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L'ambiente che sta nell'intestino

Va di moda l'intestino e la sua "flora batterica", come la si chiamava fino a un po' di tempo fa, mentre ora si preferisce chiamarla "microbioma". Nell'intestino vivono miliardi di virus e batteri che conosciamo molto vagamente, ma che pare esercitino una funzione fondamentale nella digestione, produzione di vitamine e aminoacidi, e a tener lontano una serie di minacce che alla lunga potrebbero trasformarsi in malattie. Nelle ultime settimane, in particolare, sono usciti diversi studi che hanno mostrato quanto il microbioma decida la nostra stazza. La prevalenza di un certo tipo di microrganismi, infatti, predispone all'obesità; altri alla magrezza. Topi fatti crescere in un ambiente sterile e quindi privi di una flora intestinale, sono stati messi a contatto, alcuni con i microbiomi di topi grassi e altri topi magri attraverso un trapianto fecale. Con il risultato uscito su Science, che i primi sono diventati grassi e i secondi sono restati magri. Il primo firmatario di questo studio, Jeffrey Gordon della Washington University a St. Louis,  ha pure mostrato il ruolo della dieta nel determinare la "bontà" dell'ambiente microbico intestinale, e come - posti a contatto fra loro - il microbioma del tipo magro tenda a contaminare positivamente il microbioma "grasso", e non viceversa

A questo studio si affianca una ricerca pubblicata su Nature che ha osservato - questa volta sugli uomini - come la sindrome metabolica (obesità e resistenza insulinica incluse) sia assai meno probabile in presenza di microbiomi caratterizzati da una elevata ricchezza e diversità.

C'è dunque un ruolo dei batteri intestinali nel contrastare l'obesità? Magari con sapienti trapianti fecali? O con diete opportune? Può darsi.

Certo è che un microbioma ben temperato, equilibrato e variegato abbia importanti effetti protettivi su una quantità notevole di malattie autoimmuni. Di più: attraverso la produzione di proteine, carboidrati e altre molecole e la loro circolazione in tutto l'organismo, fin nel liquido amniotico e nel latte materno, il microbioma agisce come un grande regolatore di funzioni vitali. C'è addirittura chi sostiene l'esistenza di un asse intestino-cervello attraverso il quale il microbioma possa avere un ruolo anche in disturbi quali l'autismo, la depressione e i disordini alimentari. "Crediamo che i nostri 23.000 geni governino il nostro organismo. In realtà a questi vanno aggiunti i 3,3 milioni di geni di batteri e virus che vivono nel nostro intestino" spiega Lindsey Konkel in una interessante revisione pubblicata su Environmental Health Perspectives, e che si intitola significativamente "The environment within". Un ambiente ancora poco noto, una comunità microbica esposta ancora nella vita fetale a una serie di influenze ambientali che possono determinarne la fisionomia futura, e quindi la maggiore  o minore suscettibilità alle esposizioni ambientali  e alle malattie connesse.

L'ecologia e l'evoluzionismo hanno recentemente scoperto possibili connessioni fra macrobioma e microbioma, al punto da ipotizzare come la riduzione di biodiversità possa riverberarsi sul nostro assetto microbico interno e da lì sulla nostra predisposizione a malattie su base immunologica, in primisi le allergie. Una sorta di ipotesi igienica per il XXI secolo (leggi qui).

A sua volta, l'epidemiologia ambientale dovrà considerare ora più che mai non solo l'ambiente esterno, ma anche quello interno - genetico e microbico - di ciascuno di noi, per arrivare attraverso gli studi di esposomica a una sorta di medicina ambientale personalizzata. E - perché no? - a una clinica che usi sempre meno farmaci e sempre più virus e batteri. (luca carra)