Facendo seguito al loro primo controverso articolo 1, che invocava la “sfortuna” (bad luck) per spiegare la maggior parte dei tumori, Tomasetti e Vogelstein hanno nuovamente ottenuto una grande copertura mediatica con il secondo articolo 2, anch’esso comparso su Science (con un terzo autore).
Riassumo qui le critiche che sono state espresse da altri colleghi successivamente all’uscita del primo articolo, e che ho anche espresso circa un anno fa come revisore dell’attuale contributo. C’è ad avviso mio e di altri un profondo malinteso nei calcoli di Tomasetti e Vogelstein, che non sono evidentemente riusciti a liberarsi del problema. Gli autori hanno confrontato i tassi di incidenza dei principali tumori (ma non tutti) con il tasso di proliferazione delle cellule staminali nei tessuti di origine dei tumori: più alto è il tasso di proliferazione e maggiore è l’incidenza tumorale, perché più le cellule proliferano e più frequenti sono gli errori spontanei (fortuiti) di replicazione del DNA.
Il ragionamento è troppo semplice per essere vero. Infatti alcune semplici constatazioni lo minano alla base: i tumori del polmone sono aumentati di 50 volte nel corso del secolo scorso (negli USA), e quelli dello stomaco e del collo uterino sono diminuiti di 10 volte. I melanomi hanno una frequenza 200 volte più alta in Australia (Queensland) che in Cina, e così via. Ovviamente non possiamo ammettere che le cellule polmonari proliferassero con una velocità 50 volte più alta a fine secolo rispetto all’inizio, o le cellule della cute 200 volte di più in Australia che in Cina. Il tumore del polmone sarebbe raro se le persone non fumassero, e gli australiani non hanno un rischio elevato di melanoma se si trasferiscono da bambini in Inghilterra, dove l’esposizione al sole è modesta. La maggior parte di noi non è esposta a polvere di legno di Mansonia Altissima, e pertanto non abbiamo un rischio aumentato di 500 volte dei tumori delle cavità nasali come gli operai di certe industrie in passato. Ma se non si desse questo accidente storico dell’esposizione professionale nei lavoratori del legno, non sapremmo che esiste una relazione causale e dunque includeremmo tutti i tumori delle cavità nasali tra quelli dovuti al caso.
In altre parole quello che sappiamo sulle cause dei tumori è legato ad accidenti storici, al fatto che la gente fuma o è esposta ad amianto, e anche al fatto che gli epidemiologi hanno indagato gli effetti delle esposizioni. Meno studiamo questi eventi storicamente determinati e più saremo propensi a dire che i tumori sono dovuti alla sfortuna, il che non toglie che una quota ignota (nonostante i calcoli di Tomasetti e Vogelstein) possa anche essere dovuta al caso.
C’è un altro punto critico nell’argomentazione degli autori, e cioè come considerano il contributo proporzionale delle mutazioni spontanee e di quelle indotte dai cancerogeni. Il ragionamento è il seguente. Per provocare il cancro sono necessarie diverse mutazioni; supponiamo che siano tre (tutte necessarie, cioè la mancanza di una sola non consente l’insorgenza del cancro). È facile dimostrare che anche se il 90% dei tumori polmonari è prevenibile eliminando il fumo, cionostante il 50% delle mutazioni può essere legato agli errori spontanei dovuti alla velocità di replicazione delle cellule staminali, dal momento che sono necessarie almeno tre mutazioni. Il ragionamento è accettabile, ma non toglie che, mentre possiamo agire su quel 90% di tumori prevenibili, non possiamo agire sulle mutazioni spontanee.
Un’affermazione che suona piuttosto discutibile, anche se probabilmente corretta sul piano logico, è questa: “Anche se in futuro gli studi epidemiologici o genetici identificheranno fattori ereditari o ambientali finora sconosciuti che consentano di prevenire il 90% dei tumori della prostata, cionostante la proporzione di mutazioni dovute al tasso di proliferazione cellulare sarà comunque alto”. Francamente non si vede l’utilità di una simile predizione.
Nonostante che, all’uscita del primo articolo, molti commentatori abbiano fatto notare che il confronto corretto tra i tassi di incidenza non è con la velocità di proliferazione delle cellule staminali nell’ambito di un singolo paese, ma è tra i tassi di incidenza nei diversi paesi, i due autori ricadono nello stesso errore: estendono la loro analisi, è vero, dai soli Stati Uniti a 69 paesi nel mondo, ma il confronto è all’interno di ciascuno di essi, eludendo il problema del fatto che le cause del cancro variano largamente tra popolazioni.
