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Se pensate che l’università sia costosa, provate con l’ignoranza

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Aula Scarpa, ex teatro anatomico dell'Università di Pavia intitolato al celebre anatomo-chirurgo Antonio Scarpa. Fu progettata nel 1785 da Giuseppe Piermarini e portata a termine l'anno successivo da Leopoldo Pollack. Credits: F125d - Wikimedia - Licenza: CC BY-SA 4.0

Tempo di lettura: 8 mins

Siamo in campagna elettorale. E senza voler esprimere in questa sede alcuna preferenza per alcuna proposta politica, esprimiamo un desiderio che, pensiamo, sia largamente condivisibile: che nei programmi elettorali di ogni partito o movimento una delle priorità sia la formazione. E, in particolare, la formazione universitaria.

L’accesso al terzo e più alto livello di studi è decisivo non solo per la crescita culturale di un paese (e non sarebbe davvero poco) ma anche per la competizione - ne conviene la maggior parte degli economisti - nella società della conoscenza.

Ebbene, nel settore università l’Italia rappresenta, almeno in parte, un’anomalia rispetto agli altri paesi europei e alla gran parte dei paesi più avanzati del mondo. Per verificarlo vi proponiamo un’analisi comparata tra l’Italia e alcuni paesi, europei e non, con cui per varie ragioni conviene confrontarsi. Abbiamo scelto nell’Unione Europea i paesi maggiori: Spagna, Francia, Germania e Regno Unito (ancora formalmente nell’Unione). Fuori dall’Europa, gli USA, il Giappone e la Corea del Sud. I dati sono omogenei e si basano tutti sull’ultimo rapporto Education at a glance 2017 pubblicato di recente dall’OECD.

Italia ultima per numero di laureati

Già la prima colonna della Tabella 1 ci fornisce una misura concreta dal gap che registriamo rispetto a tutti questi paesi. Per numero di laureati nella fascia d’età compresa fra 25 e 34 anni, l’Italia risulta ultima. In verità la scomoda posizione non riguarda solo la nostra classifica. Il nostro paese ha il minor numero di laureati in questa fascia d’età fra tutti quelli dell’Unione Europea e anche fra tutti i 40 paesi OECD.

Su cento giovani in questa fascia di età, in Italia i laureati sono appena 26, contro i 41 della Spagna, i 52 del Regno Unito, i 60 del Giappone e, addirittura, i 70 della Corea del Sud. Siamo molto al di sotto sia della media dell’Unione Europea (40% di laureati) sia della media OECD (43% di laureati).

Il gap è evidente ed enorme. È questo dato di importanza assoluta, tale da imporre una nuova politica non solo dell’università ma anche economica del paese? Secondo molti analisti sì, proprio perché un alto livello di studi costituisce un prerequisito per competere nella società della conoscenza. Se è così, il recupero di questo gap dovrebbe essere in testa all’agenda politica del paese e, dunque, della discussione in campagna elettorale.

Naturalmente, dovrebbero essere individuate le cause che hanno prodotto il gap. Perché nel nostro paese c’è un così basso numero di laureati? Perché non c’è una percezione forte dell’esistenza di questo gap e, anzi, molti sostengono addirittura che di ragazzi con la laurea ce n’è anche troppi? Probabilmente la causa va ricercata nella specializzazione produttiva del nostro paese. Non esiste una domanda di laureati da parte delle nostre industrie, da parte della nostra agricoltura, da parte dei nostri servizi.

