La pandemia di Covid-19 ha fatto registrare una domanda crescente di strumenti tecnologici, compresi quelli impiegati per la medicina: l'impiego di televisite e telemonitoraggi, affiancati da altri strumenti (come per esempio gli strumenti di contact tracing), è cresciuto in maniera disordinata all’inizio della pandemia, è stato nel tempo appoggiato da società scientifiche e istituzioni sanitarie. Ma la diffusione di queste tecnologie è frutto solo dell'emergenza? E quali sono i loro limiti e prospettive?
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La domanda di nuove tecnologie è stata crescente in questo periodo di pandemia da Covid-19, soprattutto durante il lockdown. Si stima, per esempio, che il numero di utenti giornalieri attivi su Zoom sia passato in poco tempo da 20 a 300 milioni, così come che sia cresciuto del 300% il suo valore in borsa. Di pari passo sono cresciute le applicazioni della telemedicina, cioè di tutti quegli strumenti che hanno permesso (e che oggi permettono) di erogare prestazioni sanitarie a distanza. Negli Stati Uniti le visite virtuali si sono decuplicate nel corso di poche settimane. Anche in Italia si è assistito a questo fenomeno. A partire dal 1 marzo sono 175 le iniziative di impiego di strumenti digitali intraprese dalle Aziende Sanitarie Italiane a supporto delle visite da remoto dei pazienti, il 29% delle quali per la gestione di pazienti Covid-19 e il 71% per la gestione di patologie croniche come il diabete e le patologie cardiovascolari e quelle oncologiche.
Nel giro di poche settimane è avvenuto quello che a livello internazionale non è riuscito in dieci anni, nemmeno nei paesi più avanzati tecnologicamente. I dubbi che per anni hanno frenato il cambiamento (la rigida regolamentazione per il loro impiego, le ambigue politiche di rimborsabilità, la scarsa evidenza sulla loro affidabilità ed economicità, i problemi di privacy, la difficoltà a integrare i nuovi strumenti nella pratica clinica quotidiana, la diffidenza da parte di medici e pazienti) si sono dissolti davanti all’emergenza sanitaria.
Televisite, telemedicina e telemonitoraggio
Prendiamo i servizi di televisita basati sui principali strumenti di videoconferenza e di videochat (come Skype, Zoom, Google Hangouts e Apple FaceTime). Tali sistemi sono stati ampiamenti impiegati per visitare da casa i pazienti Covid-19 e i pazienti con patologie croniche. Il loro uso, cresciuto in maniera disordinata all’inizio della pandemia, è stato nel tempo appoggiato da società scientifiche e istituzioni sanitarie, le quali hanno fornito indicazioni su come usare in maniera appropriata questi strumenti e inserirli nella pratica clinica. Per esempio, l’American Medical Association ha pubblicato delle linee guida che suggeriscono ai medici americani come integrare questi strumenti con la cartella clinica o altri sistemi (digitali o basati su carta) già in uso, affinchè i dati raccolti durante la visita e la comunicazione intercorsa con i pazienti siano correttamente conservati e accessibili in ogni momento.
La scelta di adottare sistemi di televisita e di telemedicina non è tuttavia valida per tutti i pazienti. L’Istituto Superiore di Sanità ha pubblicato delle linee guida che, oltre a focalizzarsi sugli aspetti tecnici e su quelli riguardanti la responsabilità personale del medico, la sicurezza dei dati e la privacy, forniscono suggerimenti su come scegliere gli individui candidati a ricevere prestazioni di telemedicina. Che non si limitano alle persone “non affette da patologie precedenti al momento in cui è stata necessaria la quarantena o l’isolamento (sintomatiche o asintomatiche) e che rientrino nella definizione di contatto stretto o di caso confermato”, ma che comprendono “le persone affette da patologie croniche, malattie rare e persone in condizioni di fragilità, oppure che richiedono trattamenti di lungo periodo o di particolare assistenza e/o supporto non ospedalieri” e quelle persone “bisognose di tele-supporto psicologico che si trovino in isolamento o in quarantena, oppure isolate di fatto a seguito delle norme di distanziamento sociale, in corso di Covid-19”. D’altra parte quello della salute mentale è uno dei campi dove si è favorita maggiormente l’adozione di sistemi di televisita, come dimostra la decisione della Food and Drug Administration di espandere la disponibilità di strumenti di digital health e di terapie digitali per i disturbi psichiatrici durante tutto il periodo della pandemia.
