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Quante donne tra i corresponding author? Lo studio di Nature

La rivista Nature ha analizzato i propri dati sulla presenza di donne tra i corresponding author degli articoli ricevuti e poi di quelli accettati dal giornale: nei 5000 lavori sottomessi al giornale negli ultimi cinque mesi, si registra una marcata superiorità nelle percentuali maschili per i lavori sottomessi, mentre la differenza percentuale tra i lavori accettati diventa meno evidente, anche se sembra sempre essere presente.

Crediti immagine: Immagine di DC Studio su Freepik

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In occasione dell’8 marzo, la rivista Nature pubblica un editoriale dedicato a uno studio sulla presenza di donne tra i corresponding author degli articoli ricevuti e poi di quelli accettati dal giornale. Stiamo parlando di un giornale generalista, con un impact factor altissimo, che è in cima alla lista dei desideri di quasi tutti gli scienziati del mondo.

Da qualche mese a questa parte, Nature chiede ai corresponding author, cioè gli autori che tengono i contatti con la rivista e che, in generale, sono i più coinvolti nella ricerca oppure i più alti in grado, di dichiarare il loro sesso. Vengono date quattro possibilità: maschile, femminile, né l’uno né l’altro, oppure nessuna risposta. Non è una curiosità ma piuttosto un parametro per stimare la presenza femminile in modo corretto, evitando gli errori insiti nel riconoscimento dei nomi propri delle persone che possono portare a confusioni.

L’analisi di 5000 lavori sottomessi al giornale negli ultimi cinque mesi ha evidenziato una marcata superiorità nelle percentuali maschili per i lavori sottomessi, mentre la differenza percentuale tra i lavori accettati diventa meno evidente, anche se sembra sempre essere presente. Nel periodo esaminato, fatti salvi 500 autori che hanno preferito non rispondere alla domanda a proposito del loro genere, solo il 17% ha dichiarato di appartenere al sesso femminile. Una percentuale solo leggermente più alta di quella calcolata nel 2018 ma decisamente inferiore alla popolazione femminile nel mondo della ricerca che, secondo i dati UNESCO, nel 2021 si aggirava intorno al 32%.

La percentuale delle donne corresponding author di Nature non è uguale in tutto il mondo: le differenze geografiche ci sono e sono importanti. Si va da un minimo del 4% in Giappone al 22% degli Stati Uniti, passando per l’11% della Cina. Sono numeri veramente bassi, che spingono Nature a interrogarsi su cosa si debba o si possa fare per migliore questo disequilibrio che testimonia come il numero delle scienziate in posizioni di responsabilità sia ancora insufficiente.

L’editoriale esamina cosa succede dopo la sottomissione, quando gli articoli sono esaminati dagli editori della rivista che devono decidere quali rifiutare subito (la grande maggioranza) e quali sottoporre alla procedura di controllo da parte di altri scienziati. Gli editori di Nature formano un gruppo diverso, con un numero di donne superiore a quello degli uomini, e il loro giudizio è ugualmente severo: solo il 17% dei lavori ricevuti vengono esaminati in dettaglio e questa percentuale è la stessa, indipendentemente dal sesso dell’autore responsabile. La differenza arriva dopo, perché il 46% dei lavori femminili sono stati accettati contro il 55% di quelli maschili. Alla fine del processo, il tasso di successo delle donne si aggira intorno all’8% (58 accettati su 726 inviati) contro il 9% (320 accettati su 3522 inviati) registrato per gli uomini.

Benché si stia parlando di numeri non grandissimi, la differenza è simile a quella riscontrata in uno studio molto più esteso fatto nel 2018 su 25 giornali della famiglia Nature, nei quali si era trovata una differenza del 2% nel tasso di accettazione tra lavori maschili rispetto a quelli femminili. Purtroppo non è possibile sapere se questa differenza sia dovuta a differenze intrinseche della qualità degli articoli o a pregiudizi nei processi di selezione. Pregiudizi che sicuramente sono alla base del minor numero di citazioni ricevute da lavori a guida femminile rispetto a quelli a guida maschile. Purtroppo è sempre vero che i lavori femminili ricevono giudizi meno positivi di quelli maschili.

Forse bisognerebbe seguire l’esempio dei comitati di selezione del tempo di osservazione ai grandi telescopi o dei finanziamenti in campo medico, che hanno deciso di rendere anonime le proposte proprio per non essere influenzati dal nome di chi propone. Per Nature questo editoriale è solo un inizio, visto che hanno preso un impegno a migliorare l’equilibrio tra i generi. Il prossimo passo sarà chiedere l’informazione sul genere di tutti gli autori, in modo da avere un quadro più completo.

 

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