fbpx Gli zii d'America fanno bene anche all'italia | Scienza in rete

Gli zii d'America fanno bene anche all'italia

Tempo di lettura: 3 mins

La presenza di numerosi qualificati scienziati italiani in università e istituti di ricerca all'estero, soprattutto negli Stati Uniti, costituisce anche una risorsa per la scienza in Italia.

Da anni questa sinergia è già in atto, attraverso brevi corsi intensivi insegnati in Italia da questi studiosi, la loro frequente partecipazione a comitati scientifici italiani, lo scambio d'informazioni e lo scambio di giovani ricercatori. Ho usato l'espressione semi-scherzosa gli "zii d'America" per suggerire l'affetto con il quale la maggioranza di questi studiosi (tra i quali mi annovero) segue le vicende scientifiche in Italia e si preoccupa di contribuire allo sviluppo delle collaborazioni. La ISSNAF (Italian Scientists and Scholars in North America Foundation), recentemente costituita, si prefigge di migliorare, coordinare e intensificare questi scambi. Oltre alle collaborazioni specifiche nei vari settori, penso sarebbe ottimo trasmettere ai colleghi italiani anche un certo "sentito" della vita scientifica, e più in generale accademica, qui negli Stati Uniti.

Nel momento in cui scrivo, la recessione economica globale comporta seri ridimensionamenti e incita a una riduzione delle spese. Questo avviene, lo posso testimoniare, in spirito di obiettività e di coesione, facendo il possibile per preservare il meglio e sfrondare il superfluo. Per quanto imperfetti, esistono criteri obiettivi per stabilire la graduatoria nazionale (ranking) dei dipartimenti universitari, dei programmi scientifici, e della produttività scientifica individuale.

Ogni tre o quattro anni, ogni dipartimento universitario viene soggetto a uno scrutinio rigoroso da parte di membri esterni, colleghi di altre università. Il comitato di scrutinio esterno, dopo un'attenta visita, redige un documento di valutazione (APR Academic Program Review), avendo intervistato individualmente non solo i capi di laboratorio e di istituto, i ricercatori e i docenti, ma anche (si noti bene) i rappresentanti degli studenti e il personale amministrativo (segretarie comprese). Destinato alle massime dirigenze dell'università (presidente, provost, dean) questo rapporto ha un ruolo fondamentale e spesso contiene raccomandazioni per ulteriori sviluppi di quell'unità (aree da espandere, nuovi ruoli di ricerca e insegnamento da istituire) ma anche, per le unità ritenute deboli, raccomandazioni di cambiamenti, talvolta perfino di chiusura dell'unità. Il rapporto, dopo essere stato consegnato alle massime dirigenze, viene inviato in copia ai capi unità, i quali hanno la possibilità di far sentire le loro ragioni ed esprimere il dissenso, qualora questo sussista.

Avendo, negli anni, più volte partecipato a questo processo, in diversi dipartimenti, ci tengo a testimoniare la grande schiettezza e onestà di tutti gli interessati. Sarebbe molto opportuno istituire simili procedimenti anche in Italia e, in particolare, sarebbe vitale mobilitare i colleghi italiani che operano fuori d'Italia, evitando i favoritismi dell'endogamia accademica italiana. Infine, sempre parlando del "sentito" della vita accademica americana, vale la pena di ricordare che in quasi ogni dipartimento, ogni anno, si istituiscono comitati di docenti che conducono interviste simulate con i neo dottorati, addestrandoli a presentarsi al meglio sul mercato del lavoro accademico (o del lavoro in genere).

Sapendo bene per quale posizione (o posizioni al plurale) ciascuno di questi neo dottorati ha fatto domanda e dove, si fa finta di essere il Professor Taldeitali di quell'università e si fanno le domande che presumibilmente quel professore farà veramente, allenando il candidato a rispondere nel modo migliore.

Finisco sottolineando ciò che questa pratica corrente significa, quale "sentito" essa esprime:

  • esiste un vero mercato del lavoro (compreso quello accademico);
  • la selezione verrà fatta secondo il merito e solo secondo il merito;
  • è normale che un neo dottorato vada "altrove" a intraprendere la sua carriera di ricerca e insegnamento;
  • il corpo docente che lo ha formato si preoccupa di far risaltare quanto più possibile i talenti intellettuali e personali del loro ex studente.

Spaccati di ordinaria vita accademica come questi, e ne potrei aggiungere altri, è quanto avevo in mente suggerendo che gli zii d'America trasmettano il sentito della loro esperienza scientifica fuori d'Italia. Oltre, naturalmente, a trasmettere il tesoro della loro esperienza settoriale specifica.


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Generazione ansiosa perché troppo online?

bambini e bambine con smartphone in mano

La Generazione ansiosa. Come i social hanno rovinato i nostri figli (Rizzoli, 2024), di Jonathan Haidt, è un saggio dal titolo esplicativo. Dedicato alla Gen Z, la prima ad aver sperimentato pubertà e adolescenza completamente sullo smartphone, indaga su una solida base scientifica i danni che questi strumenti possono portare a ragazzi e ragazze. Ma sul tema altre voci si sono espresse con pareri discordi.

TikTok e Instagram sono sempre più popolati da persone giovanissime, questo è ormai un dato di fatto. Sebbene la legge Children’s Online Privacy Protection Act (COPPA) del 1998 stabilisca i tredici anni come età minima per accettare le condizioni delle aziende, fornire i propri dati e creare un account personale, risulta comunque molto semplice eludere questi controlli, poiché non è prevista alcuna verifica effettiva.