Presto sapremo chi sarà il vincitore del Premio letterario Galileo per la divulgazione scientifica. La cinquina dei finalisti include il chimico Adriano Zecchina, autore del libro “Alchimie nell’arte. La chimica e l’evoluzione della pittura" (Zanichelli, 2012). La scelta spetterà a una giuria popolare formata da studenti di 110 scuole superiori di secondo grado, rappresentative di altrettante Province italiane. Comunque vada, è facile prevedere che per molti questo volumetto diventerà non solo una guida interpretativa dell’evoluzione del colore e delle sue ricadute stilistiche ma farà loro compagnia durante le prossime visite alle mostre e alle città d’arte. L’autore, con linguaggio essenziale, sintetizza in poche pagine una lunga storia che partendo dal Paleolitico superiore s’intreccia con l’evoluzione degli scambi commerciali e della tecnologia ed arriva ai giorni nostri. Correda il tutto con informazioni di tipo chimico, senza mai inaridire la trattazione o dimenticare il senso profondo della ricerca artistica.
È un risultato importante quello del nostro chimico, dovuto a una molteplicità d’interessi. A quello per la Tavola degli Elementi di Mendeleev, lui ha aggiunto quello per la tavolozza del pittore. Sono entrambi strumenti di creatività, la prima del chimico, la seconda dell’artista. All’attività di docente e apprezzato ricercatore di Chimica Fisica all’Università di Torino, svolta per lunghi anni, Zecchina ha unito la passione per la pittura. Lo scorso anno ha tenuto una retrospettiva delle sue opere e, come mi ha raccontato in questa intervista, non gli sono mancate le soddisfazioni.
Innanzitutto grazie per questo libro, credo
che lo terrò sempre a portata di mano. Sottintende una visione della cultura e
una sensibilità artistica che non è comune nel nostro ambiente e di cui si
avvertiva il bisogno. Deriva da un’educazione mirata a tale obiettivo o da una
maturazione progressiva?
Mi è difficile rispondere. Andando indietro
con i miei ricordi mi sembra che tutto sia cominciato quando con l'inizio
dell'Università e provenendo dalla provincia rurale, sono entrato al Collegio
Einaudi di Torino dove ho incontrato compagni di grande livello e
portatori di culture diversificate. E' con il loro aiuto che ho
imparato ad amare la musica, la pittura e la letteratura. La chimica è venuta
dopo e, non sembri strano, ha aumentato il mio rispetto per una cultura diversificata. Ora credo che ciò sia
legato alla fatto che la chimica è una scienza molto creativa, proprio come
quelle che ho citato prima.
Nell’introduzione ti definisci “un chimico
con una certa dimestichezza con la pittura”. Nel settembre scorso si è tenuta a
Torino una retrospettiva delle tue opere, come è andata?
Questa mostra è andata molto bene. I miei
quadri sono piaciuti a tutti, indipendentemente dalla loro origine sociale e
dalla loro appartenenza a ceti più o meno acculturati. Di questo fatto sono
abbastanza orgoglioso.
La presentazione della mostra parlava di
“paesaggi in cui la natura, parzialmente e positivamente modificata dalla
presenza dell'uomo, ispira una sensazione di pace e tranquillità.“ L’armonia
fra l’uomo e la natura è un sogno oppure è realtà?
I miei quadri sono legati ai paesaggi rurali
della mia infanzia attorno al lago di Garda e alla bassa. Ora molti di questi paesaggi, ove le costruzioni dell'uomo non erano violente e
pervasive, sono in via diminuzione. Molte delle colline e cascine sono le stesse della guerra di San Martino
e Solferino. In Italia ci sono ancora
molti posti ove l'azione dell'uomo ha migliorato la natura creando veri e
propri paesaggi urbanizzati e pieni di storia
che sono capolavori collettivi e che suscitano la sensazione di essere a casa. Il resto è
coperto selvaggiamente da capannoni. Purtroppo solo ora si comincia ad essere
sufficientemente civili da incominciare
a capire tutto questo. L'armonia dell'opera dell'uomo con la natura è frutto di
cultura e conoscenza, anche e soprattutto per il futuro.
L’uso improprio della chimica ha
danneggiato la natura e ci ha lasciato una pesante eredità. Possiamo rimediare?
Vale un po' la risposta sui paesaggi. L’industrializzazione
rapida e violenta, inclusa quella legata all'industria chimica, è stata più
veloce della nostra crescita culturale
complessiva (inclusa quella scientifica che è parte integrante della
cultura in senso lato). Possiamo recuperare solo se l' investimento culturale si amplia e si diffonde il più fruttuoso degli investimenti, quello
fatto nella nostra testa.
Il tuo libro rivela un particolare senso
della misura, anche nella trasmissione delle emozioni. Pensi che derivi dalla
tua cultura scientifica?
Credo di si. La cultura scientifica rende
restii all'uso smodato delle iperboli.
Quali sono gli artisti e gli scrittori che
ti hanno avvicinato di più all’arte e alla letteratura?
Un pittore che mi ha inizialmente colpito (era circa il 1962) è stato De Stael. Mi ha
spinto a dipingere, anche se questa è stata sempre per me una "attività della domenica". Ora
penso che De Stael ( un grande e
potente colorista) sia stato un grande. Per me la pittura è stata una attività di relax e di creatività
immediata, perché ho sempre cercato di dare molto alla ricerca chimica, la cui
creatività , ancorché paragonabile, è diversa e spesso lenta. Per quanto
riguarda i romanzi sono legato ancora molto ai classici, incluso Thomas Mann.
Alla fine del tuo libro, nel rispondere
positivamente alla domanda se ci fosse un futuro per la pittura e il colore hai
dimostrato di credere nei giovani. I tanti anni dedicati all’insegnamento che
cosa ti hanno lasciato?
Ho un certa nostalgia per l'insegnamento e mi piacerebbe insegnare ancora, cosa che non posso fare
sistematicamente data l'età. Con il progredire della mia carriera e dopo molti sbagli giovanili avevo imparato a fare lezioni semplici,
essenziali e corrette. Per quanto
riguarda i giovani non vedo perché non dovrebbe ripetersi per loro lo stesso
miracolo della mia (e nostra) gioventù piena di progetti e aspettative, anche
se il mondo è molto cambiato e forse meno favorevole.