Un saggio tanto conciso quanto completo sulla realtà italiana ed europea della sperimentazione animale: Io le patate le bollo vive (Giulio Einaudi editore, 2023), di Roberto Sitia e Giuliano Grignaschi, offre una panoramica sull’uso degli animali nella ricerca, non solo trattandone per esempio gli aspetti scientifici e normativi ma guidandoci anche in una riflessione etica.
Quello della sperimentazione animale è un tema che non solo genera tutt’oggi dibattito ma che rimane al cuore della ricerca scientifica. Infatti, gli animali sono ancora fondamentali per lo studio di meccanismi e dinamiche fisiologiche e patologiche, ma non per questo a ricercatori e ricercatrici “fa piacere” usarli. Capire come ridurne l’impiego, e anche come riuscire a valutare sempre meglio se la procedura in corso sta causando sofferenza e stress all’animale sono due aspetti oggi cruciali quando si parla di sperimentazione animale.
Ancora, quando si parla di uso degli animali nella sperimentazione, molti altri elementi vanno tenuti in considerazione: ci sono gli avanzamenti tecnologici e scientifici, tra limiti e prospettive che aprono; ci sono gli aspetti legislativi, che evolvono nel tempo; ci sono ovviamente gli aspetti etici, per aiutarci nelle riflessioni sul tema.
Ciascuno di questi temi si rende fondamentale per ragionare sulla sperimentazione animale non “con la pancia”, cioè facendoci guidare dalle emozioni, ma con la consapevolezza di aver valutato i molti elementi che concorrono a migliorare (o viceversa, possono rischiare di peggiorare) questa pratica. È questo anche l’obiettivo di Io le patate le bollo vive, il saggio pubblicato da Einaudi e firmato da Roberto Sitia, medico e professore all’Università Vita-Salute San Raffaele, e Giuliano Grignaschi, responsabile del benessere animale dell’Università di Milano e portavoce del gruppo Research4Life, impegnato proprio sull’informazione in tema di sperimentazione animale. Del libro colpisce prima di tutto il titolo, a dir poco bizzarro, che in realtà è una citazione. Così infatti capitò a Rita Levi Montalcini di rispondere ad alcuni animalisti particolarmente infervorati che dopo un dibattito quasi sereno sulla sperimentazione animale pretendevano di estendere un divieto assoluto di intervento anche alle piante, in quanto "esseri senzienti".
La risposta epigrammatica della Montalcini introduce quindi a un libro conciso, eppure completo sul tema forse più controverso: fare ricerca biomedica con gli animali. Il saggio spiega infatti come la sperimentazione è normata in Italia e in Europa, riporta i dati al riguardo, riepiloga i passaggi fondamentali affinché un qualunque progetto che prevede l’uso di animali possa essere approvato, descrive i metodi alternativi (o meglio ancora “complementari”) all’uso del modello animale. Approfondisce il principio delle 3R (reduce, replace, refine) che guida la ricerca in questo campo, esplorandone anche le nuove direzioni, sempre più raffinate, che sta prendendo con la “quarta R”, quella del rehoming, ossia la reintroduzione ove possibile degli animali nel loro ambiente (o, per alcune specie, dell’adozione).
Cerca anche di sfatare alcuni miti tutt’ora usati a volte come argomentazione contro l’uso degli animali a fini scientifici. È il caso dell’analisi dedicata al termine “vivisezione”, che etimologicamente altro non indica che la pratica di taglio su esseri viventi e che, fanno notare gli autori, potrebbe in questo senso essere correttamente applicato per qualsiasi chirurgo o dentista, se non addirittura ai parrucchieri; che vale anche per i veterinari che curano cani, gatti e altri animali di famiglia. Ma che, con una sorta di trucco psicologico, è ancora il termine denigratorio spesso usato per la sperimentazione animale, la quale solo molto di rado causa lesioni permanenti agli animali ma sceglie invece le pratiche meno dolorose e invasive. In accordo alla legge, certo, ma anche a vantaggio dei risultati stessi degli esperimenti, perché stress e sofferenze inducono risposte alterate rispetto a quelle di un individuo in buone condizioni psicofisiche, e rischiano dunque d'invalidare l'intero lavoro.
