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Dieci miliardi al Mezzogiorno, ma per far cosa?

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Se si avverasse l'ipotesi secondo la quale il governo sembrerebbe intenzionato a iscrivere dieci miliardi di euro nella legge di bilancio del 2018 sotto l'obiettivo “Mezzogiorno”, si potrebbe pensare di essere di fronte ad una inversione di marcia rispetto a una politica economica che da molti anni aveva fatto finta che non esistesse più la questione “Mezzogiorno”; non ultimo il caso del Progetto Industria 4.0, dove non esisteva più nemmeno la parola Mezzogiorno. Perchè, tuttavia, questo finanziamento possa esprimere questo cambiamento è evidente che non è certo sufficiente rispolverare la parola. Il divario Nord-Sud , come è noto, in questi anni si è ampliato, e nel contempo il Nord non è nemmeno in grado di svolgere una funzione di trascinamento, facendo molta fatica a conservare una propria dinamica a fronte degli andamenti economici e sociali nei paesi dell'Unione Europea. Non è un caso se l'eccesso di formazione scolastica che si verifica nel Mezzogiorno deve cercare uno sbocco non più al Nord ma oltre le frontiere, mentre le politiche pubbliche sembrano cogliere questa situazione come un'opportunità per ridurre nel Mezzogiorno la spesa pubblica in materia di scuola e università.

Se, dunque, verrà confermata l'esistenza di quello stanziamenti sotto la voce “Mezzogiorno” sarà bene sin dall'inizio aggiungere delle indicazioni per evitare già in partenza il fallimento dell'operazione, sia sul fronte del recupero economico e della crescita del Pil ma, sopratutto, per qualificare questo recupero sul piano strutturale della qualità e della capacità di alimentare gli sviluppi successivi.

Su questo linea sarà bene incominciare leggendo e riflettendo sulle osservazioni espresse in varie occasioni da autorevoli addetti ai lavori (ultimamente dal Segretario Generale della CGIL- FLC, Francesco Sinopoli; Italianieuropei – 23/10/17 – Siamo nella società della conoscenza. Ma siamo chi? ), con le quali si è opportunamente richiamata la correlazione tra la necessità di connettere lo sviluppo delle aree depresse con una inversione di marcia del percorso seguito dai vari governi in materia di dotazione scolastica, formazione, università e ricerca. Sembrerebbe ormai chiaro a tutti che la politica, attualmente ancora in atto, secondo la quale a fronte di una debole domanda in materia di cultura, conoscenza, ricerca e innovazione tecnologica, la soluzione razionale non può essere quella di ridurre la spesa pubblica per la scuola, l'Università, la ricerca, traducendo un livello culturale non rintracciabile nemmeno nel terzo mondo.

Un drammatico deficit di formazione

Riaffermate come premesse queste considerazioni, l'attenzione deve poi accentuarsi su quali sono le necessità strutturali delle quali occorre disporre per affrontare i problemi dello sviluppo socio-economico e cioè i rapporti che esistono tra quella base culturale e quella qualità dello sviluppo economico e sociale che si vorrebbe conseguire. Dovrebbe essere ovvio, infatti, che se si pone una questione del genere è per il fatto che le dotazioni attuali non sono in grado da sole di assicurare quelle condizioni strutturali, necessarie per modificare il nostro tessuto produttivo e orientarlo verso nuove specializzazioni, verso una nuova qualità del nostro sviluppo economico e sociale. Con questo orizzonte “Dobbiamo comprendere che un paese con il nostro grado di analfabetismo di ritorno, i nostri tassi di dispersione, il nostro numero esiguo di laureati e il nostro risibile investimento in istruzione, scienza e tecnologia non potrà mai farcela ad invertire la rotta su cui si trova, frutto di scelte sbagliate perpetrate da anni.”. Scelte che se non hanno risolto la questione del Mezzogiorno, stanno attualmente piuttosto invadendo anche il centro-nord, a conferma della crisi generale di questo paese. Peraltro lo sforzo di analisi e di elaborazione necessario per affrontare attualmente la questione “Mezzogiorno” deve farsi carico anche della crisi di un Paese che non ne ha ancora recuperato una valutazione critica, dal momento che anche nelle aree così dette avanzate siamo ancora alla scoperta della competitività tecnologica.

Dieci miliardi alle imprese o alla ricerca del Sud?

Se si ritiene che da questa crisi si possa uscire attribuendo dieci miliardi di euro ad un sistema di imprese che ha giocato sino ad ora la sua sopravvivenza sostanzialmente attraverso la riduzione del costo unitario del lavoro, sembra evidente come il circuito economico di questi miliardi pubblici sia già scritto in caratteri funebri. Le dichiarazioni del Presidente di Confindustria secondo le quali “la competitività delle imprese del Sud …... è una grande questione nazionale...” potrebbero essere lette in termini più che positivi se non ci fosse il sospetto che la traduzione in termini di politiche da adottare a livello nazionale, dovrebbe partire dalla mera attribuzione di questi dieci miliardi all'attuale sistema delle imprese. Laddove negli interventi ricordati in precedenza si trovano le indicazioni coerenti con questo disegno relativamente ai cambiamenti da apportare alla scuola, all'Università e al settore della ricerca pubblica. Occorre ora richiamare anche la necessità di integrare questi interventi con quelli conclusivi in una operazione di cambiamenti strutturali della nostra competitività. Si tratta di interventi che dovranno essere approfonditi, essendo sufficiente in questa occasione ricordare che se la trasformazione del tessuto culturale del paese rappresenta l'operazione di maggior rilievo strutturale, tuttavia anche la dimensione economica e sociale rappresenta una componente che non può essere trascurata.

Volendo sintetizzare questa componente di una strategia complessiva, necessaria per dare luogo alla costruzione di un Sistema Nazionale dell'Innovazione, occorre indicare, nelll'istituzione a livello della Presidenza del Consiglio dei Ministri:

  • di un Segretariato per il coordinamento delle politiche per l'innovazione tecnologica oltre che degli aspetti più generali della Ricerca (trattati internazionali, rapporto di lavoro, grandi scelte progettuali, ecc.), I singoli Enti Nazionali di Ricerca e le Università restano sotto la sorveglianza dei rispettivi Ministeri,
  • dotare questo Segretariato di una struttura per il finanziamento delle attività “a rischio finanziario” che rappresentano gli investimenti finali di ogni progetto di un qualche rilievo nel settore delle rivoluzioni tecnologiche
  • sollecitare l'iniziativa dei grandi enti nazionali di ricerca per coordinare delle iniziative rivolte alla realizzazione di progetti d'innovazione tecnologica in connessione con il sistema delle imprese e sulla base di una valutazione quali e quantitativa degli obiettivi,
  • valorizzare le dotazioni naturali e culturali del paese attraverso l'utilizzo delle nuove conoscenze e dei nuovi ritrovati,
  • coordinare la partecipazione italiana ai grandi Progetti internazionali in materia di salvaguardia ambientale, di interventi nelle grandi aree a rischio, ecc.
  • assicurare la permanenza di lungo periodo di una capacita strutturale in materia di ricerca avanzata e libera.

 


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