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La soglia culturale del dolore

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Nel 2009, per la prima volta, negli USA il numero di decessi legati all'abuso di farmaci ha superato quello causato dagli incidenti stradali (vedi grafico), secondo l'ente federale del Governo Americano “Centers for Disease Control and Prevention” che nel 75% dei casi punta il dito contro l'inappropriatezza delle prescrizioni mediche. La principale causa dell'abuso di medicinali è la dipendenza da analgesici della famiglia degli oppioidi. Questi infatti sono la classe di farmaci più prescritta negli Stati Uniti e negli ultimi dieci anni sono stati il prodotto che ha quasi quadruplicato il numero di confezioni ricettate. Il grave problema è che spesso si sono sottovalutati i loro effetti collaterali o i rischi connessi ad un consumo fuori controllo.


"Farmaco-correlata" comprende sostanze sia legali che illegali. Nel periodo 1999-2008 i tassi di decesso per overdose, di vendita e di ospedalizzazione legata all'abuso di analgesici oppioidi (OPR= opioid pain reliever) sono aumentati sensibilmente. Rispetto al 1999, nel 2008 il numero di decessi per overdose è quasi raddoppiato. Similmente, le vendite di oppioidi nel 2010 sono quadruplicate rispetto ai dati del 1999 (Fonte: Centers for Disease Control and Prevention).

Fino a 15 anni fa questi farmaci venivano utilizzati quasi esclusivamente per il trattamento del dolore nella fasi postoperatorie o in pazienti oncologici terminali. Proprio sulla base dei buoni risultati nel controllo della sofferenza ottenuti in questi casi, si è iniziato a prescrivere gli oppioidi anche a pazienti affetti da dolore cronico. Questo più recente utilizzo ha spinto le case farmaceutiche a proporre nuove, mirate formulazioni. Le vendite, lo scorso anno, hanno raggiunto quota 8,5 miliardi di dollari, il doppio rispetto al 2001 (dati: IMS Health). La situazione appare davvero allarmante anche a causa dell'uso a scopo ricreativo,  soprattutto da parte degli adolescenti, di farmaci come l'ossicodone, sviluppato per alleviare le forme più intense di dolore ma diventato oggetto di un crescente traffico illecito. 

Qualcosa però sta cambiando e lo stato capofila questa volta è quello di Washington che ha posto limiti e controlli più rigidi alle modalità di prescrizione dei farmaci antidolorifici - un cambiamento pesante e difficile non solo per i pazienti, ma anche per i medici. La battaglia va infatti combattuta soprattutto in ospedale e negli studi dei medici di base, non per la strada. Il tabù che spesso resta non detto è che sono i medici a esagerare con le ricette, a cedere di fronte alle richieste pressanti dei pazienti ormai diventati dipendenti. I rischi legati all'uso degli antidolorifici comprendono apnea notturna, cadute e fratture ossee negli anziani ma, in casi estremi, morte per overdose. Per questo i legislatori dello Stato di Washington lo scorso anno hanno imposto nuovi requisiti ai medici che prescrivono oppioidi. Il Centers for Disease Control and Prevention li ha invitati a ricettarli con maggior cautela, sottolineando che solo nel 2008 i decessi per overdose sono stati 14.800. E' infatti paradossale che una pratica avviata per alleviare il dolore dei pazienti finisca addirittura causandone la morte.

Dall'analisi delle schede dei pazienti deceduti per overdose emerge una carenza nel monitoraggio che il medico dovrebbe esercitare sulla tolleranza del farmaco. Spesso chi soffre di dolore cronico ha condizioni concomitanti che necessitano di particolare attenzione (ansia, depressione) e che non migliorano aumentando semplicemente il dosaggio del farmaco. Diversi studi scientifici nel frattempo hanno dimostrato i rischi legati all'abuso dei farmaci oppioidi che, per esempio, sopprimono la produzione degli ormoni sessuali, alterando la fisiologia del paziente ben al di là della sfera propriamente sessuale. Altre ricerche hanno messo in evidenza i vantaggi di terapie alternative, non farmacologiche, valide in molti casi. Tuttavia, nonostante le forti polemiche e le accuse di "crudeltà" (da associazioni di pazienti, case farmaceutiche e compagnie assicurative), nello Stato di Washington è stata approvata una legge che stabilisce una soglia limite nel dosaggio del farmaco prescritto (equivalente a 120 milligrammi di morfina al giorno), oltre la quale scatta il ricorso ad una commissione di esperti.

