Claudio Elidoro
Corte de' Frati, settembre 2013.
Coonabarabran, Nuovo Galles del Sud – ore 5:38
Notte di lavoro per Simon Feestair. A dire il vero era ufficialmente in ferie, ma poiché aveva la fortuna di fare un lavoro che gli piaceva, anche le ferie finivano col prendere quasi sempre l'aspetto dei giorni di lavoro. Fin da piccolo Simon era stato irresistibilmente attratto dalle cupole dell'Osservatorio di Siding Spring: erano a pochi chilometri da casa sua e ogni occasione era buona per chiedere a suo padre di portarlo da quelle parti. Ora, finalmente, sotto quelle cupole ci lavorava. Era un astronomo, ma si occupava soprattutto dei problemi informatici direttamente collegati all'osservazione del cielo. In quei mesi era alle prese con un nuovo software che avrebbe dovuto migliorare le osservazioni fatte per la SSS (Siding Spring Survey), il progetto di ricerca di nuovi asteroidi condotto in collaborazione con l'Università dell'Arizona al quale l'Osservatorio si era aggregato qualche anno prima che Simon venisse assunto.
L'idea di fondo del nuovo software, apprezzata anche da chi operava direttamente sul telescopio dedicato per una manciata di notti al mese alla Survey, era quella di rendere il più rapida possibile l'individuazione di un nuovo oggetto celeste. Scattata l'immagine di una porzione di cielo, il compito del software era quello di individuare istantaneamente in quell'immagine tutti i puntini luminosi e confrontare le loro posizioni con i database esistenti. Una routine normalissima e ampiamente diffusa, ma che Simon era riuscito a rendere di gran lunga più efficiente e rapida gestendo l'accesso ai database con particolari tecniche prese a prestito dai programmi di intelligenza artificiale.
Prima di implementare il software sui computer dell'Osservatorio, però, non solo Simon voleva esser certo del suo corretto funzionamento e della piena compatibilità, ma gli era venuta voglia di arricchirlo anche con un'altra chicca. Ricorrendo a innovative tecniche di trattamento delle immagini - da sempre Simon era un vero appassionato di fotografia digitale - voleva spremere il più possibile le fotografie del cielo raccolte dal telescopio, provando a scorgere il flebile bagliore di un astro anche se immerso nella leggera e diffusa luminosità del cielo mattutino che annuncia l'inizio del nuovo giorno. Algoritmi delicati, con il rischio concreto di grossolani abbagli - è proprio il termine adatto - dietro l'uscio.
Ormai la versione beta era praticamente pronta e Simon si era preso qualche giorno di ferie per provarla sul suo telescopio personale. Coonabarabran, il paese in cui abitava, era per così dire una delle porte d'accesso del Warrumbungle National Park, il meraviglioso parco naturalistico pesantemente devastato dagli incendi nel 2013 (1) e lentamente riportato al suo splendore negli anni seguenti. Proprio su una modesta altura nel Parco, con l'aiuto di altri appassionati, Simon si era costruito una specie di osservatorio privato. Nulla di particolarmente appariscente: un semplice capanno con il tetto scorrevole che ospitava il basamento del suo telescopio e una serie di batterie, mantenute cariche da un efficiente impianto fotovoltaico, che garantivano un'intera giornata di autonomia elettrica. Il telescopio, il computer e tutte le altre diavolerie per l'osservazione se li portava da casa quando decideva di trascorrere qualche giorno per conto suo tra le montagne e il cielo. Così aveva fatto anche in quelle tiepide giornate della seconda metà di aprile, con l'autunno che ormai aveva iniziato a colorare le foglie degli alberi.
Grazie alle sue conoscenze informatiche e alla possibilità di accedere ai database dell'Osservatorio, Simon aveva trasformato quel capanno in una sorta di ufficio distaccato, dal quale poteva condurre i test più disparati sul software dandogli in pasto le immagini appena raccolte dal suo telescopio. Era stato proprio in occasione dei test svolti all'inizio dell'estate che si era reso conto di un insidioso bug. Per venirne a capo aveva dovuto faticare non poco e ora - almeno sulla carta - tutto si doveva essere risolto. Almeno così sembravano indicare tutte le sessioni osservative svolte fino alla notte prima. Alle primissime luci dell'alba di quel 21 aprile, però, il software segnalava qualcosa di insolito.
Ormai Simon stava per dichiarare ufficialmente conclusa anche quell'ultima sessione osservativa: i dati raccolti nelle nottate precedenti e una prima sommaria analisi erano già pronti per il controllo accurato al quale li avrebbe sottoposti con Robert - il suo boss, un'autentica istituzione a Siding Spring - al rientro in Osservatorio. Alle 5:38, dunque, il software segnalava che nell'immagine ripresa dal telescopio compariva un oggetto non presente nei database. Gli era già capitato altre volte, ma aveva sempre dovuto constatare, con suo grande dispiacere, che si trattava di un falso allarme. Come quella volta che un piccolo pallone meteorologico fece letteralmente impazzire il software per un paio d'ore generando una serie di assurde segnalazioni.
L'importanza di Coonabarabran per gli australiani che si occupano di astronomia è magnificamente riassunta dal cartello di benvenuto della piccola cittadina.
Quella mattina, però, la faccenda era molto diversa. Il telescopio, infatti, stava puntando una porzione di cielo in direzione della costellazione dei Pesci debolmente rischiarata dal riflesso della luce solare, proprio il bersaglio al quale mirava il nuovo algoritmo del suo software. In automatico, come previsto dal programma, il telescopio aveva nuovamente puntato la medesima zona del cielo e raccolto una nuova immagine. Dopo pochi istanti di elaborazione il pop-up sullo schermo segnalava ancora una presenza non prevista, ma questa volta veniva anche indicato che la segnalazione rientrava tra i limiti di errore strumentale - la dicitura che Simon aveva scelto per codificare le rilevazioni che meritavano una accurata indagine supplementare.
Per togliersi il pensiero, sapendo che per quella notte il telescopio ANU (2) da 2,3 metri dell'Osservatorio era stata prenotato da Robert, Simon lo chiamò sul cellulare.
«Come va, Rob? Avrei un grosso favore da chiederti. Il software che sto provando mi ha inizialmente segnalato la presenza di un nuovo oggetto nei Pesci, ma al secondo controllo sembra averlo perso. Ce la fai a dare un'occhiata?»
«Nei Pesci, Simon? Ma da quelle parti il cielo sta ormai rischiarando... Mandami le coordinate e vedo se riesco a scovare qualcosa. Poi ti chiamo.»
Il tempo sembrava non passare: Simon non pensava che quel “poi” potesse durare così a lungo. Nell'attesa, per un paio di volte, aveva provato a mettere di nuovo il suo telescopio sulle tracce di quell'evanescente oggetto, ma inutilmente. Alla fine il software gli aveva detto apertamente di desistere: le condizioni di fondo cielo - recitava il pop-up - non permettono una lettura affidabile.
La suoneria del telefonino lo fece sobbalzare.
«Pronto, Rob, allora?»
«Allora, la faccenda è piuttosto complicata. Ho fatto due riprese in successione e ho ottenuto risposte contrastanti. Il software di routine, quello che usiamo di solito in Osservatorio, non ha scovato nulla. Ho allora provato a dare le immagini in pasto al tuo software e in entrambe le riprese ha beccato il medesimo oggetto. A dire il vero, però, nella seconda mi ha anche dato la segnalazione di un possibile errore strumentale.»
«E' accaduto lo stesso anche a me.» Non era quello il momento di spiegare a Robert il significato del pop-up, l'avrebbe fatto il giorno dopo. Adesso era più importante capire quello che stava succedendo.
«Ammettendo che sia davvero un oggetto reale, sembra quasi che la sua luminosità si stia affievolendo. Che cosa può voler dire, Rob?»
