Si tiene a Trieste, dal 28 novembre al 1 dicembre, il Convegno nazionale di comunicazione della scienza organizzato dalla Sissa e giunto quest'anno alla XIII edizione: quattro giornate per confrontarsi e ragionare sulla diffusione della conoscenza scientifica contemporanea e sulla sua relazione con società e capacità civiche.
Crediti immagine: Mike Peel/Wikimedia Commons. Licenza: CC BY-SA 4.0 DEED
La XIII edizione del Convegno nazionale di comunicazione della scienza della Sissa di Trieste rispecchia sempre di più un ecosistema in forte cambiamento, vale a dire un insieme di ambienti comunicativi dotati da una parte di una fisionomia precisa, dall’altra uniti nell’interrogarsi, in maniera più o meno consapevole, su come la comunicazione della scienza nel nostro Paese stia reggendo l’onda d’urto di fenomeni molto ampi quali la digitalizzazione, la globalizzazione e la mediatizzazione della conoscenza. L’obiettivo dell’incontro, una delle tante idee partorite quasi vent’anni fa dall’impegno e dalla creatività inesaustivi di Pietro Greco, è quello di offrire stimoli continui a ricercatori, ricercatrici, professionisti e professioniste del settore per migliorare la qualità della comunicazione della scienza attraverso una molteplicità di punti di vista, non sempre coincidenti tra di loro, ma segno comunque di una comunità vivace e desiderosa di confronto.
Cosa c’è di nuovo
Una differenza che risulta evidente a chi, come me, segue il Convegno fin dalla sua prima edizione, è l’aumento, davvero significativo, dei modi in cui si concettualizza e si produce la comunicazione scientifica oggi. Le quattro giornate di appuntamenti, dal 28 novembre all’1 dicembre, in cui sono previsti circa 40 incontri e a cui partecipano, tra relatori e relatrici, quasi 150 persone, rappresentano fedelmente la pluralità di opportunità, risorse, potenzialità e vincoli che caratterizzano i differenti contesti della diffusione della conoscenza scientifica contemporanea.
Strutturato in quattro formati - sessioni plenarie, dialoghi, laboratori interattivi e mosaici, vale dire una raccolta di presentazioni di idee e progetti su un tema comune - il Convegno triestino mostra chiaramente che i dibattiti sulla comunicazione della scienza negli anni sono ormai andati ben oltre la semplice dicotomia “deficit/public engagement” per inglobare prospettive più ampie e multidisciplinari, per esempio sui rapporti tra partecipazione pubblica alla scienza e democrazia deliberativa, sull’utilità o sull’opportunità di considerare diverse forme di conoscenza nelle controversie tra scienza e società, sulla definizione di alfabetizzazione scientifica e di coinvolgimento, sull’approccio strategico delle istituzioni, delle scienziate e degli scienziati alla comunicazione, sulla valutazione delle iniziative di outreach, sugli sviluppi della disintermediazione giornalistica o su nuove forme di collaborazione tra chi fa ricerca e chi produce informazione sulla scienza.
Chiavi di lettura
Il programma è stato costruito in parte attraverso una selezione di proposte raccolte tramite call e valutate dal Comitato di programma del Convegno, in parte grazie all’iniziativa di un Advisory Board in collaborazione con il Comitato organizzativo. Dai cambiamenti climatici all’intelligenza artificiale, dalle questioni di genere all’innovazione fino alla science policy e alla sostenibilità, i temi più attuali di scienza e società sono tutti ben rappresentati. A questi si aggiungono argomenti tradizionali del settore, come la copertura mediatica della scienza, i musei, i planetari, la comunicazione nelle emergenze sanitarie, le interazioni fra didattica informale e scuola. E ovviamente non mancano presentazioni di idee, metodi, progetti, nazionali ed europei, sulle questioni più varie, dai discussion games ai fumetti, dalla co-creazione alla formazione, all’editoria.
Al di là degli appuntamenti specifici, dal programma emergono poi alcuni fili rossi trasversali ai diversi incontri emblematici dei cambiamenti della comunicazione della scienza contemporanea.
Uno di questi è l’acquisizione che la conoscenza scientifica è distribuita nella società in modalità più diffuse e meno lineari di quanto ancora troppo spesso si pensi. Le persone incrociano infatti la scienza nei loro percorsi di vita in maniere molto differenti: meravigliandosi per le scoperte che sfidano il senso comune, divertendosi con un exhibit in un museo, cercando di comprendere nozioni utili nel proprio lavoro, perché magari interessati al modo in cui gli scienziati danno senso al mondo, ma anche perché si oppongono o rifiutano i risultati della ricerca. Inoltre, la circolazione di nozioni e scoperte provenienti da laboratori e centri di produzione del sapere non sempre ha origine dagli scienziati e dalle scienziate, dalle istituzioni o dai media, né necessariamente si esaurisce in un setting comunicativo progettato a priori.
