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La pandemia silenziosa dell’antibiotico-resistenza

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Il fenomeno dell'antibiotico-resistenza è multifattoriale e complesso: i dati più recenti per l'Europa e l'Italia, pubblicati sul sito di epidemiologia Epicentro dell’Istituto Superiore di Sanità, indicano un'accentuata variabilità geografica per la prima, mentre nel nostro paese ci confrontiamo con sfide specifiche. Michela Moretti riporta il quadro che ne emerge.

Crediti immagine: Diana Polekhina/Unsplash

L'antibiotico-resistenza (AMR, dall'inglese antimicrobial resistance) è riconosciuta come una delle prime dieci minacce alla salute pubblica globale. Dai dati pubblicati sul sito di epidemiologia Epicentro dell’Istituto Superiore di Sanità emerge il quadro aggiornato al 2022 della situazione in Europa e in Italia. Mentre l'Europa continua a lottare con l'antibiotico-resistenza, con un'accentuata variabilità geografica, l'Italia si confronta con specifiche sfide, come l'aumento dei casi di resistenza ai carbapenemi, antibiotici ad ampio spettro, e la persistente resistenza in diversi patogeni.

AMR, un fenomeno multifattoriale e complesso

Stefania Stefani, presidente della Società Italiana di Microbiologia, commentando i report pubblicati, ricorda che il fenomeno dell'antibiotico-resistenza è multifattoriale e complesso: «I microrganismi sono diventati resistenti a più famiglie di antibiotici contemporaneamente, il che rappresenta un cambiamento significativo rispetto al passato. Inoltre, la mancanza di nuovi antibiotici è un problema serio: negli anni '70 e '80 si sviluppavano nuovi antibiotici, ma ora è meno frequente, poiché l'industria farmaceutica trova costoso e impegnativo svilupparne di nuovi, specialmente per patologie acute».

Questa resistenza è frutto di una selezione naturale, dove i microrganismi hanno sviluppato diversi modi per sopravvivere. «L'antibiotico-resistenza è un problema che persiste da anni, ma ora parliamo di resistenza più dettagliatamente, riflettendo sull'uso improprio degli antibiotici e sugli effetti ambientali. I microrganismi, come tutti gli esseri viventi, hanno creato meccanismi come lo scambio genico e la mutazione. Questo è il risultato di anni di pressione selettiva esercitata dagli antibiotici. Quando si usano antibiotici, si selezionano inevitabilmente ceppi resistenti». Questo accade sia nell'uso umano che in veterinaria, e questi ambiti contribuiscono alla diffusione di microrganismi sempre più resistenti negli ospedali e nell'ambiente, che funge da serbatoio per i geni di resistenza. «Si tratta di una correlazione complessa tra più attori che insieme peggiorano la situazione», spiega Stefani. «L'inquinamento e le condizioni atmosferiche, come i PM2.5, possono creare un ambiente che peggiora la gestione delle infezioni e la risposta del nostro organismo alle stesse».

Anche su Lancet dello scorso agosto, uno studio ha dimostrato correlazioni significative tra PM2.5 e resistenza agli antibiotici a livello globale nella maggior parte dei batteri resistenti agli antibiotici. Nel 2018, la resistenza agli antibiotici derivata da PM2.5 ha causato circa 0,48 milioni di morti premature e 18,2 milioni di anni di vita persi a livello mondiale. L'analisi ha anche proiettato tendenze future e, in uno scenario in positivo, cioè nel caso di una riduzione dell’inquinamento da PM2.5, è stata stimata una riduzione della resistenza agli antibiotici del 16,8% e una prevenzione del 23,4% delle morti premature (se la concentrazione di PM2.5 nell'aria fosse controllata a 5 µg/m³ entro il 2050). Anche la diffusione di microbi in nuove aree geografiche, come evidenziato da recenti studi sul permafrost, mostra che i geni di resistenza esistono nell'ambiente indipendentemente dall'uso degli antibiotici.

Se è un fenomeno naturale, cosa possiamo fare? «I dati di sorveglianza indicano che, sebbene siamo peggiorati da dieci anni a questa parte, ci siamo stabilizzati negli ultimi tre anni. Abbiamo attivato procedure che ora devono essere potenziate, pertanto sono necessari maggiori investimenti perché il problema deve essere affrontato su più fronti», spiega Stefani. Diversi attori sono chiamati a collaborare: ospedali, infettivologi, veterinari, policy makers e la popolazione generale. «Gli infettivologi devono prescrivere terapie mirate, la veterinaria non dovrebbe utilizzare antibiotici destinati all'uso umano, a meno che non sia strettamente necessario, evitando l'autoprescrizione. Bisogna migliorare la diagnostica microbiologica e la ricerca deve continuare per sviluppare nuove strategie e farmaci. È fondamentale che tutte queste azioni procedano in parallelo, dato che un approccio isolato fallirebbe di fronte a un problema così complesso. È un problema che richiede azioni congiunte e multifattoriali».