«Impossibile fornire la spiegazione corretta. Potrebbe per esempio trattarsi di un oggetto dalla forma molto irregolare. La sua rotazione potrebbe far sì che la luce riflessa che ci permette di individuarlo giunga da una superficie più ridotta, oppure da una regione meno riflettente. Ma una variazione così rapida non mi quadra... Prima di fare qualsiasi ipotesi, comunque, è fondamentale scoprire se si tratta di qualcosa di reale e non uno spiacevole scherzo del tuo nuovo software. Facciamo così: io contatto un paio di altri osservatori più a ovest in grado di aspettare al varco il potenziale intruso, tu carica tutto e raggiungimi all'Osservatorio. Credo che la nostra notte osservativa avrà una coda inattesa. Ci vediamo tra un'oretta e mezza.»
Per quanto giovane, Simon non era un novellino. Non gli era sfuggita quella punta di leggera preoccupazione nella voce dall'altro capo del telefono. In quella faccenda c'era qualcosa di più, qualcosa che Rob non gli aveva voluto dire. Simon raccolse in fretta le sue cose, caricò il tutto sul suo fuoristrada e chiuse la baracca-osservatorio. Bevve d'un fiato il poco caffè ormai tiepido rimasto nel thermos e si avviò verso Siding Spring.
Note
(1) Nel gennaio 2013 un violentissimo incendio ha devastato il Parco. Circa l'80% degli alberi sono andati distrutti, come pure decine e decine di abitazioni, compresi il Centro di accoglienza e il Museo del Parco.
(2) Il telescopio ANU (Australian National University) è un riflettore con specchio principale da 2,3 metri costruito nei primi anni Ottanta su iniziativa di Don Mathewson, allora direttore dell'Osservatorio di Siding Spring. La sua costruzione venne salutata come la più innovativa del tempo, dato che il progetto prevedeva l'impiego di uno specchio particolarmente sottile, la montatura altazimutale e la collocazione in un edificio rotante.
Osservatorio di Siding Spring, Nuovo Galles del Sud - ore 7:50
Lasciata la macchina nel parcheggio, Simon si diresse senza indugio alle palazzine che ospitavano gli uffici dell'Osservatorio. Attraverso la vetrata gli parve di scorgere Rob che parlava con una certa concitazione al telefono, il che fece ulteriormente aumentare la sua preoccupazione. Era in compagnia di Lisa Kewley, un'astronoma che conosceva solo di vista e che, per quanto gli risultava, si occupava di formazione stellare.
«Eccoti qua» gli disse Robert appena lo vide. «Ora siediti, prendi un caffè e ascolta attentamente quanto ti sto per dire. Quando questa mattina mi hai passato le coordinate non ho fatto il tentativo solamente con l'ANU. La tua telefonata mi è arrivata mentre stavo scambiando due parole con Lisa Kewley, anche lei di servizio in Osservatorio la notte scorsa. Aveva appena terminato di utilizzare l'AAT (1) da quattro metri per raccogliere dati spettrali da una regione di formazione stellare, il suo campo di indagine. Sapeva della nostra caccia agli asteroidi e ha voluto vedere il nuovo software all'opera. Le prime due riprese le abbiamo fatte con l'ANU. Visto il risultato, Lisa mi ha proposto di fare un tentativo anche con l'AAT. Abbiamo faticato non poco a far digerire al sistema di controllo del telescopio che non avevamo intenzione di far arrostire qualche CCD puntando direttamente il Sole, ma alla fine ci siamo riusciti.»
«Dunque?» chiese Simon con impazienza.
«Dunque, sembra proprio si tratti di un oggetto reale e non di una invenzione del software...»
A quel punto Simon si sarebbe aspettato i complimenti di Robert. Non solo il software aveva dato prova di funzionare egregiamente, ma poche ore prima gli aveva permesso di individuare il suo primo asteroide utilizzando unicamente la sua attrezzatura personale. Una nottata da segnare sul suo diario, proprio come quella in cui aveva scoperto il primo oggetto come astronomo professionista. Il tono di voce del suo capo, però, più che l'intenzione di complimentarsi sembrava lasciar trasparire uno strano nervosismo.
«Cosa c'è che non va?» incalzò Simon.
«C'è che, una volta avuto il responso dall'AAT, ho subito contattato l'Osservatorio di Perth e quando sei arrivato ero proprio al telefono con uno dei volontari che, nelle notti in cui la Luna lo permette, utilizzano quel telescopio per il follow-up (2) di asteroidi segnalati dal Minor Planet Center (3). Ebbene, da una prima sommaria analisi delle posizioni rilevate in queste due ore sembrerebbe che ci troviamo in presenza di un NEA (4).»
Veduta dell'Osservatorio Australiano di Siding Spring in cui troneggia la cupola che ospita l'Anglo-Australian Telescope (AAT).
«Beh, mi sembra un'ottima notizia. Il mio primo NEA da non professionista. Finalmente!» Simon era raggiante. Poi, vedendo che sul volto di Robert non si leggeva neppure l'accenno a un sorriso, smorzò il suo entusiasmo e proseguì a voce più bassa. «Oppure c'è qualcosa che non rende questa scoperta una buona notizia?»
«Il fatto è che questo NEA si sta muovendo un po' troppo in fretta. Abbiamo il fondato sospetto che possa essere particolarmente vicino alla Terra e, di conseguenza, potenzialmente pericoloso. Il guaio è che sta viaggiando nascondendosi nell'alone della luce solare, il che lo rende un bersaglio particolarmente complicato da catturare se non si sa esattamente dove cercarlo. Ma la rogna maggiore è che, stando ai dati che abbiamo raccolto finora, sembra proprio puntare verso la Terra. Le posizioni su cui possiamo contare sono talmente poche e ravvicinate nel tempo che non è assolutamente il caso di lanciare un allarme. Ma io sono comunque preoccupato. E non poco.»
Per un paio di minuti - un'autentica eternità - lo studio di Robert piombò in un silenzio quasi irreale. Era la prima volta che Simon vedeva il suo capo in quelle condizioni. Lentamente, mentre si trovava a riflettere su quanto era successo in quella manciata di ore, la preoccupazione diventò anche la sua. Nei suoi studi aveva analizzato lo scenario di un NEA che finisce la sua esistenza schiantandosi sul nostro pianeta, ma qui non stava leggendo un libro o studiando un paper di Science.
«Cosa suggerisci di fare, Rob?» chiese Simon con un filo di voce.
«Abbiamo bisogno di più dati. Dobbiamo sapere con precisione su che orbita è incamminato quel figlio di p...» Si era quasi scordato della presenza di Lisa, che fece finta di nulla. Dopo aver borbottato, quasi rivolte a se stesso, un paio di parole di scuse, Robert passò a illustrare quanto aveva in mente.
«Ci occorrono dati osservativi da postazioni più a ovest. L'oggetto deve già essere sopra l'orizzonte, ma devono anche aver avuto il tempo di coordinarsi. Proviamo con l'India. Mentre tento di mettermi in contatto con il centro di controllo dell'IAO (5) a Bangalore - c'è un australiano, uno che conosco, che sta lavorando per il dottorato da quelle parti - tu attaccati al telefono e senti sia quelli che si occupano del Sentry al JPL sia quelli del NEODyS a Pisa (6). Se ti prendono a male parole fai pure il mio nome. Non ti garantisco possa funzionare, ma almeno guadagnerai il tempo necessario a spiegare ciò che sta succedendo. Tra mezz'ora ci troviamo qui per gli aggiornamenti.»
