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Una preghiera per la ricerca

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Silvio Garattini
Tempo di lettura: 4 mins

Pubblichiamo la versione integrale dell'appello di Silvio Garattini sulla ricerca, apparsa come lettera sul quotidiano La Repubblica il 4 giugno 2019.

Credo che il pubblico, la classe dirigente e i politici di questo bel Paese di fatto non si rendano conto che, continuando a trascurare la ricerca scientifica, stiamo andando verso una grande riduzione del nostro potenziale industriale con la mancanza di prodotti ad alto valore aggiunto, l’impoverimento del nostro livello culturale e, in definitiva, una costante caduta delle nostre risorse economiche. In tutto il mondo la situazione è diversa. Negli Stati Uniti i National Institutes of Health aveva chiesto un miliardo di dollari in più, il Congresso ne ha concessi 3; la Cina ha aumentato le sue risorse per la ricerca e sta facendo ponti d’oro a tutti coloro che vogliono rientrare; la Germania, che spende già il 3,5 percento del suo prodotto interno lordo per la ricerca, ha recentemente annunciato che spenderà altri 18 miliardi di euro spalmati su 10 anni; in media i Paesi dell’Unione Europea spendono quasi il doppio di quanto attualmente spende il nostro Governo.

Fra l’altro non abbiamo neppure un’idea precisa di quanto spendiamo, perché spesso si confonde la spesa universitaria con la spesa per la ricerca. Non solo ma i fondi arrivano sempre con anni di ritardo e non si è al corrente di quando verranno versati. I bandi di concorso non sono mai annuali, non c’è alcuna programmazione. Gli stanziamenti dell’1,2 percento per la ricerca sono realizzati a pioggia – sarebbe più giusto dire che recentemente sono a goccia –, includono anche quelli privati, tra i più bassi d’Europa. Se lo Stato non supporta la ricerca, è difficile che i privati spendano per usufruire della conoscenza che ne deriva.

L’errore di fondo per pubblico e privato è sostanzialmente quello di ritenere il supporto alla ricerca scientifica una spesa anziché un investimento. Come si fa a progredire senza ricerca? Forse il problema non è recepito perché la scienza non è inclusa nella cultura che in Italia è ancorata a Croce e Gentile, una cultura di tipo letterario-filosofico-artistico che non si è mai integrata con la scienza, né si è tentato di integrarla attraverso i programmi di insegnamento a tutti i livelli. Si dice anche che la nostra scuola è la migliore. E’ probabile e nessuno si sogna di togliere la componente umanistica, ma qualcuno dovrebbe spiegare come mai si fanno congressi sulla terra piatta, si parla di agricoltura biodinamica, si rigettano a priori gli OGM, si rincorrono e si finanziano le terapie di Di Bella e Stamina e si rigetta invece l’utilizzo dei vaccini.

Si dice inoltre che anche con pochi soldi i nostri ricercatori sono fra i migliori del mondo, perché hanno lo stesso livello di pubblicazioni come quelli dei Paesi che spendono di più. E’ vero, ma come mai l’Italia è intorno al trentesimo posto per quanto riguarda l’innovazione? E perché anche molti dei giovani che vincono prestigiosi progetti europei, vanno a spendere le risorse in altri Paesi? Semplicemente perché oggi la ricerca si realizza con masse critiche, multi e interdisciplinari, nonché con apparecchiature e in infrastrutture che da noi sono carenti. Vi sono certamente alcune eccezioni, ma conta la media e non le cattedrali nel deserto.

La situazione è giunta veramente a un livello di “miseria”, che è veramente preoccupante.

Quello che bisogna fare lo sappiamo tutti, ma è difficile convogliarlo a chi deve prendere decisioni. E’ridicolo che dai Ministeri competenti giungano all’accademia inviti a realizzare più brevetti come se lo scopo della scienza non fosse anche l’aumento della conoscenza. Analogamente la collaborazione con l’industria è importante, ma ognuno deve mantenere il suo ruolo. Ad esempio, nel campo della ricerca terapeutica il ruolo dell’accademia non può essere solo quello di reclutare pazienti su protocolli calati dall’alto, solo per avere soldi da spendere per qualche ricerca conoscitiva. Bisogna invece che lo Stato introduca la scienza nelle scuole, non come materia secondaria. E’ necessario divulgarne la metodologia, che si deve utilizzare per sapere affrontare scelte in una società sempre più tecnologica. Occorre stabilire delle priorità: non si può far tutto, ma è necessario alimentare con la ricerca le grandi attività del Paese: l’ambiente, l’energia, la salute. Come si possono spendere circa 115 miliardi di euro per il Servizio Sanitario Nazionale senza utilizzarne un’adeguata percentuale per sapere come migliorare costantemente la prevenzione, la diagnosi, la terapia, la riabilitazione?

Bisogna stabilire una cabina di regia per la ricerca, oggi inesistente: ogni Ministero ha qualche briciola da spendere e non vuol metterla in comune. Se siamo arrivati a questo livello così basso bisogna riconoscere che è anche colpa nostra. Siamo noi ricercatori che non abbiamo saputo farci sentire, fare proposte unitarie. Forse a causa della “povertà” non siamo capaci di far rete, squadra, gruppo; siamo diventati individualisti, forse nel tentativo di sopravvivere. Se non cambiamo atteggiamento, non avremo futuro. Dobbiamo unirci perché abbiamo il dovere di creare un Paese migliore per le giovani generazioni. Senza la scienza è impossibile!

 


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