Tomasetti, Li e Volgelstein in effetti tengono conto delle esposizioni ambientali, ma lo fanno in modo indiretto, stimando quanti sono i tumori ambientali sulla base delle frequenze di mutazioni desunte da basi di dati molecolari. Il procedimento è alquanto difficile da seguire. Per esempio, usano la stessa frequenza di mutazioni per il fumo e per la carenza di frutta e verdura nell’alimentazione, un assunto ben difficile da condividere. Le basi di dati sulle mutazioni sono ancora imperfette e contengono pochissime informazioni sulle esposizioni; non si vede dunque come attribuire i tassi di mutazioni a specifiche esposizioni, un progetto ancora tutto da sviluppare (è in effetti appena iniziato attraverso una collaborazione tra il Sanger Institute di Cambridge e la IARC: Mutographs). Una delle pochissime acquisizioni solide recenti è che fumare aumenta la frequenza di mutazioni in una singola cellula polmonare da un numero molto limitato a 150 per ogni pacchetto di sigarette (oltre a 97 mutazioni nelle cellule della laringe, 39 nella faringe, 18 nella vescica, ecc., con un’interessante proporzionalità con il rischio relativo legato al fumo per ciascuno di questi tumori 3). Sarà pur vero che le cellule staminali del polmone hanno un alto tasso di proliferazione, ma su di esse agisce potentemente l’esposizione ai cancerogeni del tabacco.
Perché Science (una delle migliori riviste al mondo) pubblica per la seconda volta un approccio così controverso, nonostante le critiche che il primo articolo ha ricevuto? Per di più dopo che la concorrente Nature ha pubblicato un articolo più rigoroso, chiaro e lineare, e che arriva a conclusioni opposte (10-30% del rischio di cancro attribuibile ai fattori “intrinseci”, cioè alla sfortuna 4)? Purtroppo si deve essere leggermente cinici (e non viviamo forse in un mondo sempre più cinico?): la motivazione sta nel desiderio delle riviste scientifiche di attirare l’attenzione delle prime pagine dei giornali. E infatti i titoli a sensazione sono regolarmente arrivati: “Il 66% dei tumori sono dovuti al caso” come titola per esempio CNN tra tanti altri, mentre non ho notato una tempesta mediatica intorno al corretto ma “noioso” articolo di Wu e altri su Nature. Inutile dire che il messaggio di Tomasetti e Vogelstein è altamente controproducente per chi si impegna nella Sanità Pubblica. Il “free rider” distratto concluderà che la probabilità che i suoi comportamenti sbagliati o le esposizioni ambientali siano responsabili di un tumore è troppo bassa per essere presa sul serio.
Molti tumori stanno rapidamente aumentando nei paesi in via di sviluppo (in Africa e in Asia in particolare), e insieme ad essi aumentano le malattie cardiovascolari, il diabete, le malattie dismetaboliche e quelle neurologiche. Qui naturalmente la teoria della proliferazione cellulare non può essere invocata, e qual è dunque il meccanismo “casuale” o sfortunato che sta alla base di queste malattie? O per esse la cattiva fortuna non costituisce una spiegazione? Si dà il caso che tutte queste malattie, inclusi i tumori, condividano molti degli stessi fattori di rischio (e per questo la loro epidemiologia si modifica congiuntamente, nello spazio e nel tempo). E questo è l’argomento killer dell’articolo di Tomasetti, Li e Vogeslstein: non sappiamo quanti tumori esattamente sono prevenibili (secondo le stime più comuni il 40-50%5), ma queste stime sono per difetto e si basano su conoscenze imprecise. Se nessuno avesse notato l’eccesso dei tumori delle cavità nasali negli operai del legno o degli angiosarcomi nei lavoratori del cloruro di vinile, non li potremmo attribuire ad altro che al caso. Ma pur accettando una stima per difetto come il 40-50%, insieme ai tumori e con molti degli stessi interventi preventivi potremmo prevenire tante altre malattie croniche.
Bibliografia
1 Tomasetti C, Vogelstein B, "Variation in cancer risk among tissues can be explained by the number of stem cell divisions". Science 347, 78–81 (2015).
2 Tomasetti C, Li L, Vogelstein B, "Stem cell divisions, somatic mutations, cancer etiology, and cancer prevention". Science. 2017 Mar 24;355(6331):1330-1334. doi: 10.1126/science.aaf9011.
3 Alexandrov LB, Ju YS, Haase K, Van Loo P, Martincorena I, Nik-Zainal S, Totoki Y, Fujimoto A, Nakagawa H, Shibata T, Campbell PJ, Vineis P, Phillips DH, Stratton MR. "Mutational signatures associated with tobacco smoking in human cancer". Science. 2016 Nov 4;354(6312):618-622.
4 Song Wu, Scott Powers, Wei Zhu & Yusuf A. Hannun Wu S, "Substantial contribution of extrinsic risk factors to cancer development", Nature 2016 Jan 7;529(7584):43-7. doi: 10.1038/nature16166. Epub 2015 Dec 16.
5 Vineis P, Wild CP. "Global cancer patterns: causes and prevention", Lancet. 2014 Feb 8;383(9916):549-57. doi: 10.1016/S0140-6736(13)62224-2. Epub 2013 Dec 16.