Mentre Simon si fiondava nel suo ufficio e cominciava febbrilmente a recuperare i numeri di telefono che gli servivano, Robert aveva già in linea Bangalore. Ci volle una decina di minuti prima di poter parlare con chi quella notte stava utilizzando il Chandra, ma alla fine ci riuscì. Quasi fosse un avvocato alla sua arringa decisiva, Robert cercava di rendere la sua richiesta la più drammatica possibile. A dire il vero, però, più parlava e più si accorgeva che non faceva proprio nessuna fatica a tenere un tono quasi catastrofico. E questa constatazione lo rendeva ancora più preoccupato. Fortunatamente, lo sconosciuto interlocutore all'altro capo del telefono si mostrò una persona molto comprensiva e disponibile: non fu neppure necessario chiamare in causa il dottorando australiano... Chiarita la situazione, Robert trasmise le coordinate dell'oggetto acquisite a Perth, raccomandando comunque di effettuare anche osservazioni nella zona circostante. Il movimento in cielo era abbastanza pronunciato e due ore di distanza potevano avere il loro peso. Concordarono che le immagini raccolte sarebbero state analizzate sia con il software ufficiale impiegato dall'Indian Institute of Astrophysics sia con quello di Simon. Appena chiusa la conversazione, Lisa diede un'occhiata a Robert.
«Certo che è davvero un gran brutto affare. E' proprio una di quelle scoperte che non ti augureresti mai di dover fare...» commentò l'astronoma rigirando tra le mani la tazza di caffè ormai vuota.
«Il lato peggiore della faccenda è che ti senti con le mani legate. Se i fantasmi che si sono risvegliati questa notte non si sciolgono alla luce del giorno c'è il rischio che per qualcuno non ci possa essere un altro giorno» le disse Robert alzandosi dalla sua poltrona e mettendosi alla finestra a osservare il fantastico trionfo di colori che quel tiepido autunno si divertiva a dipingere tra gli alberi delle colline.
Quell'assorta contemplazione venne interrotta dal ritorno di Simon.
«Qualche problema, per via del fuso orario, nel rintracciare quelli di Pisa. Ma poi ce l'ho fatta e hanno immediatamente messo i dati nel programma. A dire il vero, quando hanno visto che l'arco delle osservazioni era così breve non volevano neppure provarci, ma il tizio - mi sono persino scordato il suo nome - ha detto che ti aveva conosciuto un paio d'anni fa a un convegno e non gli avevi dato l'impressione di essere una testa calda. Beh, l'importante è che il programma di simulazione orbitale stia macinando quei dati. Meno problemi con quelli del Sentry. Forse anche perché, mentre parlavamo, potevano notare in tempo reale la strana simulazione che avevano appena implementata a Pisa. Comunque, entrambi mi hanno detto che nel giro di una decina di minuti ci dovrebbe arrivare qualcosa.»
«Bene» gli disse Robert con un mezzo sorriso. Era evidente, però, che c'era qualcosa che gli stava sul gozzo e, per abbordare al meglio il discorso, stava cercando le parole più adatte. Fece un lungo respiro e cominciò:
«Vedi, Simon, devo dirti un'altra cosa. Questa mattina, mentre aspettavo il tuo arrivo e la seconda conferma da Perth, ho provato a fare due conti. Nessuna certezza nei risultati - come ben sai i dati sono tuttora estremamente limitati - ma ci ho provato ugualmente. Ho voluto provare a ricostruire le dimensioni del possibile asteroide da te scoperto - a proposito, complimenti! anche se non credo sarai così felice di mettere la scoperta nel tuo curriculum. Prendendo per buone le misurazioni della sua magnitudine luminosa, ho provato a vedere cosa ne veniva fuori. Come ben sai i nodi di fondo sono la sua distanza e la sua albedo...»
«Ah, la misura di come riflette la luce» lo interruppe Lisa «Mi torna in mente quando, ancora studentessa, stavo preparando l'esame di scienze planetarie. Non era neppure andato male quell'esame, ma da allora quanto avevo studiato in quel corso non l'ho praticamente mai più utilizzato. Mi sono data alle stelle.»
«Proprio quello. Di un asteroide appena scoperto non sappiamo praticamente nulla, men che meno la sua composizione superficiale. Ho dunque provato a fare qualche ipotesi. Immaginando si tratti di un oggetto ad alta composizione metallica e prendendo per buona la distanza che usciva triangolando i nostri dati con quelli preliminari arrivati da Perth...»
La smorfia di disappunto che si materializzò sul volto di Simon obbligò Robert a una sorta di giustificazione:
«Hai ragione a storcere la bocca, sappiamo entrambi che c'è il rischio concreto che le nostre ipotesi siano autentica spazzatura. Detto fuori dai denti, non mi sognerei mai di pubblicare questi risultati, neppure su una rivista di gossip. Ma lasciami finire. Prendendo dunque per buona quella distanza e quella composizione ne viene fuori un oggetto di un centinaio di metri. Se però ipotizziamo di trovarci di fronte a un asteroide più scuro, per esempio un nucleo cometario ormai inattivo, le dimensioni salgono di un bel po'. Per fartela breve: in entrambi i casi l'atmosfera non riuscirebbe a disinnescare la sua discesa verso la Terra...»
«E allora?» chiese Lisa che si stava lasciando sempre più prendere dal problema.
«Allora è proprio un gran brutto affare...» A interrompere Robert questa volta ci pensò la musichetta del pc che annunciava l'arrivo di un messaggio di posta.
«E' Bangalore» disse Robert aprendo la mail «Mi confermano la presenza dell'oggetto. Lo spostamento rispetto alle coordinate che gli avevo trasmesso indicherebbe che non è poi così lontano dalla Terra. Secondo il loro software orbitale - ignorando le grosse incertezze legate a un tempo di osservazione così esiguo - il punto di massimo avvicinamento si verificherebbe tra meno di una decina d'ore. Passo subito le nuove coordinate a Pisa e al JPL e sento cosa mi dicono.»
Nel giro di una manciata di secondi i dati dell'IAO erano già in viaggio con priorità massima verso l'Italia e l'Arizona. Destinazione: NEODyS e Sentry. Robert diede un'occhiata al suo orologio: le 8:40. Erano già passate tre ore dalla prima telefonata di Simon eppure gli sembrava fosse appena successo. In quasi quarant'anni di lavoro, quella era la prima volta che si sentiva davvero in affanno. Era proprio un gran brutto affare.
«Credo sia giunto il momento di allertare il Minor Planet Center» disse ad alta voce Simon. Neppure il tempo per Robert di esprimere il suo consenso che già Simon stava battendo i tasti del pc del suo capo componendo una mail per Timothy Spahr.
Note
(1) AAT - Anglo-Australian Telescope. Costruito nel 1974, fu uno degli ultimi telescopi della classe 4 metri ad essere equipaggiato con montatura equatoriale. Continuamente aggiornato e potenziato, all'inizio degli anni 2000 risultò il più produttivo dei telescopi della sua classe. Nel 2009 si collocò al quinto posto nella particolare classifica che valuta l'impatto scientifico dei telescopi ottici di tutto il mondo.
(2) Con questo termine si indicano le osservazioni di “inseguimento” di un asteroide per rilevare con la massima precisione il suo cammino sulla volta celeste. E' grazie a questi dati che sarà possibile ricostruire l'orbita dell'oggetto. In questa fondamentale fase della ricerca astronomica giocano un ruolo chiave numerosi gruppi di astronomi non professionisti (anche in Italia!).
(3) Il Minor Planet Center (MPC) è un Istituto che dipende dall'International Astronomical Union e che si occupa specificatamente dei corpi minori del Sistema solare. Opera presso lo Smithsonian Astrophysical Observatory (SAO) a Cambridge, Massachusetts.
(4) NEA - Acronimo per Near Earth Asteroid (asteroide vicino alla Terra), una classe di oggetti le cui orbite li portano ad avvicinarsi - e talvolta a intersecare - l'orbita del nostro pianeta.
(5) IAO - Indian Astronomical Observatory. Costruito a 4500 metri di quota nella regione himalayana del Ladakh, l'osservatorio ospita un telescopio ottico infrarosso da due metri - l'Himalayan Chandra Telescope - controllato in remoto grazie a un satellite dedicato e gestito dall'Indian Institute of Astrophysics di Bangalore.