Purtroppo, i sistemi di televisita basati su sistemi di videoconferenza e videochat non sono sufficientemente sicuri, sebbene alcuni di loro (per esempio Skype), adottino protocolli crittografati che garantiscono la protezione e la riservatezza delle comunicazioni. Questa è la ragione per la quale sistemi più avanzati sono stati sviluppati da aziende specializzate nella digital health e da alcune Regioni per favorire, in ambienti protetti e integrati, prestazioni di teleconsulto e telemedicina che garantiscono anche l’archiviazione dei consulti e dei documenti condivisi con il paziente. È il caso della Regione Toscana, dove è stato realizzato il Sistema Informativo Unico Regionale per la Gestione Emergenza Covid-19, un sistema integrato per la gestione del triage e delle prestazioni di telemedicina, e per l’analisi, attraverso metodiche di big data, della grande mole di dati raccolti, utili per fornire importanti informazioni sulla diffusione del contagio e suggerimenti suo possibile contenimento.
Integrati ai sistemi di televisita hanno fatto la loro rapida comparsa anche gli strumenti di telemonitoraggio che raccolgono e monitorano i parametri fisiologici dei pazienti direttamente al proprio domicilio (spesso tramite dispositivi dotati di bluetooth) e che permettono ai medici di visualizzare i trend dei parametri rilevati e ricevere alert e messaggi automatici in presenza di valori alterati o critici. L’utilità di questi strumenti nel monitorare a distanza i pazienti più fragili e quelli che soffrono di patologie croniche non è sfuggita ad alcune società scientifiche (come la Società Italiana di Diabetologia, l’Associazione Medici Diabetologi e la Società Italiana di Endocrinologia) che congiuntamente hanno redatto delle linee guida volte ad adottarli per la gestione ambulatoriale dei pazienti diabetici anche quando l’emergenza sarà terminata.
Altri strumenti per la digital health
Accanto ai sistemi di televisita e telemonitoraggio, gli strumenti di digital health sono stati impiegati per attivare sistemi di triage (attraverso chatbot e assistenti virtuali che valutano i sintomi manifestati da un individuo per identificare soggetti a rischio Covid-19), sistemi di contact tracing per identificare, sulla base della prossimità (misurata via bluetooth o via GPS) tra due soggetti dotati di smartphone e di una stessa app eventuali contatti di individui che si sono rilevati positivi al Covid-19, e sistemi di sorveglianza epidemiologica in grado di monitorare l’epidemia, individuare nuovi focolai sui quali intervenire e fornire utili informazioni ai responsabili delle politiche sanitarie dei singoli paesi per una sua migliore gestione.
Anche l’intelligenza artificiale e il machine learning hanno dato un importante contributo alla gestione di alcuni aspetti della pandemia fornendo modelli predittivi su come e dove la malattia si sarebbe diffusa nel mondo e all’interno dei singoli Paesi, proponendo sistemi diagnostici per rilevare polmoniti causate da Covid-19 partendo dalle radiografie del torace e individuando farmaci già esistenti ma registrati con altre indicazioni che potrebbero essere utili anche contro il Covid-19.
La diffusione degli strumenti di digital health è frutto solo dell’emergenza?
La sola emergenza non può però spiegare un così massiccio uso di tecnologie per gestire l’emergenza generata da Covid-19. Negli Stati Uniti, per esempio, il processo è stato favorito dalla decisione da parte dell’amministrazione Trump di agire su due punti: la deregolamentazione dei servizi di telemedicina erogati attraverso strumenti non certificati e la rimborsabilità delle prestazioni erogate a distanza.
Per quanto riguarda il primo punto, il Department of Health and Human Services ha concesso ai medici di impiegare, per tutto il periodo dell’emergenza sanitaria, strumenti di videoconferenza e videochat generalisti per fornire servizi di televisita in deroga all’osservanza delle norme identificate dall’Health Insurance Portability and Accountability Act (che gestiscono gli aspetti legati alla riservatezza delle informazioni sanitarie), che questi strumenti, non essendo dispositivi medici, non sono obbligati a rispettare.