Tabella 1. I numeri dell’istruzione

  Istruzione superiore (1) Famiglia (2) Occupati Senza laurea (3) Occupati con laurea (3) Salari Laureati (4) Tasse studenti (5)
Italia 26 14 71 80 141 1.900
Spagna 41 20 79 80 153 2.000
Francia 44 16 73 85 154 -
Germania 31* 15* 81 88 166 -
UK 52 25 80 85 153 -
USA 48 19 69 82 174 8.000
Corea Sud 70 26 72 77 151 4.300
Giappone 60 20 - 83 152 5.500
OECD 43 20 75 84 156 -
UE 22 40 - 73 84 153 -

Percentuale di laureati nella fascia di età 25-34 anni.
* In Germania il numero di laureati è sottostimato perché molti giovani seguono corsi di studio tecnici, anche altamente qualificati.
Percentuale di giovani laureati in fascia di età compresa tra i 25 e i 34 anni che hanno entrambi i genitori non laureati.
Percentuali di occupati nella fascia di età compresa tra 25 e 64 anni.
Salario relativo dei laureati, fatto 100 il salario medio dei non laureati con titolo di scuola media superiore.
5 Tasse pagate in media da uno studente iscritto nell'anno accademico 2015/16 al primo livello dei corsi universitari (laurea breve) in dollari USA e a parità di potere d'acquisto.
 

L’ascensore sociale non funziona

La seconda colonna della Tabella 1 ci fornisce una prova quantitativa del fatto che nel nostro paese non funziona l’ascensore sociale. E che neppure la cultura riesce a rompere gli steccati che separano quelle che una volta si chiamavano classi sociali. Tra i pochi laureati che abbiamo, infatti, solo il 14% non ha alcuno dei genitori laureati. E poiché la laurea è in relazione abbastanza stretta con il gruppo sociale di appartenenza, se ne ricava che su 100 ragazzi di età compresa tra i 25 e i 34 anni in Italia, solo 3,6 hanno effettuato una, per così dire, transizione di stato. Contro i 7,0 della Francia; gli 8,2 della Spagna; i 12,0 del Giappone; i 13,0 del Regno Unito e addirittura i 18,2 della Corea del sud. Siamo un paese con scarsa mobilità sociale. Dove anche l’università è un ascensore bloccato.

Ancora una volta, questa condizione non è solo un problema di equità, ma anche economico. Perché solo i paesi con elevata mobilità sociale sono economicamente dinamici.

Laurearsi conviene sempre

Eppure, anche nel nostro paese che ha una bassa domanda di alta formazione, laurearsi conviene. Se diamo uno sguardo alla terza e quarta colonna della Tabella 1, infatti, verifichiamo che nella fascia di età compresa tra i 25 e i 64 anni, gli occupati sono l’80% tra i laureati e solo il 71% tra i non laureati. La differenza di 9 punti percentuali. Questo è un dato generale: in ogni paese e in ogni condizione economica, chi ha la laurea trova più facilmente lavoro.

Laurearsi conviene. Anche in Italia. E non solo perché chi la possiede, la laurea, trova più facilmente lavoro, ma anche perché ha, in media, un reddito decisamente più alto. Fatto 100 il reddito medio di un occupato senza laurea, il reddito di un occupato con laurea è di 141: ovvero superiore del 41%.

È anche vero, tuttavia, che la differenza di reddito data dalla laurea raggiunge il 66% in Germania e il 76% negli Stati Uniti. In media, in Europa un laureato guadagna il 53% in più di un non laureato e nei paesi OECD la media è del 56%.

Dunque, in Italia conviene laurearsi. Ma sul mercato del lavoro il titolo ottiene meno gratificazione che altrove. Questo chiama in causa, ancora una volta, la specializzazione produttiva del nostro sistema paese. Ed è una delle cause che spingono una quota consistente dei nostri pochi giovani laureati a cercare un lavoro all’estero: dove è più facile trovarlo e si è remunerati meglio.

Il costo delle tasse scolastiche

Nell’ultima colonna della Tabella 1 sono riportate le tasse scolastiche che ogni anno un ragazzo che si iscrive all’università deve pagare. In Italia sono un po’ meno che in Spagna e decisamente meno che nei paesi extra-europei. Tuttavia è anche vero che in molti paesi europei, soprattutto del Nord, le tasse universitarie sono quasi del tutto assenti o, comunque, ci sono facilitazioni (borse di studio, alloggi, facilitazioni per i trasporti) che non abbiamo in Italia. In altri termini, nei paesi del Nord Europa, che sono quelli economicamente più dinamici, il costo dell’istruzione universitaria è socializzato. Perché i benefici non sono solo per i singoli che si laureano, ma per l’intera società.

