato da Duflo e Banerjee come «dell’ordine della predizione» continuava: «Io non mi proietto a due mesi per fare dei piani sulla cometa, mi proietto giorno per giorno con la mia batteria di cifre…non ci sarà nessun confinamento anticipato di tre settimane», confermando esplicitamente come ministro (non so cosa pensasse come medico) quanto i due economisti avevano scritto: «Il governo naviga a vista tra gli scogli».

Lo stesso modo di navigazione continua a essere praticato tuttora in Francia (dove l’8 febbraio si sono contati 20.000 nuovi contagi e 416 decessi)3, ed è stato ed è condiviso da un gran numero di paesi, in particolare in Europa, da quando nel maggio 2020 si sono allentati gradualmente i «lockdown» imposti per bloccare la prima ondata dell’epidemia. L’approccio si concretizza nel regolare il tipo e l’intensità di interventi di controllo dell’epidemia con procedure informali o formali (algoritmi) basate sulla evoluzione epidemica presuntiva a distanza di giorni o al massimo di qualche settimana, stimata attraverso un insieme di indicatori (indice Rt, incidenza di nuovi contagi, occupazione di letti ospedalieri di varie categorie, ecc.).

Cosa si osserva in Italia da quando, maggio 2020, vige essenzialmente questo stesso modo di navigazione? Per effetto del «lockdown» di due mesi (metà marzo – metà maggio) il numero di nuovi contagi giornalieri era arrivato a ridursi fino a poco meno di 250 al giorno3 per tutto il territorio nazionale tra il 15 giugno e il 15 luglio e il numero di consecutivi decessi oscillava tra il 15 luglio e il 15 agosto intorno ai 15 al giorno. Se il pilotaggio a vista fosse stato in grado di contenere a questo livello i decessi giornalieri si sarebbero registrati in tutto nei 192 giorni intercorrenti tra il 31 luglio e oggi 2.880 decessi: di fatto all’8 febbraio 2021 i decessi sono 56.439, quasi venti volte di più. Come nel novembre scorso ha sottolineato in una intervista Alberto Mantovani4: «Siamo stati i più bravi al mondo a combattere un’ondata violentissima, avremmo potuto diventare come Giappone e Corea con l’epidemia sotto controllo. E invece abbiamo dissipato tutti gli sforzi» (ha anche aggiunto, ciò che oggi è attualissimo: «Non vorrei che l’idea del vaccino vicino ci spingesse all’irresponsabilità come la scorsa estate»). La navigazione a vista è composta da un pacchetto di elementi che vanno dal numero e idoneità degli indicatori usati per stimare l’evoluzione dell’epidemia alla tempistica delle prese di decisioni alla adeguatezza degli interventi da applicare a livello individuale e collettivo e, infine, alla loro messa in atto come effettivamente realizzata.

A mia conoscenza non esiste ancora una analisi di come ciascuno di questi elementi abbia concorso, di per sé e congiuntamente, a far sì che la mortalità cumulata dalla scorsa estate, l’indice più diretto del peso dell’epidemia sulla salute della popolazione, sia stata pur in assenza di cambiamenti nella trasmissibilità e virulenza del coronavirus quasi venti volte superiore a quella che avrebbe potuto essere nella migliore delle ipotesi. Ci si può in particolare domandare cosa si sia osservato dopo l’introduzione il 6 novembre 2020 del sistema formale di navigazione delle zone colorate, basato su un complesso di 21 indicatori. Un’analisi condotta da un gruppo di lavoro dell’Associazione Italiana di Epidemiologia5 sui dati di undici regioni indica una netta riduzione dell’incidenza di nuovi contagi nelle regioni «rosse», quelle in cui sono entrati in vigore i provvedimenti più restrittivi per frenare l’epidemia, mentre i risultati per le regioni arancione e gialle sono meno chiari. A livello nazionale i decessi hanno cominciato a decrescere a partire da un mese dall’introduzione del sistema, cioè dall’inizio di dicembre, con un andamento abbastanza uniforme da circa 740 al giorno fino ai 391 dell’8 febbraio3. A questo punto restano aperte due domande-chiave:

  1. è il sistema come configurato in grado di far scendere l’incidenza dei nuovi contagi e dei decessi fino a livelli prossimi a quelli dell’estate 2020, per evitare che partendo da livelli sostanzialmente più elevati (come i quasi 12.000 nuovi contagi e 390 decessi giornalieri attuali) anche una lieve accelerazione dell’epidemia si traduca subito in numeri assoluti importanti?
  2. un sistema che prevede di cambiare ripetutamente, in stretta dipendenza dall’evoluzione degli indicatori, le misure collettive di contrasto all’epidemia da blande a molto stringenti e viceversa (a «yo-yo»), per quanto tempo è realisticamente sostenibile?

