Il Giappone è stato uno dei primi paesi al di fuori della Cina a essere stato colpito da SARS-CoV-2; ha una densità abitativa oltre doppia rispetto a New York City e una popolazione con prevalenza di ultra sessantacinquenni. Nonostante questo, e nonostante abbia imposto meno blocchi rispetto ai paesi occidentali, è stata tra le nazioni meno colpite da Covid-19. Le ragioni non sono note, ma in quest'articolo Simonetta Pagliani ripercorre le ipotesi che sono state proposte.
Crediti immagine: Masashi Wakui/Pixabay. Licenza: Pixabay License
Casi per milioni di abitanti nelle prefetture del Giappone (12 maggio).
Il 3 gennaio 2020, un cittadino cinese di trent'anni, di ritorno in Giappone da Wuhan con febbre, è stato ricoverato e scoperto positivo al virus SARS-CoV-2. Sono seguiti altri casi alla spicciolata e il Giappone ha cominciato a temere per le Olimpiadi, in calendario a Tokyo dal 24 luglio al 9 agosto, che avrebbero richiamato milioni di persone, tra atleti, tecnici e spettatori.
Già in epoca pre-coronavirus le autorità sanitarie giapponesi erano preoccupate per l’impatto della massa di visitatori sulla situazione immunitaria del paese: una politica vaccinale a patchwork ha lasciato una larga fetta della popolazione indifesa contro virosi come la rosolia (pericolosa per le donne gravide), il morbillo e la parotite (pericolosa per gli uomini adulti; secondo i dati dell’OMS, il Giappone è al quarto posto nel mondo per incidenza della parotite virale, dopo Cina, Nepal e Burkina Faso).
Il 13 febbraio è avvenuta la prima morte, di una donna di ottant'anni infettata dal coronavirus, suocera di un tassista di Tokyo, anch'egli infettato dal virus. Il 24 marzo sono stati ufficialmente rimandati al 2021 i Giochi della XXXII Olimpiade, per la prima volta nella storia (mentre sono state cancellate tre volte, in concomitanza con i due conflitti mondiali); ci si ricorderà che un virus (Zika) aveva già provato a interferire con i giochi olimpici nel 2006, in Brasile. È anche la prima volta, dal 1896, che le Olimpiadi non avverranno in un anno bisestile (con esclusione del 1900).
Altri casi sporadici o in cluster si sono susseguiti in tutte le prefetture, ma solo all’inizio di aprile, quando è stato registrato un boom di contagi, il governo ha dichiarato lo stato d'emergenza nel paese. Il Japanese Cluster Response Team del ministero della salute, insediatosi già il 4 marzo, ha seguito un triplice approccio:
- ritrovamento e isolamento tempestivo dei cluster epidemici
- ricovero in terapia intensiva assicurato a ogni malato grave
- raccomandazioni ai cittadini perché operassero su propria responsabilità il maggior distanziamento sociale possibile
Nella vita pubblica, il Giappone ha imposto meno blocchi degli altri paesi occidentali: è stata disposta la chiusura delle scuole, ma i treni dell’ora di punta di Tokyo sono sempre stati affollati e i ristoranti aperti. Inoltre, non è partito un fitto programma di tracciamento e di campionamento individuale.
Ciononostante il Giappone, che è stato uno dei primi paesi al di fuori della Cina a essere colpiti dal coronavirus, ora è uno dei paesi meno colpiti tra le nazioni sviluppate. Per fare qualche confronto, vale la pena di guardare la classifica dei casi confermati e dei morti stilata in data 16 maggio 2020 dal Worldometers. Il Giappone sta molto più in basso, in trentatreesima posizione, con 16.203 casi e 713 morti, nonostante l’alta densità abitativa (oltre 6.100 persone/ km² a Tokyo, due volte e mezza quella di New York City) e la prevalenza di ultra sessantacinquenni (26% in Giappone contro 15% negli USA).
Akiko Iwasaki e Nathan D Grubaugh, rispettivamente immunobiologo ed epidemiologo dell’Università di Yale (New Haven, USA), hanno messo al vaglio le possibili ipotesi esplicative, escludendo, per prima, quella di un difetto di conteggio dovuto al diverso numero percentuale di test RNA eseguiti nei vari paesi: il dato delle morti, non accompagnato da altro aumento inspiegato della mortalità, è, da solo, eloquente.Il 14 maggio, il premier giapponese Shinzo Abe ha annunciato la revoca dello stato di emergenza, prima della scadenza del 31 maggio, in 39 delle 47 prefetture, dove risulta sotto controllo la diffusione del coronavirus; la revoca non riguarderà Tokyo e Osaka.