(6) Sentry e NEODyS sono due programmi indipendenti, ma intercomunicanti, che si occupano di valutare la potenziale pericolosità di un oggetto celeste per il nostro pianeta. Operano presso il Jet Propulsion Laboratory della NASA e presso l'Università di Pisa. Dal 2011 il mantenimento del servizio di NEODyS è affidato a SpaceDyS, un'azienda nata come spin-off del Gruppo di Meccanica Celeste dell'Università di Pisa.
Minor Planet Center - Cambridge, Massachusetts - ore 18:42
A Cambridge era pomeriggio inoltrato. Timothy si era attardato in ufficio per leggere le ultime mail con le segnalazioni del follow-up di un asteroide che in quei giorni aveva una discreta priorità. Assolutamente nessun rischio per il pianeta, ma c'era il sospetto che si trattasse di una riscoperta, cioè un asteroide individuato una decina d'anni addietro del quale poi s'erano perdute le tracce. La mail dall'Australia lo prese quasi alla sprovvista: per quella notte non gli risultava fossero pianificate sessioni osservative. Ancor di più lo spiazzò la segnalazione di “priorità assoluta” che caratterizzava la mail. Aprì immediatamente il messaggio: niente convenevoli e poche righe di scarne spiegazioni - Simon non era un granché come comunicatore - che introducevano un paio di allegati, uno con le prime immagini riprese a Coonabarabran e l'altro con i dati astrometrici raccolti con le osservazioni a Siding Spring, a Perth e al telescopio indiano dell'Himalaya.
«Procedura piuttosto inusuale...» disse a mezza voce Timothy mentre caricava i dati nel sofisticato programma di ricostruzione delle orbite utilizzato al MPC. Quello che più lo stupiva era come mai un veterano come Rob si comportasse come un novellino alla sua prima scoperta. Fu proprio mentre attendeva la manciata di secondi di cui il software aveva bisogno per digerire i dati che giunsero, quasi in contemporanea, una mail dal JPL e una dall'Università di Pisa. Timothy riconobbe al volo i mittenti. Cosa diavolo potevano volere quelli del Sentry e del NEODyS? Fatto un rapido calcolo, poi, in Italia doveva essere circa mezzanotte. Un orario davvero insolito perché un operatore si occupasse direttamente e in modo tanto urgente di simulazione di orbite.
Mentre apriva la mail del JPL giunse la segnalazione che il software aveva terminato l'elaborazione. Accantonò la mail e saltò immediatamente alle conclusioni finali dell'elaborazione. Sapeva benissimo che, prima di quelle, il programma gli avrebbe segnalato l'esiguità dei dati e la scarsa copertura temporale enfatizzando la possibilità che il risultato fosse del tutto inaffidabile. Quello che più gli interessava, però, era capire come mai Rob avesse dato risalto a quel nuovo asteroide che si era degnato di materializzarsi nei cieli del Galles del Sud. Quello che lesse proprio non gli piacque. Il rosso acceso della scritta “rischio impatto” che lampeggiava sul video non era affatto tranquillizzante. Il guaio era che, nonostante continuasse a ripetersi “tranquillo, i dati sono scarsi, è presto per arrivare alle conclusioni”, gli bastava un'occhiata a quella scritta per agitarsi ancor di più.
Il Minor Planet Center è ospitato presso l'Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics a Cambridge in Massachusets (Stati Uniti).
Quasi per distogliersi da quel pensiero, Timothy ritornò sulla mail del JPL. Allora gli fu perfettamente chiaro il vero motivo dell'agitazione di Rob. Aprì anche la mail da Pisa: stessa identica sentenza. Entrambi i software indicavano che nelle simulazioni effettuate integrando anche i dati provenienti dall'India le probabilità di collisione con l'oggetto sconosciuto erano aumentate. Quasi fossero state scritte dalla medesima persona, entrambe le mail chiedevano assoluta riservatezza: i dati non garantivano la necessaria precisione, dunque era ancora prematuro allertare l'Unione Astronomica Internazionale e il COPUOS, l'organismo delle Nazioni Unite deputato ai problemi dello spazio - tra i quali, ovviamente, anche quello del rischio di impatto. La situazione andava comunque considerata con la massima urgenza.
«Devi assolutamente vedere una cosa...» disse Timothy rivolgendosi a Gareth Williams, seduto davanti al suo pc dall'altra parte dell'ufficio. «Forse, però, è meglio se ti siedi.»
«Porc...!» l'imprecazione uscì talmente in fretta che a Gareth proprio non gli riuscì di bloccarla «Ops, scusa. E' un gran casino: dobbiamo raccogliere la maggior quantità di dati possibile. Se NEODyS e Sentry hanno visto giusto abbiamo si e no otto ore di tempo. Allertiamo immediatamente tutti coloro che possono osservare e incrociamo le dita. Mi metto subito al computer. A proposito, quale sigla uso per indicare l'oggetto?»
«Non voglio venga confuso con un oggetto di routine. Niente sigla ufficiale, dunque. Per quella ci pensiamo a problema risolto e - correggimi se sbaglio - dovrebbe essere HH19. Propongo di utilizzare per ora un nome in codice. Considerando quello che ho provato negli ultimi cinque minuti, il nome più adatto che mi viene in mente mi sembra quello di Metus. E' il dio latino della Paura. Che ne dici?»
«Si, la sigla è corretta, ma concordo anch'io sulla scelta di un nome in codice. E' una prassi davvero inconsueta per noi, ma anche la situazione lo è. Vada dunque per Metus. Sai bene che la mitologia classica non è il mio habitat naturale. Io mi trovo meglio tra bit e byte. Vado al mio pc e spedisco una comunicazione con priorità assoluta agli osservatori in grado di darci una mano. Speriamo che per questa volta le nuvole ci lascino lavorare.»
«Più che altro, speriamo che il Sole ci permetta di osservare...» precisò Timothy.
Mentre Gareth diramava la comunicazione evidenziandone la priorità assoluta, Timothy si mise alla sua postazione e lanciò il programma di chiamata video. Doveva assolutamente parlare con Rob e con chiunque altro, assieme a lui, si era trovata quella patata bollente tra le mani. Pochi istanti di attesa ed ecco far capolino il volto preoccupato di Robert.
«Un ottimo modo per farmi concludere la mia giornata in ufficio...» buttò lì Timothy cercando di sdrammatizzare.
«Non dirlo a me» rispose immediatamente Robert «a quest'ora dovrei essere a riposare. Invece mi trovo a inseguire orribili fantasmi. A proposito, ecco il diretto responsabile: Simon Feestair, il nostro esperto di sistemi informatici...» Fece un cenno a Simon, che si mise al suo fianco.
«Buon giorno dottor Spahr. Davvero una pessima circostanza per incontrarci...»
«In effetti avrei preferito scambiare due chiacchiere in tutta tranquillità al prossimo Convegno. Rob mi aveva parlato del tuo nuovo software e sia io che Gareth eravamo davvero ansiosi di vederlo all'opera. Comunque, se questo è il risultato, dobbiamo riconoscere che hai fatto un buon lavoro. Ma veniamo al dunque. Rob, che idea ti sei fatto della faccenda e cosa consigli di fare?»
«Sono molto preoccupato. Non mi era mai capitato che le simulazioni avessero così pochi dubbi nonostante l'esigua copertura di dati. L'idea che mi sono fatto è che i dati sono buoni e che siamo in presenza di un grosso guaio. Vedo sullo sfondo Gareth che sta pestando con la consueta velocità da extraterrestre i tasti del suo inseparabile pc, immagino stia diramando la circolare di allerta. Abbiamo bisogno del maggior numero di dati possibili. Il mio software - e anche quello dell'Indian Institute of Astrophysics - indicano che abbiamo solo poche ore di tempo. E' necessario che ci inventiamo qualcosa che ci possa dare ancor più precisione nei dati. Dalle tue parti l'oggetto dovrebbe essere ancora per un po' sopra l'orizzonte. Hai provato a contattare Goldstone e Arecibo per mettere in piedi un'osservazione radar?»
