"Sistema le gambe nella posizione che ti è più comoda, tieni la colonna vertebrale dritta come un fuso e metti le mani nella posizione meditativa, con le quattro dita all'altezza dell'ombelico e i pollici congiunti a formare un triangolo. Così avrai il maggiore contatto possibile con il calore generato all'interno del tuo corpo. Tieni gli occhi socchiusi, senza forzarli e se hai gli occhiali toglili, ma stai attento a non rilassarti troppo per via degli oggetti sfuocati. Dopo un po' di pratica vedrai la tua mente come acqua pura".
Forse per avvicinarsi alla meditazione conviene partire da questi consigli del Dalai Lama. Gesti semplici – ma solo in apparenza - per avvicinarci a una pratica millenaria che attraversa la storia di tutte le principali religioni per approdare, un po' prosaicamente, nei centri fitness. E se oggi inevitabilmente “si medita” per scrollarsi di dosso lo stress – quasi la meditazione fosse il succedaneo di uno psicofarmaco – in altre epoche e ad altre latitudine questa pratica fa parte di un processo di iniziazione e purificazione spirituale.
Lo Yoga e la soprressione degli stati di coscienza
Le pratiche più antiche di meditazione si fanno risalire all'induismo vedico, che si sviluppò nell'attuale regione del Punjab (fra l'attuale India e Pakistan) prima ancora del II millennio a.C. E' in quel crogiolo culturale che la meditazione trova il suo spazio, proprio come risposta pratico-filosofica all'equazione fra dolore ed esistenza posta dalle prime mistiche indiane. Secondo i più antichi testi vedici, l'esistenza dell'uomo si configura, per la sua natura corporea, come fonte di perenne dolore. E se questa è la prima legge dell'esistenza, il saggio e l'asceta hanno il compito di indicare la strada per affrancarsi da questo patimento, o attraverso l'esercizio della conoscenza o di particolari tecniche contemplative come lo Yoga.
Secondo lo Yoga-sutra di Patanjali, che nel II secolo d.C. ha il merito di ordinare in una dottrina le tradizioni millenarie di questa disciplina, lo Yoga è “la soppressione degli stati di coscienza”. Uscire, liberarsi dal sé mondano, soggetto passivo di una coscienza schiava delle passioni e dei sensi, è l'obiettivo che si pone la meditazione dello yogin. Che non è un pensare astratto o libresco, ma un percorso di ascesi da realizzare con precisi esercizi e posture. Il punto di partenza è la capacità di concentrarsi su un singolo oggetto, che prende il nome di ekagrata. In questo modo, come racconta lo storico delle religioni Mircea Eliade, “ci si rende insensibili a ogni altro stimolo sensoriale o mnemonico. Tramite l'ekagrata si ottiene una volontà vera, il potere, cioè di governare liberamente un'importante settore dell'attività mentale. Va da sé che l'ekagrata non può realizzarsi se non attuando esercizi e tecniche, nei quali la fisiologia tiene un posto capitale. Non sarebbe possibile, per esempio, raggiungere questo stato se il corpo fosse in posizione faticosa o semplicemente difficile, e neppure se la respirazione fosse disorganica e aritmica. Ecco perché, secondo Patanjali, la tecnica jogica implica molte categorie di pratiche fisiologiche e di esercizi spirituali, che bisogna aver appreso se si vuole raggiungere l'ekagrata e, infine, la concentrazione suprema, il samadhi”.
Attraverso posizioni che portino al rilassamento e al controllo del respiro, ma anche alla recitazioni di particolari mantra, ci si dispone così ad arrivare sotto la guida di un guru a una condizione di imperturbabilità molto simile a quella di una pianta. Ma dietro quell'uomo trasformato in placido vegetale c'è la liberazione della condizione mondana, la piena consapevolezza del vero sé, oltre il velo illusorio e doloroso delle apparenze. Nella dottrina dello Yoga praticato dai santoni Induisti il culmine della meditazione sfocia in un avvicinamento alla divinità (Içvara).