Certamente i medici avranno bisogno di seguire corsi di formazione specifica per giudicare quale molecola e quale dosaggio prescrivere e per quale indicazione, oltre che per saper gestire i casi di dipendenza e di astinenza. Fra i professionisti più esposti al rischio di errore si contano senza dubbio i medici di pronto soccorso che spesso non hanno né tempo né strumenti per giudicare se il paziente che lamenta, ad esempio, un terribile mal di denti stia dicendo la verità. Nel dubbio, il medico prescrive il farmaco, anche perché una ricetta negata in casi di sincera necessità diventa la base per valutare negativamente l'operato del professionista. Una ricerca condotta dal National Hospital Ambulatory Medical Care Survey ha dimostrato che dal 1997 al 2007, gli antidolorifici sono stati prescritti in 3 casi su 4 durante una visita al pronto soccorso odontoiatrico e che il numero di ricette legate al dolore per mal di denti in questo tipo di reparti è aumentato del 26%.

Un'area ancor più preoccupante è quella dei Reparti Maternità dove arriva un numero sempre crescente di donne assuefatte ad oppioidi e, di conseguenza, di neonati che mostrano sintomi da astinenza. Uno studio pubblicato sul Journal of the American Medical Association ha quantificato il fenomeno e i costi ad esso relativi: negli USA nasce un bambino ogni ora con sintomi da "sindrome da astinenza neonatale", quindi in media 13.500 neonati l'anno soffrono per le conseguenze dell'abuso di farmaci antidolorifici di cui la madre fa un uso inappropriato. Dal 2000 al 2009 il numero di questo tipo di partorienti è quintuplicato e il costo medio legato all'assistenza prestata ai loro bambini supera i 53mila dollari per singolo caso. I sintomi comprendono convulsioni, problemi respiratori, disidratazione, difficoltà ad alimentarsi, tremito e irritabilità. Questi piccoli richiedono lunghe degenze e terapie specifiche a base di metadone e morfina. La notizia peggiore è che ad oggi non sappiamo se per questi neonati si possano prevedere effetti duraturi nel tempo. Ovviamente la cosa migliore resta intervenire preventivamente sul problema della madre, aiutandola a curare la dipendenza da farmaci prima del parto o, meglio ancora, prima della gravidanza. 
In aiuto dei medici sta arrivando addirittura un videogame ideato da studiosi della facoltà di medicina della Northwestern University e sviluppato da ingegneri della Johns Hopkins University, che utilizza una tecnologia simile a quella con cui l'FBI addestra i suoi agenti per le tattiche di interrogatorio. Il videogioco aiuterà i medici a riconoscere i sintomi della dipendenza da oppioidi durante il colloquio con il paziente, con una serie di domande e risposte guidate. 

Ma se oltreoceano aumentano le misure (legislative e non solo) per combattere l'abuso di farmaci oppiacei, in Italia la situazione è ben diversa e la cultura del dolore mostra peculiarità per certi aspetti addirittura opposte. Nel marzo 2010 è entrata in vigore una legge votata all'unanimità tra gli applausi di tutto il Parlamento, con l'intento di promuovere ospedali senza dolore. A poco più di un anno dalla sua emanazione, nel luglio 2011, una indagine promossa dalla Commissione d'inchiesta sul Servizio sanitario del Senato ha voluto verificarne la reale applicazione su tutto il territorio nazionale. Ebbene, ospedali e medici di mezza Italia ignorano o applicano la legge solo parzialmente. Il diritto a non soffrire per milioni di italiani viene garantito sostanzialmente solo al Nord e in parte al Centro, mentre il Sud è molto in ritardo. Ancora al palo, da Roma in giù, l'uso degli oppoidi: da quando la legge 38/2010 ha autorizzato i medici a usare il normale ricettario per prescriverli, il loro consumo è cresciuto troppo poco (7% in un anno), rispetto alle già scarse confezioni vendute nel passato che fanno dell'Italia uno dei fanalini di coda dell'Europa. L'indagine, condotta in 244 ospedali (86 al Nord, 103 al Centro, 55 al Sud) ha utilizzato una check-list predisposta per verificare, fra le altre cose, la presenza di comitati e programmi per il controllo del dolore, di unità di cure palliative, l'impiego di moduli per la valutazione del dolore acuto e cronico, di materiale informativo per i pazienti e di una rete di comunicazione attiva con i medici di base. La media di aderenza ai requisiti di legge è stata del 71% con picchi dell'88% al Nord, del 75% al Centro e del 53% al Sud dove però almeno 5 regioni non raggiungono il 50%. Questi risultati dimostrano una insufficiente aderenza agli obblighi imposti per legge. Ma soprattutto, fanno emergere un ritardo culturale diffuso nei confronti dell’attenzione al dolore negli ospedali del nostro Paese: una questione che richiede riflessioni ed azioni urgenti.


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