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Nucleare: non cambio idea

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La politica per sua natura può avere ripensamenti, la scienza deve invece pensare più a fondo. Così ho molto apprezzato l'articolo di Francesco Merlo di ieri, perché mi invita aprecisare la mia posizione sul nucleare. E lo faccio pur rendendomi conto che il sovrapporsi delle dichiarazioni, l'inevitabile intreccio fra politica, cronaca e scienza di fronte a un disastro come quello giapponese, e lo sgomento generale che ci attanaglia, rendono molto difficile esprimere posizioni chiare.

Il punto è molto semplice: io sono uno scienziato e il presidente dell'Agenzia perla sicurezza del nucleare. Non mi occupo di referendum, non leggo i sondaggi di nessun tipo e quindi neppure quelli che Merlo definisce "di cortile". Dunque ciò che appare come un ripensamento è invece l'esito di una riflessione. Studiando il più lucidamente possibilela dinamica di Fukushima ho pensato che ci troviamo di fronte al primo grave incidente di progettazione nucleare della storia, quindi di strategia. Gli altri due incidenti significativi, Chernobyl e Three Mile Island, sono stati infatti causati da un errore umano. Per Chernobyl più che di errore dovremmo parlare di follia. Ma anche negli Stati Uniti fu un errore dei tecnici a causare la fusione del nocciolo, che fortunatamente non causò nessuna vittima.

Va detto subito che sull'errore umano si può intervenire migliorando la preparazione, l'addestramento e le condizioni di lavoro. Un po' come si fa con ipiloti d'aereo. Invece a Fukushima non c'è stato nessun errore riconducibile al personale addetto, ma un errore di progettazione: le centrali non erano programmate per resistere a uno tsunami della portata di quello scatenatosi la scorsa settimana. Le fonti tecniche dicono che la progettazione teneva conto di tsunami di intensità minore. Ma questa è comunque una mancanza perché nel costruire una centrale nucleare sul Pacifico non si può non tenere conto della massima potenza delle forze del mare e della Terra. Non è una giustificazione il fatto che erano centrali attivate quarant'anni fa, e che erano quindi alla fine del loro ciclo vitale.

La lezione che credo dobbiamo trarre da Fukushima è che non possiamo non rivedere la strategia nella progettazione degli impianti nucleari. Il che non vuol dire ripensare o tornare sui propri passi, ma capire il problema alla radice, avere il coraggio di riconoscerlo e sforzarci di superarlo. Se è vero – ed è scientificamente vero – che senza l'energia nucleare il nostro pianeta, con tutti i suoi abitanti, non sopravviverà, non dobbiamo fare marcia indietro, ma andare avanti, ancora più in là, con la conoscenza e il pensiero scientifico. Dobbiamo pensare al futuro tenendo conto che petrolio, carbone e gas hanno i decenni contati e che sono nelle mani di pochissimi Paesi, che possono fare delle fonti di energia strumento di ricatto economico epolitico; che stiamo avvicinandoci ai 7 miliardi di persone sulla Terra, con consumi sempre maggiori di energia; che le altre fonti di energia, le rinnovabili, hanno grandi potenzialità, ma per alcune non abbiamo le tecnologie che rendano accessibili i costi di trasformazione e globalmente non sono sfruttabili inmodo tale da assicurarela copertura del fabbisogno. La scelta dell'energia nucleare è dunque inevitabile e il nostro compito è ora quello di garantirne al massimo la sicurezza per l'uomo e l'ambiente. Abbiamo per anni sostenuto che gli impianti di ultimagenerazione sono sicuri e con un rischio di incidente vicino allo zero. Oggi il Giappone ci impone di riconsiderare criticamente questa convinzione. Molti si domandano se il modello delle centrali nucleari di grossa taglia, come sono oggi tutte quelle del mondo, sia quello da continuare a realizzare; oppure se non è possibile ed opportuno considerare l'adozione di reattori più piccoli e modulari: una rete di minireattori. Alcuni di questi modelli progettuali sono già in produzione e dovremo studiarne a fondo le caratteristiche e la fattibilità.

La tragedia giapponese ci impone inoltre di pensare fuori dalle logiche nazionali. E' evidente ora che i piani energetici devono essere discussi a livello internazionale. In Italia ci troviamo nella circostanza favorevole di partire da zero e quindi di poter scegliere, senza fretta, il modello strategico migliore.

Articolo pubblicato da Repubblica il 19 marzo 2011


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