«In effetti il tempo non è molto. Al radar ci avevo pensato anch'io, ma so che i tempi di allerta e di preparazione della sessione osservativa sono di almeno un paio d'ore. Il che porterebbe Metus a scomparire sotto l'orizzonte. A proposito, lasciando perdere la prassi abituale, con Gareth abbiamo deciso di dare all'asteroide il nome provvisorio di Metus. Con quello che ci sta facendo passare...»
Anche Lisa si unì alla conversazione. «Metus, il dio romano della paura. Scelta azzeccata. Buon pomeriggio, dottor Spahr. Sono Lisa Kewley, mi occupo di formazione stellare e mi trovo invischiata nella faccenda per puro caso. Mi è bastato concedere a Robert di utilizzare un po' del mio tempo osservativo con l'AAT. A proposito del radar. Possibile che il giochetto funzioni solo con Goldstone e Arecibo?»
«In effetti qualche anno fa era stato provato qualcosa anche con altre postazioni. Se non ricordo male il periodo, a fine 2001 era stato osservato l'asteroide Golevka utilizzando l'antenna da 70 metri di Evpatoria in Crimea per inviare il segnale e la stazione italiana di Medicina, vicino a Bologna, per ricevere l'eco. L'esperimento aveva dato ottimi risultati (1), ma non mi risulta sia stato ripetuto in altre occasioni. Non è facile far combaciare i tempi di utilizzo delle installazioni astronomiche. Lei dovrebbe saperne qualcosa, dottoressa Kewley.»
«Già. Credo però che in una circostanza come questa sarebbe un atto da irresponsabili non agevolare il più possibile la raccolta di dati...»
Rischiando di essere scortese, Robert interruppe le considerazioni di Lisa:
«Scusate. Ho fatto due conti e mi sembra che il Italia sia circa la mezzanotte. Io proverei a chiamare un astronomo dell'Osservatorio di Torino col quale ho collaborato qualche anno fa. Passerei a lui la patata bollente di contattare i responsabili di Medicina e convincerli che è indispensabile acquisire dati radar su - come hai detto che si chiama? - ah, Metus. Nel frattempo dovremo cercare le possibili strade per fare lo stesso discorso per il radar in Crimea. Così su due piedi proprio non mi viene in mente nessun contatto, ma credo che dovremmo riuscire a trovarne uno. Alla disperata, cerchiamo uno straccio di numero di telefono e chiamiamo. Ci sarà bene qualcuno che mastica due parole d'inglese. Se tutto va per il verso giusto, i due osservatori hanno almeno tre-quattro ore di tempo per collimare i segnali e predisporre il tutto. Che ne dici, Timothy?»
«Ottimo suggerimento. I tempi sono incredibilmente ristretti, ma vale comunque la pena di provare. Anche Gareth è d'accordo e forse sa come arrivare a Evpatoria. Fai subito quella telefonata a Torino, Rob, e poi vedete se riuscite a prendervi tutti quanti un paio d'ore di riposo. La notte è stata piuttosto pesante, ma la giornata che avete davanti rischia di esserlo ancora di più. Dal canto mio contatto il NEODyS a Pisa. Il tempo stringe e i dati radar devono essere inseriti nel software delle orbite il prima possibile. Ho pensato che la comunicazione tra Bologna e Pisa potrà risultare più efficace e immediata. Poi ci penserà NEODyS a girare i dati anche a Sentry per il controllo incrociato. E' indispensabile sapere se quella di Metus sarà una visita di cortesia oppure il capolinea della sua orbita. Ci aggiorniamo.»
Note
(1) Di Martino M. et al. - Results of the first Italian planetary radar experiment - Planetary and Space Science 52, 325-330; 2004
Università di Pisa, NEODyS - ore 3:15
Il programma di analisi orbitale macinava ormai i dati di Metus da quasi tre ore. Man mano che dal MPC arrivavano nuove rilevazioni astrometriche, il software, pazientemente, ripeteva il ciclo di calcoli. Non era molto tempo che Francesco lavorava a SpaceDyS e forse proprio per questo motivo si era lasciato coinvolgere da quella strana telefonata giunta intorno a mezzanotte dall'Australia. Abitava a poche centinaia di metri dalla stanza dei bottoni di NEODyS - così la chiamavano - e non gli sarebbe poi costato più di tanto posticipare la conclusione della sua giornata. Era convinto che con una mezz'oretta di lavoro avrebbe tranquillamente liquidato quelle insistenti preoccupazioni che arrivavano dall'altro capo del mondo. Ora, tre ore abbondanti dopo quella telefonata, si convinceva sempre più che aveva per le mani una gran brutta rogna. Dopo la mail al MPC aveva già sentito telefonicamente Timothy e Gareth e la piega che la faccenda stava prendendo proprio non gli piaceva.
In altri casi analoghi che gli era capitato di gestire era bastato fornire al software un set di dati più aggiornati e puntualmente la minaccia di un potenziale impatto era scomparsa, letteralmente evaporata. Quella notte proprio non c'era verso. E' vero, l'intervallo temporale era molto limitato, ma dal MPC gli arrivavano rilevazioni astronomiche provenienti da un gran numero di osservatori indiani, russi, kazaki. C'erano un paio di contributi anche dall'Afghanistan e dall'Iran. Non gli era mai capitato di assistere a una copertura così intensa. Evidentemente l'allarme di Gareth aveva toccato i tasti giusti...
Nonostante la copertura, però, proprio non c'era verso di eliminare dal report di NEODyS la preoccupante segnalazione di un rischio impatto. Preso il telefono, fece scorrere i nomi della rubrica cercando quello di Armando, il suo capo, e schiacciò il tasto di avvio della chiamata. Al massimo avrebbe rimediato una lavata di capo.
La voce assonnata e seccata all'altro capo del telefono gli ricordò che, dopotutto, stava rompendo le scatole proprio nel cuore della notte, ma si sforzò comunque di tenere un tono il più possibile normale:
«Pronto, Armando? Sono Francesco. Qui sta succedendo un gran casino. Infilati una tuta e un paio di scarpe e poi raggiungimi il più presto possibile alla stanza dei bottoni. Non stare a perdere tempo a farti la barba. Di tempo proprio non ne abbiamo...»
«Ma che caz... Ma hai guardato l'orologio, Francesco? Guarda che il primo d'aprile è stato venti giorni fa. Mi preparo e in un quarto d'ora penso di riuscire a raggiungerti. Fammi trovare una tazza bella grande di caffè bollente. Un quarto d'ora e sono lì.»
«Poteva andare peggio» disse tra sé e sé Francesco chiudendo la comunicazione. Ora doveva pensare a come spiegare ad Armando quanto stava succedendo. Doveva farlo nel modo più completo e - soprattutto - rapido. E senza scordarsi il caffè.
Il capo fu davvero di parola. Dopo neppure venti minuti Francesco intravvide i fari della macchina che entrava nel parcheggio e, subito dopo, udì il rumore della portiera che si chiudeva. Mise allora la cialda nella macchinetta del caffè e scelse la dose maxi. Quando Armando entrò nella stanza, la tazza di caffè bollente era pronta al suo posto. Prima ancora che riuscisse a dire mezza parola, Francesco lo stava già investendo con una raffica di parole talmente fitte e concitate da risultare incomprensibili persino a un attento ascoltatore. Figuriamoci per una persona tirata improvvisamente giù dal letto nel bel mezzo della notte.
«Adesso calmati, Francesco, e ripetimi tutto da capo. Non ho capito nulla.»