L'ottuplice sentiero di Siddharta
Un'illuminazione senza dio è invece l'approdo della meditazione buddhista, che si oppone all'eccessivo misticismo e ascetismo degli yogin indù per reinterpretare le tecniche di meditazione in chiave più terrena. Nella religione buddihsta resta comunque l'esigenza di meditare per superare la sofferenza che accompagna come un'ombra l'esistenza umana. Per far questo l'insegnamento di Siddhartha propone il “Nobile ottuplice sentiero”, fatto di comportamento retto e campassionevole, ma anche di disciplina mentale da raggiungere tramite la meditazione. Solo seguendo queste vie si può ambire a imboccare la via del nirvana. Ancora una volta, la strada è la concentrazione mentale, che mette fra parentesi le contingenze del mondo. Le tecniche per raggiungerla sono le più diverse, ma la principale – come racconta Malcom David Eckel, docente di religioni comparate all'Università di Boston - “consiste nel sedere con la schiena eretta e le gambe incrociate, e coltivare la consapevolezza del proprio respiro. Il proposito è quello di calmare la mente, ridurre le emozioni nocive e diventare pienamente consapevoli del flusso della realtà che compone il sé e il mondo. Altre forme di meditazione comprendono una deliberata creazione di immagini mentali – spesso si tratta di un Buddha – che fungono da oggetto di adorazione”.
Il Nirvana del... marketing
Solitamente associata alle dottrine orientali, la meditazione è un elemento comune alla maggior parte delle religioni ed è parte integrante delle culture monoteiste. Tra cristiani e musulmani, ad esempio, è considerata una forma di preghiera grazie alla quale i fedeli si avvicinano a Dio, concentrandosi su loro stessi e sugli altri. Ma la meditazione come componente condivisa da più religioni ha anche una testimonianza tangibile, che va aldilà della spiritualità, basti pensare alle collane per la preghiera: il rosario per i cristiani, il japa mala per gli induisti, lo juzu per i buddisti e il mishbaha per i musulmani.
Nata per la religione, la meditazione si è diffusa nel mondo occidentale secolarizzato come tecnica di rilassamento. Pratiche come lo Yoga o i Mantra sono apprezzate non solo per i benefici che procurano a livello psicologico, ma anche per gli effetti positivi che hanno sulla salute. Secondo uno studio promosso dall’Università di Harvard, la meditazione sarebbe in grado di indurre nell’organismo cambiamenti a livello fisico e biochimico, ed è ormai accertato che il rilassamento conseguente, per esempio, alla meditazione trascendentale, possa influire sul metabolismo, il ritmo cardiaco, la pressione arteriosa e la respirazione.
C'è addirittura chi si spinge a trasformare in ricette la pratica millenaria. “Bastano otto settimane per imparare a mettere a riposo il sistema cardiovascolare, riequilibrare il sistema nervoso e permettere al sistema immunitario di esprimere le proprie potenzialità”, dichiara Kabat-Zinn, medico statunitense, e fondatore della Clinica per la riduzione dello stress presso l’Università del Massachusetts.
Tolto l'ingombrante sottofondo mistico-religioso resta un supermarket di tecniche per così dire laiche (spesso per testoline inquiete e confuse, un po' new age, annoiate dalla indigeribilità della confessione di casa propria) tra cui spiccano sul mercato la “meditazione trascendentale”, un marchio registrato introdotto nel 1958 da Maharishi Mahesh Yogi e diffuso in tutto il mondo, ma specialmente negli USA, con il suo programma standardizzato in sette passi. O la meditazione vipassana, di ascendenza buddhista messa a punto da monaci birmani e thailandesi un secolo addietro, che anche in molti centri italiani viene proposta in corsi di una decina di giorni.
Poi c'è l'Ikea della meditazione sotto la stella del santone degli arancioni Osho Rajneesh (1931-1990), con un catalogo online che offre tecniche per tutti i gusti – dalla dinamica alla kundalini, da quella danzante (nataraj) a quella notturna (gourishankar). Ma lì più che il nirvana forse si scopre la potenza del marketing.
Pubblicato su Geo, luglio 2008