Dallo studio Whitehall in poi, le disuguaglianze di salute sono diventate una priorità per la ricerca e nelle politiche sociali e sanitarie. Fra i primi a mettere a fuoco il fatto che lo status socioeconomico delle persone si ripercuote sulla speranza di vita e la mortalità è l’epidemiologo Michael Marmot, nominato Sir per queste ricerche. Dopo il primo libro Status Syndrome, molti altri hanno scritto su questo tema. Ora esce la traduzione italiana del nuovo libro di Marmot, La salute disuguale (Pensiero scientifico editore, 2016)
A incidere sulla qualità dell’invecchiamento, le malattie e la mortalità non è solo il reddito; cruciali sono anche il ruolo nella gerarchia lavorativa, il grado di istruzione, la qualità delle relazioni sociali e famigliari: una costellazione di fattori cui si deve una disparità nella speranza di vita che in alcuni paesi sfiora i 20 anni. Secondo Marmot, forse la chiave più importante delle disuguaglianza di salute è la sensazione di controllo sulla propria vita e il proprio lavoro, che si affievolisce discendendo le scale nella gerarchia sociale e lavorativa.
Lo svantaggio di status si traduce in cattiva salute attraverso sia i diversi stili di vita adottati, ma anche attraverso una serie di meccanismi fisiopatologici: dagli ormoni dello stress (rilascio aumentato di adrenalina, cortisolo) a marcatori di rischio cardiovascolare come la proteina C reattiva, allo stato di infiammazione cronica determinata dallo stress e la cascata di eventi patologici che ne conseguono. La condizione di classe lascia un'impronta anche sull'epigenoma, al pari dell'alimentazione e di altre pressioni ambientali.
Su questi studi si sta ora concentrando la nuova generazione di studi Whitehall, e anche alcuni importanti progetti di ricerca internazionali come Lifepath, diretto dall’epidemiologo dell’Imperial College di Londra Paolo Vineis.
In questa nostra videointervista Michael Marmot spiega lo “status sindrome”.
Questo video racconta in modo avvincente le strategie di ricerche del progetto Lifepath.