Risulta poi chiaro nelle discussioni proposte al Convegno della Sissa quanto sia aumentata la consapevolezza che la ricezione della conoscenza, ben lungi dall’essere rappresentata come una mera iniezione di fatti rivolta a un pubblico passivo e ignorante, sia filtrata da molteplici fattori. È sempre più evidente, insomma, la necessità di interrogarsi su cosa avviene davvero quando riceviamo informazioni sulla scienza e la tecnologia, su come pregiudizi cognitivi, scarsità dell’attenzione, pressioni sociali, selezione delle fonti, valori, motivazioni, cultura influenzino l’interpretazione di fenomeni complessi. E su quali rimedi possano essere adottati per migliorare la comunicazione. Rimedi che, possiamo anticipare fin da ora, vanno in direzioni sempre più accreditate dalla cosiddetta “scienza della comunicazione della scienza” e che consistono, ad esempio, nella riduzione della fatica cognitiva, nell’uso dello storytelling o di toni e linguaggi che non compromettano il senso di appartenenza e l’identità culturale, nell’integrazione di differenti punti di vista, nella valorizzazione di fonti attendibili, nell’inquadramento di temi sensibili in cornici non polarizzanti.
Un altro processo trasformativo di grande importanza presente in molti degli incontri triestini riguarda il confine tra comunicazione interna e comunicazione esterna della scienza. Confine che sta diventando sempre più confuso e indistinto. Fenomeni come la scienza aperta, l’uso dei social da parte di ricercatrici e ricercatori, la citizen science, l’applicazione dell’intelligenza artificiale nella produzione di informazione, sono tutti esempi concreti di una zona grigia in cui le tradizionali distinzioni tra la comunicazione rivolta alla comunità disciplinare di appartenenza e quella rivolta al pubblico generico si confondono. Se la causa principale dell’allargamento di questa terra di confine è stata la digitalizzazione, l’effetto più evidente è la crescita e l’eterogeneità degli attori che diffondono, negoziano, fanno circolare la conoscenza scientifica per i motivi più vari, per discutere, influenzare, raccontare, contestare, stimolare il pensiero critico, spiegare, educare, divertire.
Capacità civiche e comunicazione della scienza
La XIII edizione del Convegno nazionale di comunicazione della scienza della Sissa intercetta così in modo efficace mutamenti profondi nei rapporti tra scienza e società, visibili solo se si scava sotto la superficie di un dibattito pubblico che rappresenta ancora troppo spesso in modo semplicistico le discussioni attorno ai cambiamenti climatici, ai vaccini, all’ingegneria genetica, all’energia nucleare come dispute tra tifoserie opposte, pro o contro la scienza.
Nelle società democratiche ad alta densità di conoscenza, bisogna piuttosto considerare le controversie tecnoscientifiche come fattori centrali nell’acquisizione di più ampie capacità civiche, intese come specifiche abilità, competenze e conoscenze in grado di rendere i cittadini e le cittadine più propensi a una partecipazione continuativa alla vita pubblica. Entrare in contatto con la scienza e la tecnologia nelle modalità comunicative più varie rappresenta in altre parole uno stimolo a un processo continuo di miglioramento della comprensione del proprio ruolo come soggetto politico, uno strumento attraverso il quale aumentare la consapevolezza del proprio potenziale e da cui emergono risorse latenti per avere voce in contesti normalmente di difficile accesso. Discutere la ricerca degli scienziati e delle scienziate, interagire con chi detiene l’expertise in uno specifico settore, sostenere una causa serve anche a creare reti di collaborazione grazie alle quali preoccupazioni e domande che nascono nei contesti più vari possano ricevere una maggiore attenzione pubblica e mediatica.
Se anche le istituzioni abbracciano una visione non difensiva del rapporto con i pubblici non-esperti, allora le zone di tensione tra scienza e società possono essere intese come fecondi spazi di richiesta di cittadinanza in cui viene messa in scena una discussione fondamentale sui significati e le implicazioni dell’accesso alla conoscenza e alle tecnologie e sulle forme di collaborazione di produzione del sapere. Se si accetta il rischio di trattare le persone come partner comunicativi con cui negoziare interessi e prospettive anche molto differenti tra di loro, allora sarà forse più facile comprendere che la vera posta in gioco è l’aumento di capitale di fiducia sociale. In altre parole, prima ancora di essere considerati dei centri di sapere comprensibili, a enti di ricerca e laboratori diventerà forse più evidente che la domanda su cui ci si interroga più insistentemente di fronte all’innovazione tecnoscientifica e ai conflitti che ne derivano è «di chi mi posso fidare?». Indagare le aree tumultuose di comunicazione fra scienza e società può essere allora la chiave per emergere con un quadro inedito del rapporto tra conoscenza e democrazia, in cui il ruolo di tutti gli attori coinvolti è tutt’altro che definito a priori.
Speriamo e crediamo che a fine novembre a Trieste si potranno dare contributi utili in tutte queste direzioni, mostrando, una volta tanto, che il nostro Paese è allineato con le discussioni e le tendenze più significative del settore a livello internazionale.