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I test PISA fanno male alla scuola?

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Che cos’è la scuola? La più grande risorsa per un Paese, l’investimento per il futuro della specie umana, un fenomeno sociale difficile da modellizzare e del quale è impossibile prevedere gli sviluppi futuri. La sua complessità impedisce di capire quale sarà l’impatto di una modifica seppur apparentemente superficiale, nel lungo periodo. In particolare alcuni docenti delle più influenti e importanti università del mondo si sono interrogati sugli effetti potenzialmente dannosi nel tempo dei test PISA (Programme for International Student Assessment). L’indagine, promossa dall’OCSE, ha valutato secondo alcuni particolari criteri la formazione di studenti quindicenni di un gran numero di paesi industrializzati. Lo scopo era quello di valutare ogni tre anni l’acquisizione delle competenze degli studenti adolescenti per accertare il grado di eccellenza del sistema scolastico di ciascun Paese aderente all’iniziativa. “Siamo francamente preoccupati per le conseguenze negative della classifica PISA” affermano i docenti nella lettera1 inviata a Andreas Schleicher, direttore per l'Ocse del Programme for International Student Assessment nel 2014 e pubblicata sul quotidiano britannico The Guardian.

Un termometro triennale delle competenze

I test PISA cercano di capire quali siano le competenze che deve avere un ragazzo adolescente ancora inserito nel sistema scolastico ma potenzialmente prossimo al mondo del lavoro. L'indagine si compone di una serie di test relativi alla comprensione del testo in lingua madre, alla matematica, alle scienze e al problem solving. I quesiti sono pensati in modo da valutare non tanto le conoscenze disciplinari, ma quanto lo studente sia in grado di applicarle a vari contesti e problemi. In alcuni Paesi industrializzati, come l’Italia, la classe imprenditoriale ha risentito, in seguito al fenomeno della globalizzazione, di un impoverimento che ha portato a risentire maggiormente della crisi economica, della mancanza di innovazione e delle manovre speculative della finanza. Una delle cause è stata imputata alla formazione dei nuovi giovani imprenditori maggiormente carenti nelle competenze matematiche o di problem solving rispetto a quelli degli altri paesi.

Il programma di ricerca PISA viene svolto ogni tre anni e consente di monitorare nel tempo l’andamento del processo di acquisizione di competenze in un particolare segmento della popolazione scolastica.

In Italia chi si occupa della somministrazione e della correzione dei test PISA è l’INVALSI che sceglie un campione di scuole in base alla localizzazione sul territorio, al numero di studenti dell’istituto e al tipo di istruzione impartito (liceale, tecnico o professionale). In seguito a un sorteggio le scuole nominate possono decidere se accettare o meno di essere oggetto del test. L’indagine viene poi utilizzata non solo per scopi internazionali, per classificare cioè il livello di eccellenza del sistema educativo e formativo di ciascun paese rispetto agli altri, ma anche a livello nazionale. In Italia per esempio i risultati hanno permesso di valutare le differenze fra le regioni e di destinare misure di intervento mirate.

Questo aspetto è uno dei più controversi per la particolarità dell’indagine e per la complessità dell’apprendimento e della formazione di un giovane che è difficilmente inquadrabile in qualche test e non può essere dunque considerato il solo parametro per indirizzare interventi a favore di un miglioramento dell’istruzione. “Nella politica dell'istruzione, l’indagine PISA, con il suo ciclo di valutazione di tre anni, ha causato uno spostamento di attenzione alle manovre a breve termine, pensate affinché un paese scali rapidamente la classifica” scrivono i docenti universitari nella lettera. Le ricerche dimostrano che gli investimenti e le manovre per migliorare il sistema educativo devono essere nell’ordine di decenni per essere efficaci, non di pochi anni.

Nel 2000 hanno aderito all’indagine 43 Paesi2, tra cui, oltre alla quasi totalità di quelli europei, anche Turchia, Messico, Canada, Giappone e Usa.

Nell’indagine del 2015 al test si sono sottoposti una sessantina di nazioni, tra le quali anche Cina e Russia.

Cartina dei Paesi che hanno artecipato all’indagine nel 2015 tratta dal sito http://www.oecd.org/pisa/ dove si trovano i risultati di ciascuna nazione per disciplina.

PISA pende verso la matematica realista...