L’ipotesi numero uno è che i giapponesi siano, per cultura, poco inclini alla promiscuità sociale e abituati a indossare la mascherina contro le infezioni invernali. L’accenno d’inchino quando le persone s’incontrano, al posto di baci e abbracci o anche solo delle strette di mano, è una realtà nipponica incontrovertibile, ma che ne è del distanziamento fisico nei mezzi di trasporto e nei marciapiedi affollati delle ore di punta? Le mascherine (anche se abituali in altri paesi orientali, comunque più colpiti da Covid-19) sono, invece, una possibile, seppur incompleta, spiegazione: già nell’epidemia influenzale del 2009, l’R0 in Giappone è stato 1,28 contro l’1,47 globale medio e studi su scuole elementari hanno provato l’effetto protettivo delle mascherine verso i contagi (R0, tasso di riproduzione basale, rappresenta il numero medio di infezioni secondarie prodotte da un individuo infetto che si introduce in una popolazione totalmente suscettibile; si configura l’epidemia se R0 è maggiore di 1. Quando è esplosa la Covid-19, era tra 2 e 3; nell’influenza spagnola era 2,3; nella tubercolosi 10; nel morbillo tra 12 e 18).
L’ipotesi numero due ventila la possibilità che i giapponesi si siano in parte immunizzati venendo a contatto, in precedenza, con un SARS-CoV-2 un po’ più mite dell’attuale; tuttavia, le analisi dei genomi virali effettuate in tutto il mondo (e anche in Giappone) hanno provato sia una loro sostanziale somiglianza sia la provenienza primaria dalla Cina. I primi casi in Giappone sono stati chiaramente importati dalla Cina, mentre nell’ondata di casi di marzo il virus aveva fatto il giro lungo, passando dall’Europa.
L’ipotesi numero tre tira in ballo una diversa espressività del recettore ACE2 nella popolazione giapponese, con conseguente minore suscettibilità al contagio. Secondo ricercatori di Shangai, non ci sono prove che supportino l’esistenza di mutanti ACE2 resistenti alla proteina che lega il coronavirus, in differenti popolazioni; sono tuttavia possibili varianti di maggiore o minore espressione di ACE2 nei tessuti, che potrebbero essere legate a differenti risposte all’infezione. Sembra, tra l’altro, che i popoli dell’est asiatico abbiano più ACE2 tissutale degli occidentali.
L’ipotesi numero quattro è riferita al sistema dell'antigene leucocitario umano (HLA), detto anche complesso maggiore d’istocompatibilità, il locus dei geni che codificano per le proteine di superficie che presentano l’antigene alle cellule T (CD8 o CD4) del sistema immunitario. Purtroppo, non è noto se esistano alleli che conferiscano a una determinata popolazione maggiore o minore suscettibilità all’infezione, a parità di condizioni e si dovranno fare studi in proposito.
L’ipotesi numero cinque attribuisce un’azione protettiva verso il nuovo coronavirus alla vaccinazione con bacillo di Calmette-Guérin (contro la TBC), che in Giappone è obbligatoria nell’infanzia, così come in Cina, in Corea del Sud, in Russia e in India: il vaccino BCG “allenerebbe” il sistema immunitario contro qualunque aggressione da microrganismi. L’hanno almeno parzialmente dimostrato alcuni studi, l’ultimo dei quali, di un gruppo internazionale guidato dall’olandese Mihai Netea, è del 2018: secondo questi ricercatori, il BCG, che rimane vivo nella cute per parecchi mesi, non solo elicita la memoria specifica contro il Mycobacterium, ma induce la riprogrammazione epigenetica dei monociti circolanti (cellule dell’immunità innata) per un lungo periodo, inducendo una sovraregolazione (upregulation) dell’interleuchina IL-1β, indicatrice dell’attivazione immunitaria.
Sono, attualmente, in corso due studi clinici randomizzati controllati verso placebo in Olanda e in Germania, al Max Planck Institute, per valutare questo effetto protettivo.
Tabella. I programmi vaccinali relativi al BCG (Wikipedia).
Tabella. Casi e morti per 100 mila abitanti in base ai programmi vaccinali BCG.
Bibliografia
Akiko Iwasaki, Nathan D Grubaugh. Why does Japan have so few cases of COVID-19? EMBO Molecular Medicine 12: e12481 | Published online 28 April 2020
Uchida M et al. Effectiveness of vaccination and wearing masks on seasonal influenza in Matsumoto City, Japan, in the 2014/2015 season: an observational study among all elementary schoolchildren. Prev Med Rep 2017; 5: 86-91
Cao Y et al. Comparative genetic analysis of the novel coronavirus (2019-nCoV/SARS-CoV-2) receptor ACE2 in different populations. Cell Discov 2020; 6: 11
Arts RJW et al. BCG vaccination protects against experimental viral infection in humans through the induction of cytokines associated with trained immunity. Cell Host & Microbe 2018; 23: 89-100
de Vrieze J. Can a century-old TB vaccine steel the immune system against the new coronavirus? Science, 23 marzo 2020