Tabella 2. La spesa per l’istruzione

  Spesa per studente (1) Spesa per studente (2) Variazione spesa pubblica (3)
Italia 8.926 11.510 -12
Spagna 7.772 12.489 -15
Francia 9.944 16.422 0
Germania 10.776 17.180 0
UK 11.970 24.542 -
USA 12.176 29.328 -4
Corea Sud 10.030 9.570 20
Giappone 9.934 18.022 7
OECD 9.489 16.143 3
UE 22 9.721 16.164 0

1 Spesa media totale per studente, dalle elementari alle medie superiori, a parità di acquisto della moneta in dollari USA 2014.
Spesa media totale per studente universitario, compresa R&S, a parità di acquisto della moneta in dollari USA 2014.
Variazione percentuale della spesa pubblica nel settore educazione nel 2014 rispetto al 2010.

Ma a quanto ammontano, questi costi? Beh, diciamo che la spesa media annua per studente nell’intero ciclo educativo - dalle elementari all’università - nei paesi OECD come in Europa si aggira intorno ai 9.500 dollari. Si veda la prima colonna della Tabella 2. In Italia la spesa è più bassa. Anzi, Spagna a parte, è la più bassa di tutte. Ma la differenza rispetto agli altri paesi non è enorme. L’Italia spende per ciascun suo studente il 5,9% in meno della media dei paesi OECD.

Molto diversamente vanno le cose per l’università. L’Italia spende ogni anno per ogni studente universitario 11.510 dollari. Una cifra che - a differenza da quanto sostenuto da qualche illustre economista qualche anno fa - la pone in coda, ancora una volta, alla nostra classifica. Solo la Corea del Sud, che però laurea il triplo dei suoi giovani rispetto all’Italia, spende di meno. Ma quello che è importante è il gap rispetto alla media OECD che coincide con quella europea: 16.100 dollari o poco più. L’Italia spende per ciascuno dei suoi studenti universitari il 28,7% in meno rispetto alla media dei paesi OECD.

Riassumendo: sempre rispetto alla media dei paesi OECD l’Italia laurea il 26% di giovani nella fascia di età compresa tra i 25 e i 34 anni e per ciascuno dei suoi pochi studenti spende circa il 29% in meno.

Questi dati indicano che il nostro paese non investe nella conoscenza. E, in particolare, nella formazione universitaria.

L’Italia investe meno in conoscenza

Per chi avesse qualche dubbio ulteriore, lo può sciogliere dando uno sguardo all’ultima colonna della Tabella 2, dove è riportata la variazione della spesa pubblica nel settore educazione tra il 2010 e il 2014, ovvero nel pieno della crisi economica che ha scosso il mondo (e in particolare quello che una volta veniva chiamato il mondo occidentale) a partire dal 2007. Ebbene, in questi anni la spesa pubblica in educazione è cresciuta nei paesi OECD del 3%. È aumentata del 20% in Corea del Sud. È rimasta immutata in Francia e in Germania. Mentre è diminuita del 12% in Italia (e del 14% in Spagna). In altri termini abbiamo risposto alla crisi non riducendo, ma allargando il gap educativo rispetto a quasi tutti gli altri paesi.

La domanda è, in questa campagna elettorale: c’è qualche forza politica che intende invertire la marcia?

Diceva il Derek Bok, rettore della prestigiosa università di Harvard, negli Stati Uniti: “Se pensate che l'istruzione sia costosa, provate con l'ignoranza”. Ecco, noi abbiamo pensato che l’istruzione fosse troppo costosa e abbiamo tagliato gli investimenti. L’impressione è che stiamo già pagando i costi - e non solo in termini economici - dell’ignoranza.


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