Soprattutto, il saggio ci offre l’opportunità di seguire la storia e porci davanti ad alcune riflessioni etiche per quanto riguarda la sperimentazione animale. Trattando i concetti di specismo e diritti quantomeno di tutela delle altre specie, per esempio, il libro evidenzia la nostra inevitabile arbitrarietà nel momento in cui siamo chiamati a dare il “patentino di senzienza” a un organismo; è questa arbitrarietà a portarci a uccidere senza scrupoli i batteri patogeni, pure ben più forti, in termini di numeri, rispetto a noi, e ritenere invece criminale chi picchia un cane. In questo senso, il saggio è di un’onestà, di una trasparenza disarmanti: «Da un punto di vista etico, siamo in una situazione simile a quella del giovane medico che disponeva di un solo respiratore per due pazienti. La decisione non può che essere pragmatica», scrivono gli autori. «Per proteggere animali, operatori sanitari e pubblico le norme devono essere rigorose, ma saranno sempre stabilite arbitrariamente e in maniera specista, anche se condivise sulla base di una sensibilità comune».
Cosa significa allora leggere questo saggio? Ci aiuta a convivere meglio con l’idea che alcune specie sono sfruttate per il nostro (e non solo, in realtà) benessere? No, ma nemmeno ne ha l’intento. Semmai, aiuta chi legge a evidenziare molte delle necessità e anche contraddizioni che caratterizzano la nostra società (interessante domanda: quanti sono i ratti sacrificati nella sperimentazione animale e quanti nelle normali campagne di deratizzazione cittadine?) guidandoci, al contempo, nella logica che l’ha portata ad avvalersi degli animali in campo biomedico. Insieme, fornisce le informazioni necessarie per una discussione consapevole sul tema, anche per esempio dando uno sguardo agli indirizzi che la sperimentazione sta prendendo. Ci sono per esempio i già citati metodi alternativi che, come accennato, sarebbe preferibile definire complementari: culture cellulari 3D, organoidi, organ-on-a-chip, modelli computerizzati eccetera sono strumenti straordinari per la ricerca, ma «l’espressione stessa “metodo alternativo” o “sostitutivo” si presta alla confusione. I non addetti ai lavori possono pensare che si tratti di una strategia di ricerca in grado di sostituire totalmente la sperimentazione animale e che esistano modelli che permettono di non dover ricorrere affatto all’uso di esseri senzienti. In effetti, oggi modelli del genere esistono, ma sono in realtà pochissimi», spiegano Sitia e Grignaschi. Semmai, tali metodi sono un complemento, un aiuto che permette di limitare, senza eliminarlo del tutto, l’impiego di animali, perché non consentono ancora di simulare del tutto e in modo soddisfacente la complessità di un organismo vivente.
Gli autori precisano fin dall’introduzione che il loro libro «Non si rivolge alle frange estreme, generalmente mosse da odio e ideologia più che da sentimento e ragione». Semmai, scrivono, è l’intento di una spiegazione onesta e quanto più possibile completa sulla realtà della sperimentazione animale. Loro non lo dicono, ma proprio in questo senso si potrebbe forse intendere, allora, come un libro per “animalisti”, cioè per chi (senza addentrarci nelle diverse correnti di pensiero che questo termine può portare con sé) crede nella necessità di tutelare le altre specie e garantirne il benessere: perché è solo comprendendo logiche, dinamiche, norme e leggi, avanzamenti, obiettivi e limiti della realtà della sperimentazione animale che possiamo, con cognizione di causa, ragionare sulle strategie che permettono di migliorarla.