Francesco optò per una soluzione più sbrigativa. Girò il monitor e, in silenzio, gli indicò la scritta “rischio impatto” sul report di NEODyS. Approfittando poi dell'attimo di smarrimento del capo, ricominciò a parlare:
«E' iniziato tutto a mezzanotte. Mi è arrivata una chiamata da Siding Spring, da uno che mi chiamava per conto di Rob McNaught. Bisognava urgentemente fare un check su un oggetto appena scoperto. Credevo si trattasse della solita routine e pensavo di cavarmela in fretta... Poi mi ha telefonato - preoccupatissimo - il dottor Spahr dal MPC raccomandandomi di dare la massima priorità a questo oggetto. L'hanno chiamato Metus. Da quasi tre ore mi stanno arrivando sempre nuovi dati astrometrici, ma non c'è verso di far sparire quella stramaledettissima scritta...»
Il concitato racconto venne interrotto dallo squillare del telefono. Era Timothy Spahr. Mentre Armando armeggiava al computer cercando di ricostruire i pezzi mancanti di quel lacunoso racconto, Francesco prese la chiamata e mise il viva voce.
«Salve, dottor Spahr. Qui non va per nulla bene. NEODyS persiste a segnalare il rischio impatto. L'ultima volta che ho sbirciato sull'output di Sentry mi sembrava che anche al JPL si fosse sulla stessa posizione...»
«Corretto. Ti ho chiamato perché sembra che adesso stia emergendo un altro grave problema. Alcuni osservatori ci hanno segnalato che sta diventando impossibile rintracciare Metus: sta entrando sempre di più nella luce solare. Troppo pericoloso puntare la strumentazione. A conferma di ciò, il flusso di osservazioni che giungono al MPC sta calando in modo sensibile. Ancora una mezz'ora e poi non avremo più nessun aggiornamento. E da lì in poi potremo contare solamente sulla possibilità della rilevazione radar. Sarà il caso che allerti il tuo capo.»
«Già fatto, Timothy. Sono Armando. Francesco mi ha buttato giù dal letto mezz'ora fa, ma mi è bastato trascorrere qualche minuto davanti ai dati per farmi passare del tutto il sonno residuo. Senti, ma al JPL hanno provato a utilizzare il software più dettagliato? Più o meno sappiamo quale area potrebbe essere interessata al potenziale impatto?»
«L'ultima segnalazione dal JPL - anche loro dispongono degli stessi vostri dati - indica un'area centrata grossomodo sul Mediterraneo. Dalle parti di casa vostra, insomma. So che a Pisa avete un programma analogo. Provate anche con quello. Ne approfitto per segnalarvi - l'ho comunicato poco fa anche a Rob a Siding Spring - che alcuni osservatori sono riusciti a raccogliere lo spettro di Metus. Tutto sembra indirizzare verso un oggetto di classe spettrale M (1). Questo fa diminuire le sue dimensioni, ma non cancella affatto le nostre preoccupazioni. Secondo le simulazioni di Gareth, Metus sarebbe grande una sessantina di metri. Una misura più che sufficiente a fargli fare un discreto buco nel terreno. Avete presente il Meteor Crater? Ecco, qualcosa di molto simile.»
«Proviamo subito anche noi a verificare lo scenario più dettagliato dell'impatto.»
Armando fece un cenno a Francesco, che si spostò con un balzo a un altro terminale e avviò il programma di simulazione. Poi continuò: «Anche se l'area è ancora piuttosto incerta, secondo me è comunque il momento di allertare le autorità civili. Contatto subito il responsabile della Protezione Civile. Non so come la prenderà, ma è indispensabile che sappia. Hai parlato di dati radar. Per quando sono previsti?»
«Mezz'ora fa ho parlato con Medicina e con la Crimea. Fortunatamente per noi, proprio in queste settimane stanno organizzando un'operazione congiunta come quella del 2001 e dunque, tagliando corto su certe procedure burocratiche, sono riusciti a concordare l'operazione per stanotte. Ormai dovrebbero aver messo in fase le due stazioni e stanno solo aspettando che Metus faccia capolino. Non appena avranno i primi dati li manderanno direttamente a voi e al JPL. Fate anche voi la simulazione con il software più dettagliato. Aspetto la vostra chiamata.»
Stazione radioastronomica di Medicina (Bologna). In primo piano un braccio della Croce del Nord e sullo sfondo l'imponente antenna da 32 metri di diametro.
Armando andò nel suo ufficio. Non aveva in rubrica il numero dell'ingegner Bertoldi, il referente per la Protezione Civile che gli era stato segnalato in occasione dell'ultimo incontro sul rischio impatto svoltosi due anni prima presso l'Osservatorio di Torino. Si accorse che, da allora, non aveva mai avuto la necessità di utilizzarlo e si augurò che nel frattempo non fosse cambiato o, peggio, l'ingegner Bertoldi non fosse stato destinato a qualche altro incarico. Esitò ancora qualche istante prima di comporre il numero, poi si decise. Ci vollero cinque interminabili squilli, ma alla fine dall'altro capo gli rispose una voce assonnata.
«Pronto, ingegner Bertoldi? Sono Armando Bergamo, di SpaceDyS, la società che ha in carico il servizio di NEODyS, quello sull'allarme impatto. Mi spiace svegliarla nel cuore della notte, ma c'è un'emergenza...»
Anche se sapeva che stava parlando con una persona che simili problematiche le aveva ben presenti, Armando si sforzò di utilizzare un linguaggio il meno tecnico possibile. Dopotutto erano quasi le quattro del mattino e aveva ben presente che, mezz'ora prima, anche a lui erano occorsi almeno cinque minuti e un bel po' d'acqua fredda sul viso prima di potersi considerare sufficientemente sveglio e abile per la guida. Armando impiegò un buon quarto d'ora per esporre la situazione. Ogni tanto punzecchiava l'interlocutore con dei «Mi segue? Comprende?» più che altro per rendersi conto se, malauguratamente, non stesse parlando solamente a se stesso. Le domande che l'ingegnere gli fece, però, convinsero Armando di un paio di cose. Non solo Bertoldi era perfettamente sveglio e attento anche ai minimi dettagli, ma - cosa più importante - dimostrava di essere competente e consapevole dell'importanza della faccenda.
Armando stava rispondendo in merito alla scarsità di dati disponibili e alla prevista indagine radar quando Francesco entrò trafelato nella stanza. Senza dire nulla posò un foglio sulla scrivania del capo e gli indicò tre o quattro parole che aveva cerchiate con un pennarello rosso. Era il listato di output del programma di simulazione dettagliata predisposto da SpaceDyS. Concettualmente molto simile a quello del JPL, recentemente erano state implementate particolari routine di calcolo con il compito di ridurre al massimo gli errori. Era stato testato in più di una simulazione e in effetti sembrava possedere una marcia in più dell'analogo americano.
Armando si zittì di colpo: Italia Centrale, ora stimata 7:50. La cartina che accompagnava il listato mostrava un'ellisse che si estendeva dal Gargano fin quasi alla Corsica, con Roma più o meno al centro. Si trattava ancora di un'area lunga 500 chilometri e ampia 200, ma era comunque decisamente più ristretta rispetto a quanto suggerivano le previsioni del JPL. Con un filo di voce comunicò a Bertoldi il risultato della simulazione. Il silenzio all'altro capo del telefono gli confermò che la segnalazione era arrivata.
Quelle scarne parole mutarono radicalmente la conversazione, avviandola rapidamente al termine. Bertoldi diede ad Armando un altro numero telefonico - «Per sicurezza» gli disse - raccomandandogli di tenerlo costantemente informato sugli sviluppi. Gli dettò poi gli indirizzi mail riservati del Capo del Dipartimento della Protezione Civile e del Direttore dell'Ufficio IV (Gestione delle emergenze) chiedendo di mandare a entrambi tutta la documentazione in suo possesso. Nel frattempo lui li avrebbe contattati di persona per telefono.
Armando guardò l'orologio: le quattro e dodici. Soffocò a stento una mezza imprecazione. Alle spalle aveva un aborto di notte e davanti a lui si stava delineando un'interminabile e terrificante giornata.
Note
(1) Questo tipo di spettro caratterizza gli asteroidi con probabile composizione metallica (Ferro e Nichel) che popolano la cosiddetta Fascia principale.