In Italia, i primi test di matematica hanno colpito molti per la loro diversità nella formulazione e nei contenuti dei problemi che usualmente venivano affrontati nelle classi. Si trattava di quesiti in cui spiccavano letture di grafici, funzioni, probabilità e statistica, argomenti che venivano trattati in modo molto didascalico dai libri di testo e che non facevano parte del bagaglio formativo dei docenti i quali, in mancanza di un piano di formazione professionale continuo, prediligevano i temi e i metodi che storicamente hanno caratterizzato l’insegnamento della matematica. L’obiettivo era quello di valutare la conoscenza della disciplina in relazione ai bisogni sociali ed economici del Paese. I quesiti vengono formulati ogni tre anni da un comitato internazionale composto da rappresentanti di alcuni degli stati partecipanti. Ciò significa non conoscere o non prendere in considerazione le specificità culturali ed educative dei singoli Paesi che partecipano all’indagine.

Analizzando le prove delle diverse indagini si può notare come ci sia stato dal 2003 al 2012 uno spostamento dell’attenzione sempre più rivolto alla statistica e all’analisi di grafici. I problemi3 del 2003 sono stati pensati per la maggior parte da esperti provenienti dai paesi del Nord Europa, come Danimarca e Paesi Bassi, che basano la loro filosofia educativa sulla matematica realista promossa dall’istituto olandese Freudenthal. L’idea del metodo Freudenthal4 è quella di creare e mantenere durante tutto il corso della vita un’alfabetizzazione matematica che comprende un’alfabetizzazione quantitativa, basata sull’importanza della stima dei numeri e delle quantità, sulle loro incertezze e sulle loro relazioni, e un’alfabetizzazione spaziale che permetta, attraverso lo studio di oggetti e delle loro trasformazioni nello spazio, di ottenere una comprensione del mondo in cui viviamo e ci muoviamo.

In un problema del 2003, per esempio, veniva chiesto di modellizzare l’andamento nel tempo di una colonia di pinguini5, volendo quindi verificare quale fosse la competenza degli studenti nella formulazione di congetture in connessione con l’esplorazione di situazioni reali6.

Questo tipo di problemi èviene ritenuto importante per la formazione matematica degli studenti, in quanto prevede che essi riflettano sulle quantità, sulle relazioni tra esse e sulla generalizzazione dei processi in modo esplicito. In generale, i quesiti riflettono un’idea costruttivista del pensiero matematico, basato sulla partecipazione attiva degli studenti nell’analisi di dati o quantità, nella formulazione di congetture e nella loro dimostrazione e generalizzazione sempre in relazione al contesto reale7. Il metodo educativo realista e costruttivista era lontano dalla didattica italiana, culturalmente più astratta e deduttiva. La tendenza attuale è di avvicinarsi alla filosofia nordica, ma per farlo occorre un piano formativo a lungo termine per i docenti, che coinvolga i centri di ricerca universitari e che permetta un rinnovamento del processo educativo senza tuttavia snaturare le specificità culturali e intellettuali.

Schiavi delle multinazionali?

Nella lettera al Guardian i docenti si dicevano preoccupati poiché “per effettuare i test PISA, l'OCSE è entrata in alleanza con aziende multinazionali a fini di lucro”.

Difficile immaginare oggi - in piena globalizzazione economica - una scuola completamente svincolata dalle esigenze del mercato produttivo. Ma perché questa relazione con la sfera economica e finanziaria non si traduca in un assoggettamento, è importante mantenere nella scuola una indipendenza di scelte e di prospettive in favore di una formazione di cittadini consapevoli, in grado di valorizzare le proprie attitudini e i valori culturali del proprio Paese. Il rischio che indicano gli accademici nella loro lettera deve forse essere interpretato non tanto come la preoccupazione per la relazione che inevitabilmente il sistema scolastico ha con il mondo produttivo ma l’opacità con la quale questo legame viene trattato. Anche nel caso dei PISA, occorre maggiore trasparenza sulle commissioni di preparazione e sulle modalità di valutazione dei quesiti, richiedendo che a esse partecipino i rappresentanti di tutti i Paesi coinvolti, in modo da tenere in considerazione le specificità dei singoli e da generare un maggior coinvolgimento democratico delle diverse realtà culturali.

Che cosa si vuole che sia la scuola? Questa è forse la domanda dalla quale, con trasparenza, devono partire le politiche ministeriali dei paesi sviluppati dopo una riflessione culturale, economica, geopolitica e interdisciplinare che porti a ripensare a investimenti in una prospettiva a lungo termine.

  1. https://www.theguardian.com/education/2014/may/06/oecd-pisa-tests-damagi...
  2. http://www.oecd.org/pisa/
  3. http://www.invalsi.it/invalsi/rn/odis/doc/Compendio_prove.pdf
  4. https://www.uu.nl/en/research/freudenthal-institute
  5. http://www.progettoaral.it/2016/07/16/malara-n-a-2014-la-didattica-della...
  6. http://www.progettoaral.it/wp-content/uploads/2016/07/Malara-conf-Mathes...
  7. http://www.matmedia.it/wp-content/uploads/2016/06/DocumentoOCSE.pdf

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