L’opzione alternativa: programmare gli interventi nel calendario

Si può subito escludere che la risposta alle domande possa risiedere nell’«immunità di comunità» ottenibile con le vaccinazioni. Quanto è stato ripetuto moltissime volte, e cioè che un livello di vaccinazione di almeno il 70% della popolazione (in Italia tra 40 e 45 milioni di persone) garantirebbe un’immunità di comunità capace da sola di spegnere l’epidemia e di rendere inutili le misure collettive, poggia su un modello che assume un’efficacia del vaccino del 100% nel bloccare la trasmissione del virus da persona a persona: non solo questo non si realizza praticamente mai ma non è attualmente assodato quale sia il livello di efficacia sulla trasmissione dei vaccini oggi disponibili. Sappiamo sulla base di solide evidenze che diversi vaccini prevengono le forme cliniche, in particolare quelle gravi, e i decessi da Covid-19: potranno anche contribuire a frenare parzialmente, in misura oggi non definibile, la trasmissione del virus, ma il controllo di questa non potrà farsi senza mantenere misure di contenimento individuali e collettive almeno fino a fine 2021 – inizio 2022.

Alla luce di questa considerazione e tenuto conto della efficacia del «lockdown» del marzo-aprile 2020 e dell’indicazione di efficacia delle zone rosse, si può avanzare l’ipotesi che un sistema di misure stringenti a date prefissate in calendario possa essere preferibile al sistema, informale o algoritmico, della navigazione a vista. A titolo di illustrazione un «lockdown» nazionale di sei settimane, con date programmate (con inizio a marzo o aprile) sarebbe seguito da un periodo con restrizioni leggere di 20 settimane (fino ad agosto o settembre) e, finché necessario, ulteriormente seguito da semestri includenti la stessa alternanza di settimane di chiusura e apertura. Presenterebbe un insieme di vantaggi:

  1. sul piano sanitario: ridurrebbe fino ad un basso livello i nuovi contagi minimizzando i decessi e farebbe cessare le condizioni di emergenza degli ospedali e in particolare dei servizi di rianimazione mantenuti da un anno – come il personale – in una situazione di tensione quasi permanente, spesso al limite della rottura; renderebbe più agevole l’impiego di personale per le vaccinazioni quando si passerà alla fase di massa;
  2. sul piano scolastico: permetterebbe un anno scolastico realizzato prevalentemente in presenza e praticamente normale per durata, se pure organizzato diversamente dagli anni abituali;
  3. sul piano sociale: la prospettiva ben definita in calendario di un ritorno dopo il «lockdown» ad una vita quasi normale, anche se poi seguita da un'altra chiusura, permetterebbe di pianificare l’insieme delle attività della società e la vita personale dei cittadini e sarebbe psicologicamente molto meno frustrante che l’attuale altalena imprevedibile di restrizioni di vario grado, da blande a forti. Si è spesso parlato della lotta all’epidemia come di una maratona: ma il maratoneta sa che lo aspettano 42,125 chilometri, non riuscirebbe a correrli con successo se dovessero essere composti da una serie di mezzo-fondo ciascuno di qualche chilometro che si incatenano in modo imprevedibile.
  4. sul piano economico: una gestione programmata di risorse materiali e umane e di progetti di sviluppo è economicamente più vantaggiosa che una gestione sballottata dall’imprevedibilità di cosa sia possibile o impossibile fare. Ho parlato con un paio di responsabili di piccole imprese e assistito alla televisione a una discussione di responsabili di piccole-medie imprese: tutti concordavano sul fatto che in un contesto di restrizioni inevitabili all’attività per ragioni sanitarie il fattore di gran lunga più deleterio economicamente diviene l’incertezza e la impossibilità di prevedere (aggiungo che la proposta di «lockdown» preventivo menzionata all’inizio di questo articolo si situa nella stessa prospettiva ed è stata formulata da due economisti di primissimo piano).

Questi vantaggi dell’ipotesi richiedono di essere approfonditamente e sollecitamente valutati in termini qualitativi e quantitativi, così come i relativi aspetti operativi. Lo svantaggio principale dell’ipotesi non è, come potrebbe apparire ad un’impressione superficiale, di essere utopistica: è di cozzare contro l’illusione diffusa in tutta la società, alimentata da una varietà di interessi legittimi (e qualcuno illegittimo) e accarezzata da politici di governo e di opposizione di ogni colore che la soluzione conclusiva dell’epidemia si trovi a distanza di solo qualche passo, appena girato l’angolo. È un’illusione ostinata e comprensibile ma per nulla condivisibile in quanto rovinosa da tutti i punti di vista.

 

Bibliografia
[1] Duflo E, Banerjee A. Tribune: Esther Duflo et Abhijit Banerjee, prix Nobel d’économie «Il faut décréter un confinement de l’Advent pour sauver Noêl». Le Monde, 26 septembre 2020.
[2] Europe 1. Véran ecarte tout reconfinement “préventif” avant Noêl: http://www.europe1.fr. Consultato il 9 febbraio 2021.
[3] Ourworldindata. Coronavirus Pandemic (Covid-19): http://www.Ourworldindata.org. Consultato il 9 febbraio 2021.
[4] Dusi E. Intervista a Alberto Mantovani. La Repubblica, 26 settembre 2020.
[5] Associazione Italiana di Epidemiologia (AIE). Covid-19 nelle regioni italiane: solo il rosso funziona (se dato in tempo). Scienza in rete, 9 gennaio 2021.

 


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