Università di Pisa, NEODyS - ore 6:00
Come preannunciato da Timothy, il flusso dei dati astrometrici di Metus era calato drasticamente ed era ormai un'ora che al NEODyS non arrivava più nulla. Da allora, nervosamente, Francesco provava e riprovava a far girare la simulazione dettagliata, ritoccando i parametri di alcune routines e osservando la reazione del software. Quell'ellisse centrata sul Lazio proprio non se ne voleva andare. Appena chiusa la telefonata con Bertoldi, Armando aveva buttato giù dal letto prima del tempo anche Alan De Marini, uno degli ideatori di NEODyS. Era a Firenze per partecipare a un Congresso internazionale, ma una volta sentito quanto stava accadendo gli aveva assicurato che si sarebbe messo subito in viaggio. Fatti due conti, ormai il suo arrivo era questione di minuti.
Ripensando a come era cominciata tutta quella faccenda, ma più che altro per ingannare l'attesa, Armando decise di aggiornare sugli ultimi sviluppi anche Rob a Siding Spring. Si erano conosciuti proprio in occasione di un convegno sugli impatti cosmici organizzato dalla NASA e riguardo a molte problematiche la pensavano quasi alla stessa maniera. Neppure si curò di verificare che ore potessero essere da quelle parti. Cercò il numero sul telefonino e lanciò la chiamata. Due squilli e poi la voce di Rob, con il suo tipico accento australiano:
«Ciao, Armando. Proprio come prevedevo. Vedo che sei stato coinvolto di persona nella faccenda. Come sta procedendo l'analisi dei dati astrometrici? Il dottor Spahr ci ha comunicato che l'oggetto è metallico, sapete qualcosa di più?»
«Ciao, Rob. Quello che sappiamo - non so se Timothy te l'ha detto - è che le simulazioni danno una significativa probabilità che caschi sull'Italia centrale. Non è proprio un gran bel modo di cominciare la giornata, sapendo che un oggetto metallico di 700 mila tonnellate (1) ti stia per piombare proprio a due passi da casa...»
«Detta così sembra una quantità enorme» cercò di consolarlo Robert «In realtà - prova a pensarci bene - ammesso di riuscire ad acchiapparlo tutto intero e ipotizzando che sia completamente di ferro, sarebbe più o meno l'equivalente di soltanto mezza giornata di produzione (2) nelle nostre miniere di ferro della regione di Pilbara, nell'Australia Occidentale. Come oggetto celeste è davvero piccolo. Questo non significa che se vi casca in testa non sia dannatamente pericoloso. Torniamo all'orbita: riesco a vedere online i risultati del JPL, ma dal NEODyS da qualche tempo non ricevo più nulla. Problemi?»
«No, no. Tutto ok. E' solo che Francesco - stanotte è lui che ha preso la vostra chiamata e mi ha buttato giù dal letto - sta facendo alcune prove su un software collegato e abbiamo messo offline la procedura normalmente usata per l'output. Teniamo online solamente JPL e MPC. Comunque i risultati che otteniamo sono davvero molto simili a quelli degli americani. Adesso ti lascio, ci aggiorniamo appena possibile.»
«Strano che da Medicina non sia ancora arrivato nulla...» abbozzò a mezza voce Francesco, che neppure si era accorto della telefonata a Siding Spring.
«E' ancora presto» gli rispose Armando avvicinandosi al monitor per dare un'occhiata a quelle ripetute simulazioni. «Sai perfettamente che, dal momento della rilevazione dell'eco, ci vorranno almeno una ventina di minuti prima che da Medicina ci passino il primo pacchetto di dati.»
«Salve gente. Una gran brutta rogna, vero?» disse Alan entrando nell'ufficio.
«Ciao, Alan. Abbiamo visto giorni migliori.» rispose Armando dirigendosi subito verso la macchinetta del caffè. «Immagino che una bella tazza di caffè bollente non ti darebbe poi così fastidio...»
«Grazie. Vedo che Francesco sta lavorando sul codice. Durante il viaggio ho ripensato anch'io al nostro software per la simulazione dettagliata. L'estate scorsa ho avuto modo di analizzare quello del JPL e mi è venuto in mente qualcosa che potremmo copiare. Viste le circostanze, non credo che gli americani avranno qualcosa da obiettare. Non possiamo certo sperare di fare granché, ma forse riusciamo a ottimizzare un paio di routines per la gestione dei residui d'errore.»
«Salve, professore.» disse Francesco. «Nell'attesa dei dati radar stavo proprio provando a vedere se riuscivo a cavarci qualcosa, ma la situazione non migliora granché. Ecco quello che stavo facendo...»
I tre cominciarono a esaminare alcuni blocchi del programma. Decine di linee di codice scorrevano sul video. Diciture senza alcun senso per un profano, ma rigido e coerente percorso matematico per chi, come loro, quelle linee le conosceva come le proprie tasche. Era assolutamente impensabile mettere in campo modifiche radicali. Bisognava fare solo piccoli aggiustamenti, evitando di snaturare l'essenza del software e - soprattutto - tenendo l'occhio fisso sull'orologio.
Il segnale acustico del programma configurato per gestire il flusso di dati da Medicina interruppe quell'analisi. Stavano arrivando i primi dati radar. Non ci volle molto a darli in pasto al software.
L'effetto di quei dati sulla simulazione fu devastante. Quell'ellisse iniziale di 500 chilometri per 200 si era notevolmente ridotta e ora, nella mappa del computer, aveva preso l'aspetto di una curiosa cerchiatura attorno al nome di Roma. Accanto, in rosso, lampeggiava un orario: sette e cinquantatré, ora locale.
«Ce l'abbiamo addosso...» commentò con un fil di voce De Marini.
Armando si attaccò al telefono e compose il numero dell'ingegner Bertoldi. Occupato. Senza attendere un secondo di più, passò al secondo numero, quello che proprio Bertoldi gli aveva dettato un paio d'ore prima. Libero.
«Sono Bergamo, NEODyS di Pisa. La faccenda è ancora peggiore di quanto potessimo immaginare. Con i primi dati radar arrivati da Medicina l'ellisse di errore è centrata su Roma. Orario previsto per l'impatto le sette e cinquantatré. Non so dove siate e cosa possiate decidere di fare voi della Protezione Civile, ma se io fossi a Roma me ne andrei subito il più lontano possibile.»
«Salve, dottor Bergamo. Purtroppo per me, sono proprio a Roma. Mi trovo al Viminale. Siamo in riunione permanente con il Ministro dell'Interno e lo staff della Protezione Civile. E' davvero la peggiore notizia in assoluto che poteva darmi. Che margine d'errore abbiamo nella simulazione?»
«Sono Alan De Marini, ingegner Bertoldi. Ci siamo conosciuti anni fa a Torino. Purtroppo per voi, grazie alle rilevazioni radar, il margine d'errore è sceso considerevolmente. Crediamo che, con le due prossime serie di dati, la probabilità di errore si attesterà intorno allo 0,5% o anche meno. Non credo possiamo sperare di fare meglio di così. Concordo appieno con il suggerimento di Armando: dite a tutti quanti di abbandonare la città. Anche se davvero non so quanto questo esodo improvvisato potrà riuscire. Rimane poco più di un'ora e mezza di tempo...»
«Buon giorno, professor De Marini. Intanto vi segnalo che siete in vivavoce, in modo che tutti quanti qui al Viminale sono in grado di seguire questa conversazione. Lo scenario dell'evacuazione di Roma l'avevamo lasciato proprio come ultima disperata risorsa. Non tutti siamo d'accordo sulla sua fattibilità. Molti temono che possa trasformarsi in un inutile massacro anticipato. D'altra parte non possiamo neppure lasciare che quasi quattro milioni di persone (3) vadano incontro all'Apocalisse senza sapere nulla.»
