Il cancro è una malattia espansionistica, invade i tessuti, colonizza territori ostili, cerca rifugio in un organo e poi migra in un altro. Vive disperatamente, con inventiva e ferocia. Affrontare il cancro significa venire a contatto con una specie parallela, una che forse è più adatta alla sopravvivenza perfino di noi. “Il cancro è un invasore, un colonizzatore dal successo fenomenale in parte perché sfrutta le caratteristiche che hanno portato al successo la nostra specie. Le cellule tumorali sono versioni più perfette di noi stessi”.
Tendiamo a pensare al cancro come una malattia “moderna”, come emblema del ventesimo secolo così come la tubercolosi per quello precedente. Ma il cancro, come racconta magistralmente Siddharta Mukherje nel libro L’imperatore del male (Neri Pozza 2011), è una malattia antica, è sempre stato con noi ma non sempre nello stesso modo. La sua cura e la gestione hanno differito nel tempo.
Il primo a descrivere la malattia è il medico egiziano Imhotep, che in un papiro risalente al 2625 a.C., al caso numero quarantacinque scrive: ”quando si incontra un caso di gonfiori al petto e i gonfiori non presentano granulomi, non contengono fluidi ci si trova davanti a un caso di tumefazioni”. Nel papiro ogni caso citato era seguito dai rispettivi trattamenti, per il caso quarantacinque però, nella sezione terapia, si leggeva una solo una parola: ”nessuna”. E’ Ippocrate a dare il nome di karkinos, il tumore circondato da vasi sanguigni gli ricordava un granchio nascosto nella sabbia con le zampe disposte in cerchio. Mukherje racconta una serie di tappe esaltanti e crudeli, secoli di scoperte, casi di serendipity, sconfitte, di eroi inconsapevoli, intreccia oltre un secolo di storie scientifiche e umane. Ricercatore presso il Massachusetts General Hospital di Boston, il tumore lo conosce bene: lo ha osservato, lo ha studiato, lo ha “capito”. Ogni pagina è piena di personaggi e delle loro storie incredibili, troviamo in una fabbrica di tubi sottovuoto a Chicago nel 1896, Emil Grubbe, giovane studente di medicina che per primo adopera i raggi X per curare un tumore al seno di una anziana signora. Le “pallottole magiche” di Ehrlich che hanno fatto da apripista all’utilizzo della chemioterapia. I bambini malati dei primi anni Cinquanta che faticosamente salgono i gradini di cemento, che portano all'ingresso del nuovo ospedale voluto da Sidney Farber a Boston, nella speranza di trovare una cura. E’ proprio Farber a capire come la malattia aveva bisogno di essere trasformata politicamente prima di poter essere trasformata scientificamente.
Per raggiungere questo obiettivo viene aiutato da Mary Lasker, donna raffinata della New York bene, che con passione e ostinazione facendo pressioni sul mondo politico riesce a raccogliere numerosi fondi. Mukherjee descrive l’incontro tra i due come l'unione di due viaggiatori "ciascuno con una metà di una mappa". Il campo di battaglia al centro della mappa è stato Washington e l'alleanza politica con Richard Nixon. Nel 1971 il Presidente degli Stati Uniti firma il National Cancer Act, che fornisce 1,5 miliardi dollari in tre anni per combattere la guerra contro il cancro. Da quel momento era come se la più profonda minaccia per gli americani non fosse più la bomba, ma qualcosa all'interno del corpo umano. Il libro è pieno di storie di donne come quella di Fanny Rosenow, alla quale il New York Times rispose che non era possibile pubblicarle un annuncio, su un gruppo di supporto per pazienti sopravvissuti al tumore, il testo prevedeva la parola tumore che doveva essere sostituita invece con il più generico "malattie della cavità toracica". Nel corso delle pagine si capisce come il cancro facesse paura ma allo stesso tempo come la malattia venisse “sottovalutata”; a causa forse della scarsissima conoscenza. Si credeva infatti che la cura fosse a portata di mano: “oggi la luna, domani il cancro” si diceva nel 1969. E poi ci sono i pazienti, i malati di cancro: dalla regina persiana Atossa, che chiese al suo schiavo di tagliarle un seno affetto da tumore, passando per il piccolo Robert Sandler, al quale il libro è dedicato, fino a Carla, paziente dello stesso Mukherje colpita da leucemia. In uno dei capitoli finali del libro, traccia le strade che la medicina oncologica dovrà intraprendere: la terapia genetica, per poter individuare le mutazioni responsabili di ogni singolo cancro, la prevenzione, che richiede studi epidemiologici su vastissima scala per evidenziare possibili fattori di rischio. Mukherjee non offre false speranze: "Non una singola cura universale è in vista e non è probabile che sia”. "Questa guerra contro il cancro", conclude, "potrebbe essere meglio 'vinta', ridefinendo la vittoria". L’epitaffio per l’imperatore delle malattie non è stato ancora scritto ma la sua espansione sfrenata è in percettibile ritirata.