II secondo riguarda la parificazione, in termine di rimborsi, tra gli interventi di telemedicina (mediamente più bassi e quindi poco incentivanti da parte di chi li offre) e quelli tradizionali. La decisione, operativa per tutto il periodo dell’emergenza sanitaria, ha determinato, tra le altre cose, la possibilità da parte dei pazienti del programma Medicare di fruire gratuitamente di prestazioni di televisita erogate tramite app che consentono di interagire in audio e in video con il medico.
Se negli Stati Uniti la parificazione della rimborsabilità è temporanea, in Italia, dove esistono fin dal 2014 le Linee di indirizzo nazionali sull’impiego della Telemedicina, è permanente (almeno nelle Regioni in cui la telemedicina è rimborsata), scelta questa che ha contribuito non poco alla sua diffusione. A oggi le prestazioni in telemedicina (che sono viste come una diversa modalità di erogazione di prestazioni sanitarie e socio-sanitarie) sono rimborsate dalla Regione Toscana, dalla Provincia di Trento e dalla Regione Veneto (dove è stato sospeso anche il pagamento del ticket), ma è possibile che altre Regioni seguiranno a breve.
La posizione dell’OMS nei confronti degli strumenti di digital health
Lo scorso 25 giugno, l’OMS ha indetto una conferenza stampa durante la quale il Dr Hans Henri P. Kluge, direttore regionale per l’Europa, ha esaltato le potenzialità degli strumenti di digital health, dell’intelligenza artificiale e in generale delle tecnologie digitali nell’eseguire il contact tracing, nell’attivare la sorveglianza della epidemia, nell’individuare nuovi casi e nella gestione a distanza dei pazienti con Covid-19 o con patologie concomitanti o croniche. Secondo l’OMS occorre però prestare molta attenzione all’impiego di queste soluzioni a causa delle questioni che esse sollevano, a cominciare dalla protezione dei dati e della privacy. Consapevole del fatto che la tecnologia digitale possa aiutare i sistemi sanitari a far fronte alle cure sanitarie essenziali, in particolare durante le emergenze, tre sono i punti cruciali sui quali l’OMS insiste.
Il primo riguarda l’integrazione della salute digitale con gli strumenti attualmente in uso, che deve essere fatta con cura e, soprattutto, in collaborazione con chi rappresenta cittadini e pazienti.
Il secondo ha a che fare con il concetto di fiducia. L’uso di strumenti digitali si basa sulla fiducia del pubblico nei loro confronti e pertanto le soluzioni proposte devono prendere in considerazione la privacy e la sicurezza delle persone e dei loro dati. Da qui l’invito ai governi a individuare soluzioni che permettano di gestire la proprietà, l'uso, il consenso e la protezione dei dati. Occorre a questo proposito segnalare che non va proprio in questa direzione la deregolamentazione messa in atto negli USA sull’uso dei sistemi per videoconferenza, su cui anche diversi scienziati americani iniziano a interrogarsi, perché potrebbe potenzialmente mettere a rischio la privacy del paziente laddove tali sistemi non garantiscono una codifica e una criptazione della comunicazione/conversazione.
Il terzo punto riguarda il “digital divide”. Non tutti i gruppi sociali sono ugualmente in grado di sfruttare il potenziale delle tecnologie digitali per combattere il virus. In Europa, per esempio, l’accesso da parte delle famiglie a Internet varia dal 74% all'87%, con importanti disomogeneità all’interno dei singoli Paesi e tra gruppi di popolazione. L’invito è quindi quello di lavorare a livello nazionale affinchè il divario tecnologico non si aggiunga, nella popolazione, al divario sociale ed economico.
A questi punti se ne potrebbero aggiungere altri. Per esempio il timore, espresso da medici e scienziati, che le nuove tecnologie (indipendentemente dalla tipologia), quando applicate alla cura e alla assistenza dei pazienti, possano abbassare il livello della qualità dei servizi erogati e compromettere la relazione medico-paziente. Non è un caso quindi che dal mondo scientifico inizi a sollevarsi la richiesta di approfittare di questo periodo di ampia diffusione di sistemi di telemedicina per attivare studi clinici al fine di studiare il loro impatto sul rapporto medico-paziente, sulla pratica clinica e sulla qualità delle cure ed ottenere importanti e utili informazioni per decidere se (e in quali circostanze) continuare a utilizzare questi sistemi anche una volta che la pandemia sarà terminata.
Bigliografia
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