Si riunisce in questi giorni l’Assemblea dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per discutere sulla lotta alla pandemia e su come fronteggiare le crisi sanitarie globali del futuro. Ma non può esserci un reale contenimento della pandemia fino a quando il vaccino non avrà una copertura globale. Eppure, a oggi solo lo 0,3% dei vaccini è stato distribuito nei paesi più poveri, e manca una reale intenzione di trasferimento di brevetti e know-how.
Il Global Health Summit (il vertice mondiale sulla salute, che ha riunito virtualmente il G20 con lo scopo di discutere sulle risposte all’emergenza Covid-19) si è appena concluso con roboanti dichiarazioni di nuovi impegni economici da parte dei paesi più ricchi e piani di cooperazione per affrontare l’emergenza pandemica in corso. Tuttavia, nessuna decisione importante e risolutiva è stata presa rispetto alla questione dei brevetti e altre misure di proprietà intellettuale esistenti su vaccini e prodotti farmaceutici utili a combattere Covid-19. Il linguaggio si è dimostrato cauto e misurato. Ora nuove aspettative e speranze sono rivolte all’appuntamento dell'Assemblea dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (World Health Assembly, WHA) che si è aperta questa settimana, il 24 maggio, e che vede il dibattito fortemente incentrato nella lotta e nella soluzione della pandemia e nella creazione di risposte alle crisi sanitarie globali del futuro.
Una strategia realistica di contenimento della pandemia di Covid-19 prevede che, congiuntamente allo sviluppo e alla diffusione di terapie efficaci e strumenti diagnostici adeguati, il vaccino venga prodotto e reso disponibile globalmente in tutti i paesi del mondo e che vengano realizzate campagne di vaccinazione anche in contesti di crisi umanitarie. E se in meno di un anno, grazie allo sforzo collettivo di scienziati, all’investimento di miliardi di fondi pubblici e al coinvolgimento del settore privato, si è arrivati a poter disporre di almeno cinque vaccini contro Covid-19 approvati (in via emergenziale e condizionale dalla FDA, dall’EMA e dall’OMS), il nodo cruciale da affrontare resta la loro equa assegnazione e distribuzione in tutto il mondo. Infatti, finora solo lo 0,3% dei vaccini somministrati a livello globale è stato distribuito nei 29 paesi più poveri, in cui vive il 9% della popolazione mondiale.
La spinta nazionalistica per l’approvvigionamento dei vaccini ha frammentato e indebolito il potenziale risolutivo di questi progressi scientifici fondamentali, riproducendo ed esasperando dinamiche che avevamo già visto attuarsi in altri settori della salute e in altre epoche storiche. Le terapie antiretrovirali, che hanno modificato il corso dell’infezione da HIV/AIDS nei paesi ricchi riducendo sensibilmente il numero dei decessi, sono arrivate in Africa soltanto 10 anni più tardi con la produzione e l’esportazione delle prime versioni generiche indiane. Ripetere questo scenario in un contesto di pandemia appare decisamente inaccettabile. L’innovazione risulta inutile se resta confinata tra un gruppo ristretto di pochi Paesi ricchi e i benefici in termini di salute pubblica che ne possono derivare si riducono, mentre, per contro, si moltiplica il rischio di un prolungamento della pandemia.
L’emergere di nuove varianti virali induce preoccupazioni e il timore di una possibile risalita delle curve epidemiologiche faticosamente contenute in molti paesi occidentali. Con una popolazione globale di otto miliardi di persone (il 74% delle quali vive nei paesi a basso e medio reddito) e una durata dell’attuale immunità vaccinale probabilmente limitata nel tempo, la portata del bisogno si dimostra enorme e pone in maniera inequivocabile l’imperativo di definire un chiaro piano d’azione globale e coerente che contribuisca a rimuovere tutti gli ostacoli legali, tecnici e finanziari per un rapido aumento della produzione di vaccini su scala industriale. Nessuno dei produttori oggi è neanche lontanamente in grado di soddisfare la domanda in modo tempestivo.
Contro il nazionalismo vaccinale non si sono finora dimostrati vincenti iniziative quali COVAX , un meccanismo di collaborazione volto ad accelerare l'approvvigionamento e l'accesso equo a vaccini contro Covid-19. L’obiettivo di COVAX di fornire due miliardi di dosi di vaccini ai paesi a medio e basso reddito entro la fine del 2021, per quanto lodevole, si pone infatti ben al di sotto dei bisogni reali: copre appena il 20% di questa popolazione. Come se non bastasse, il Serum Institute of India, uno dei principali fornitori del programma COVAX, ha fatto sapere che non esporterà più alcuna dose del suo vaccino fino alla fine del 2021 per far fronte alla grave emergenza sanitaria all’interno del proprio paese.
