La condanna in primo grado a sei anni per i membri della Commissione Grandi Rischi non riguarda la mancata previsione del terremoto, che sappiamo essere (per ora) impossibile. Riguarda la mancata (o cattiva) comunicazione del rischio, che con una superficiale rassicurazione avrebbe indotto 29 persone a non uscire dalle loro case il giorno del sisma. Mi trovo in difficoltà, non so cosa pensare. Allora cominciamo a dire cosa "sento"?
Sento prima di tutto l'incongruità fra una pena tanto dura (6 anni sono 6 anni!) e una "leggerezza" che avrebbe spinto dei tecnici a esternare cose imprecise, tipo che le scosse che duravano da mesi anziché aumentare il rischio lo allontanvano perché "scaricavano" energia.
Sento anche che un aula di tribunale non è il luogo ideale per dipanare matasse tanto complicate. E tuttavia, come dimostra il caso di Taranto, di Casale Monferrato e tanti altri, spesso la scienza entra nei tribunali e trova in essi l'unico luogo dove giustizia viene reclamata e a volte ottenuta. Eppure c'è comunque una bella differenza fra il padrone di Ilva e di Eternit e i geologi chiamati a valutare delle probabilità, membri di una commissione consultiva, che peraltro non aveva una chiara delega alla comunicazione del rischio. Come la mettiamo?
Sento anche, in tutta questa vicenda, l'assenza di una chiara catena dei compiti e delle relative responsabilità. La Commissione non doveva "comunicare" (il decreto presidenziale che l'ha istituita non cita fra i suoi compiti la comunicazione, leggi qui), epperò glielo fanno fare! Dice l'allora capo della Protezione civile Bertolaso all'assessore Daniela Stati in una telefonata di fine marzo 2009: "Vengono i luminari. E' più un'operazione mediatica, loro diranno: è una situzione normale... non ci sarà mai una scossa, quella che fa male". E i "luminari", in questo strano paese, stanno al gioco, rassicurano. Cos'è la comunicazione del rischio, nella vulgata comune, se non rassicurazione?
La sentenza di oggi, con la sua esorbitante condanna, è il velenoso contraccolpo della prima legge della comunicazione del rischio, che tradotta in formula fa: PR = R + O (o legge di Sandmann); vale a dire: il rischio percepito è uguale al rischio reale più il senso di oltraggio patito da chi non si è sentito adeguatamente informato. Il senso dell'oltraggio nasce dalla censura, dal silenzio o dalla malriposta rassicurazione. Il capriccio della probabilità ha voluto che il 6 aprile 2009 il rischio percepito diventasse rischio reale, danno. E ciò che altrimenti sarebbe restata una delle tante leggerezze a cui anche gli uomini migliori ogni tanto si lasciano andare, con il terremoto è diventato un pesante capo di imputazione, una condanna alla galera. E' giusto che le cose vadano in questo modo? Poniamo che gli esperti avessero esagerato nel senso opposto, dicendo cioè che il terremoto non era assolutamente da escludere, e che insomma si salvi chi può (come ha fatto, per non ripetere l'errore rassicuratorio dell'Aquila la Commissione Grandi rischi per il terremoto emiliano). Cosa sarebbe successo? Se il terremoto non si fosse verificato i suoi esperti sarebbero forse stati inquisiti per procurato allarme, a terremoto avvenuto sarebbero stati scagionati, magari ringraziati.
Quindi finire o meno in galera non dipende dalla comunicazione del rischio ma dal fatto che il terremoto ci sia o meno. Oppure bisogna abituarsi al fatto che la buona comunicazione del rischio è un'altra cosa, un'arte sottile che c'entra poco con la geologia, e che non segue la logica binaria del bianco/nero, che sfugge dalle trappole della giustapposizione allarme/rassicurazione, ma che sa graduare i messaggi, adattandoli ai diversi uditori, costruendo nel tempo una minimo di comprensione pubblica dei concetti di probabilità e incertezza. E soprattutto anche la comunicazione del rischio serve a ben poco se poi non c'è chi quel rischio lo gestisce tecnicamente e politicamente, traducendo le valutazioni dei "luminari" in direttive chiare alla popolazione. (luca carra)