La collaborazione internazionale e un approccio olistico sono necessari per affrontare questa minaccia. Come specificato nei documenti pubblicati su Epicentro, a livello nazionale la focalizzazione sulla sorveglianza, sulla tempestività nelle segnalazioni e sull’aderenza alle linee guida per il controllo delle infezioni rappresenta un aspetto importante per il controllo efficace dell'AMR. Quale è dunque la situazione a oggi?

Il panorama europeo e italiano

La sorveglianza europea dell'antibiotico resistenza, condotta tramite le reti CAESAR e EARS-Net, ha evidenziato variazioni significative nella resistenza agli antimicrobici a seconda della specie batterica, del gruppo antimicrobico e della regione geografica. I dati mostrano che c'è una tendenza nord-sud e ovest-est nella resistenza, con tassi più elevati di resistenza nei paesi dell'est e del sud. Alcuni batteri, come Klebsiella pneumoniae e Pseudomonas aeruginosa, hanno mostrato alti tassi di resistenza a più famiglie di antibiotici. La resistenza ai carbapenemi in Klebsiella pneumoniae e ad altri batteri è motivo di seria preoccupazione, suggerendo la diffusione di cloni resistenti negli ambienti sanitari e limitando le opzioni di trattamento.

Tra le azioni consigliate nel documento, si sottolinea la promozione dell'igiene, interventi che mirano all’utilizzo ottimale degli antibiotici e le campagne di sensibilizzazione per controllare l'antibiotico resistenza.

L’Istituto Superiore di Sanità gestisce il sistema di sorveglianza nazionale, che si basa su una rete di laboratori ospedalieri in Italia che inviano dati di sensibilità agli antibiotici per otto patogeni principali. Nel 2022, 173 laboratori hanno partecipato alla sorveglianza, coprendo il 61.7% delle giornate di degenza ospedaliera in Italia, con un aumento della copertura rispetto al 2021. I patogeni monitorati includono specie Gram-positive come Staphylococcus aureus, Streptococcus pneumoniae, Enterococcus faecalis e faecium, e Gram-negative come Escherichia coli, Klebsiella pneumoniae, Pseudomonas aeruginosa e del genere Acinetobacter.

Si è riscontrata una certa variabilità territoriale nei valori di resistenza, specialmente per le principali combinazioni patogeno/antibiotico. Le percentuali di resistenza agli antibiotici rimangono elevate per molti patogeni. Per esempio, Klebsiella pneumoniae resistente ai carbapenemi ha mostrato una diminuzione della resistenza dal 2015 al 2022, mentre Enterococcus faecium resistente alla vancomicina ha mostrato un trend in aumento. Il documento sulla sorveglianza nazionale delle batteriemie (presenza di batteri nel sangue) da enterobatteri resistenti ai carbapenemi conferma la larga diffusione di batteriemie da CRE (cioè enterobatteri resistenti ai carbapenemi), con 3.056 casi segnalati nel 2022, soprattutto in pazienti ospedalizzati, con un aumento dell'incidenza rispetto al 2021, e con variazioni regionali significative (l'Italia centrale ha mostrato la maggiore incidenza).

Le persone più coinvolte sono prevalentemente di sesso maschile, tra i 60 e i 79 anni, ricoverati in terapia intensiva. Il patogeno maggiormente diffuso è ancora il Klebsiella pneumoniae, e i casi riguardano principalmente pazienti con un'età mediana di 72 anni, già ospedalizzati al momento dell'inizio dei sintomi.

Bisogna trattare l’antibiotico-resistenza come una pandemia

Durante la pandemia di influenza H1N1 del 2009, i microbiologi ambientali avevano avvertito che il picco nell'uso di antibiotici avrebbe portato a più infezioni batteriche resistenti. La stessa cosa sta accadendo ora con il Covid-19, ma su una scala molto più vasta. La resistenza ad alcuni degli antibiotici su cui facciamo affidamento è con molta probabilità una conclusione inevitabile.

Questo aumento della resistenza avviene mentre il flusso di nuovi antibiotici è quasi esaurito e, sebbene le iniezioni di denaro pubblico abbiano risultato in una serie di composti promettenti, le grandi aziende continuano ad abbandonare il campo. L’OMS, tutti i Paesi nelle condizioni e le aziende farmaceutiche hanno fatto grandi investimenti in breve tempo per sviluppare i vaccini anti-Covid: è così poco auspicabile un intervento congiunto simile per affrontare il problema dell’antibiotico resistenza?

 


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