Più a lungo persiste la pandemia, maggiore è il danno in termini di salute, benessere economico e sociale. La proposta presentata il 2 ottobre 2020 da India e Sud Africa nell’ambito dell’Organizzazione Mondiale del Commercio per una sospensione temporanea dei brevetti e di altri diritti di proprietà intellettuale su farmaci, test diagnostici e vaccini utili per la risposta a Covid-19 per tutta la durata della pandemia muoveva esattamente da questo solco, intendendo rappresentare una soluzione globale e mobilitando la capacità produttiva esistente nel mondo, oltre a un adeguato trasferimento di tecnologie. Dopo un lungo periodo di stallo nei negoziati, il 5 maggio 2021 gli Stati Uniti, con una storica decisione, hanno espresso il proprio parere favorevole alla sospensione temporanea dei brevetti (seppur limitatamente ai vaccini), dichiarandosi propizi all’avvio dei negoziati sul testo della moratoria presentata da India e Sudafrica. A questa posizione sfortunatamente non ha fatto seguito un’altrettanto decisa adesione dell’Unione Europea la cui visione resta frammentata e divisa. Le stesse affermazioni originate dai lavori del Global Health Summit risultano vaghe ed estremamente caute, con proposte di soluzioni a corto respiro e un blando appello a far ricorso ad accordi di licenza volontaria non certamente all’altezza della straordinarietà che la situazione richiede e dovrebbe imporre. Escludere l'opzione di una sospensione dei brevetti e di altre proprietà intellettuali concentrando tutte le aspettative su meccanismi volontari che hanno già mostrato i loro limiti nel recente passato, potrebbe non essere la scelta migliore.
Certamente la sospensione dei brevetti da sola non risolverà il problema: i paesi potrebbero non avere il know-how tecnico e la capacità per produrre vaccini di ultima generazione su scala industriale, indipendentemente dal fatto che abbiano o meno il diritto legale di farlo. Inoltre, potrebbe essere necessario anche il trasferimento di materie prime, nonché la documentazione normativa corrispondente e i dati. Il fitto dedalo di clausole brevettuali, diritti di proprietà intellettuali depositati sui vaccini a mRNA, recentemente illustrato in un articolo pubblicato su Nature, mostra quanto i segreti commerciali e il know-how in possesso delle imprese produttrici creino barriere legali che limitano l’accesso a questa tecnologia. In questo quadro, mai come ora, i ruoli degli stati e dell’intervento pubblico restano centrali per arginare i rischi e per definire strategie accorte di tutela della salute comune. I tentativi portati avanti finora nell’ambito dell’OMS per la condivisione volontaria dei brevetti e del know-how attraverso una piattaforma denominata Covid-19 Technology Access Pool non hanno trovato alcuna accoglienza tra le imprese farmaceutiche e legittimano il ricorso a misure più audaci e radicali. I governi dovrebbero insistere affinché le aziende di cui hanno finanziato la ricerca (con un investimento che oggi si attesta intorno ai 93 miliardi di euro) forniscano l’accesso alla tecnologia e al know-how.
La pandemia di Covid-19 è un’emergenza sanitaria globale e non sarà adeguatamente contenuta se non avremo il coraggio di pensare a nuove soluzioni per la condivisione trasparente del sapere e della conoscenza, facendo leva sulla solidarietà e sull’approccio multilaterale per accelerare il progresso scientifico e favorire un accesso sostenibile al vaccino. Sospendere i diritti di proprietà intellettuale non significa cancellare la prospettiva di guadagno per le imprese che potranno beneficiare di un ragionevole compenso, tenendo conto dei costi di ricerca e sviluppo e di altri investimenti sostenuti dalle aziende. Covid-19 ha causato la perdita di quasi 3,5 milioni di persone nel mondo, una devastazione sociale ed economica tale da richiedere sforzi congiunti di scienziati, istituzioni globali e decisori politici per portare a termine i prossimi passi. La tecnologia, senza l’onere dei monopoli, dovrà essere trasferita a una serie di potenziali nuovi produttori, soprattutto in quelle regioni del mondo che attualmente hanno una capacità di produzione insufficiente, nuove risorse finanziarie dovranno essere mobilitate per sostenere la costruzione di nuovi stabilimenti o il rinnovo di quelli vecchi e per coordinare le catene di approvvigionamento e altri compiti operativi su scala globale. Il finanziamento pubblico per la ricerca e lo sviluppo di vaccini e prodotti terapeutici dovrebbe vincolare il know-how prodotto alla condizione di open source perché possa essere utilizzato in ulteriori ricerche e il prodotto risultanto vendutp a un prezzo equo. Questo ci sembrerebbe un modo concreto per combattere le disuguaglianze e sconfiggere la pandemia con iniziative credibili di equità. I prossimi incontri all’Organizzazione Mondiale del Commercio saranno decisivi. L’Assemblea dell’Organizzazione Mondiale della Sanità iniziata questa settimana ha il compito di potenziare l’OMS dotandola degli strumenti necessari per attuare un chiaro processo di condivisione delle conoscenze e porla come un attore cruciale per il supporto tecnico e normativo necessario a evitare quella che più volte è stata definita dallo stesso direttore dell’OMS, “una catastrofe morale”.