«Tanto per cominciare si potrebbe impedire di raggiungere Roma a quelli che ancora non ci sono» propose Armando. «Se non si vuole diffondere il panico si può mettere in giro la voce di uno sciopero improvviso, oppure di qualche guasto sulle linee ferroviarie. Per le strade, almeno quelle a maggior traffico, si potrebbero predisporre dei posti di blocco. Gli agenti sarebbero costretti a sorbirsi un bel po' d'improperi, ma almeno l'afflusso in città sarebbe limitato. Per il flusso in uscita, effettivamente, qualche grossa perplessità ce l'ho anch'io. Ma questa è la vostra patata bollente. Io ne ho a sufficienza della mia. Scusate, ma stanno arrivando altri dati.
Appena abbiamo il quadro definitivo richiamiamo. A dopo.»
Mentre chiudeva bruscamente la conversazione, Armando si rese conto che proprio non possedeva la stoffa del politico, e l'occhiata di Alan gliene diede piena conferma. Ma c'era qualcosa di più importante da fare che preoccuparsi delle pubbliche relazioni.
Proprio come aveva previsto Alan, l'apporto dei dati radar forniti dalla collaborazione Medicina-Evpatoria si stava rivelando decisivo. Con la terza serie di dati giunse anche la valutazione considerata la più attendibile delle dimensioni di Metus. Per il proiettile che aveva messo Roma nel suo mirino si ipotizzava un diametro di circa 55 metri. Ne veniva infine confermata anche la composizione metallica. Quella palla di ferro poco più grande del Battistero di Campo dei Miracoli (4) si stava fiondando a quasi 20 chilometri al secondo contro la Città Eterna. E non si poteva fare proprio nulla per impedirlo.
Confronto tra Metus e il Battistero di Pisa dedicato a San Giovanni Battista (ricostruzione pittorica)
Diedero un'occhiata ai risultati del JPL. Non erano così netti come quelli che avevano ottenuto lì a Pisa dopo i piccoli aggiustamenti al software, ma comunque perfettamente in linea. Anche al JPL veniva indicato che l'impatto avrebbe interessato Roma o le immediate vicinanze alle sette e cinquantatré ora locale.
Questa volta della chiamata a Bertoldi se ne occupò direttamente Alan. Non ci volle molto per mettere al corrente delle ultime novità il Ministro dell'Interno e lo staff della Protezione Civile. Evitò accuratamente di lasciarsi andare a considerazioni e suggerimenti anche se, in chiusura, rimarcò che il team di Pisa sarebbe rimasto comunque ancora a disposizione nel caso servissero ulteriori delucidazioni.
A nessuno dei tre astronomi sfuggì il leggero tremolio nella voce dell'ingegner Bertoldi al momento del saluto. Per nascondere l'emozione, Francesco guardò l'orologio: mancavano un paio di minuti alle sette. Ancora un'ora e Roma sarebbe stata rasa al suolo.
«Io chiamo lo IAPS (5)» disse Francesco. «Ci ho lavorato per quasi un anno quando ero alle prese con il mio dottorato e ho conosciuto un bel po' di gente. Non so se a quest'ora troverò qualcuno, ma almeno ci provo. Se ne devono andare il più in fretta possibile. E chissenefrega se al Viminale la pensano diversamente.»
Note
(1) E', all'incirca, il peso di un oggetto sferico di 55 m di diametro ipotizzando una densità di 8000 kg/m3.
(2) Nel “Western Australian Mineral and Petroleum - Statistic Digest 2010”, pubblicato nel maggio 2011 dal Department of Mines and Petroleum, viene indicato che nel corso del 2010 la produzione mineraria di ferro è stata di 390.772.762 tonnellate, per la massima parte estratto nella regione di Pilbara.
(3) I dati ISTAT del 30/11/2011 indicano per Roma una popolazione di 2.783.300 residenti. Tenendo conto di quelli che per motivi di studio, lavoro o turismo si trovano quotidianamente nella Capitale, la popolazione sale a circa 3.950.000 abitanti.
(4) Il Battistero di Pisa, dedicato a San Giovanni Battista, è la più grande costruzione di questo tipo in Italia. Alto quasi 54 metri e con la circonferenza di base che misura poco più di 107 metri, venne iniziato nel 1152 sotto la supervisione dell'architetto e scultore Diotisalvi. I lavori proseguirono un secolo dopo sotto la direzione di Nicola Pisano e si giunse al completamento definitivo nel XIV secolo.
(5) IAPS (Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziali) è un istituto dell'INAF (Istituto Nazionale di Astrofisica) con sede a Tor Vergata. Nasce ufficialmente nel gennaio 2012 dall’accorpamento di due Istituti storici dell’Area romana: l’IASF (Istituto di Astrofisica Spaziale e Fisica Cosmica) e l’IFSI (Istituto di Fisica dello Spazio Interplanetario).
Palazzo del Viminale, Roma - ore 7:15
L'ultima telefonata da Pisa aveva avuto un effetto dirompente, rendendo ancor più inconciliabili la posizioni di chi voleva assolutamente diffondere l'allarme e quella di chi optava per l'assoluto silenzio. All'ingegner Bertoldi, seduto in un angolo, sembrava quasi non importasse nulla di quell'ultimo acceso dibattito. Stava armeggiando con il suo tablet e improvvisamente lanciò un'imprecazione. Non era affatto nel suo stile e questo fece sì che tutti si zittirono e si girarono verso di lui.
«Mentre noi discutiamo la notizia è già nel web. C'è un sito di news americano che, citando sia fonti riservate vicine alla NASA che rumors trapelati direttamente da uffici delle Nazioni Unite, annuncia l'imminente impatto di un grosso meteorite sull'Italia centrale. E il tam-tam di Internet sta ormai diffondendo a tappeto la notizia. A questo punto credo sia da imbecilli starsene zitti.»
Benché il termine “imbecilli” fosse un po' fuori dal protocollo, nessuno ebbe da ridire.
Non fu certo l'ultima affermazione di Bertoldi a spingerlo a prendere la parola, fatto sta che, proprio qualche istante dopo, il Ministro dell'Interno richiamò l'attenzione dei presenti. Fino a quel momento se n'era stato col volto sempre più teso e preoccupato ad ascoltare le dettagliate analisi tecniche, gli scenari delle conseguenze e le ipotesi sui possibili interventi. Soltanto dopo la prima telefonata di Bergamo aveva detto qualcosa al suo segretario, che aveva abbandonato la sala in tutta fretta. Era rientrato solo dopo una ventina di minuti e si era messo a bisbigliare qualcosa all'orecchio del suo capo. Doveva sicuramente trattarsi di qualcosa di piuttosto importante e spinoso, visto l'ampio gesticolare con il quale accompagnava quel resoconto.
«Signori, mezz'ora fa ho provveduto a informare della drammatica situazione il Capo dello Stato e il Presidente del Consiglio, invitandoli in modo fermo e deciso ad abbandonare immediatamente la città. La loro presenza qui è assolutamente inutile e il poter contare nell'immediato futuro sulla loro figura istituzionale è assolutamente indispensabile.»
Tutti quanti annuirono e quasi nessuno fece caso a quell'inconsueta ripetizione dell'avverbio, un errore lessicale che, in tempi normali, mai e poi mai sarebbe sfuggito al Ministro.
«Ho anche provveduto a estendere l'allarme, con l'esplicita e insistente indicazione di abbandonare il più celermente possibile la città, alla Santa Sede e a tutte le sedi diplomatiche della Capitale. Da quanto mi ha riferito il mio segretario, sia all'ufficio del Presidente della Repubblica che a quello del Presidente del Consiglio, proprio pochi minuti prima della nostra chiamata, è giunta una comunicazione di allarme rosso del COPUOS classificata della massima urgenza. Allarme confermato anche dall'Ambasciatore degli Stati Uniti, che riporta come da Washington sia giunto con priorità assoluta l'ordine di evacuazione dell'ambasciata e di abbandono immediato della città. Analoghe direttive dovrebbero essere state inoltrate anche a tutte le sedi diplomatiche qui a Roma. Dai primi rapporti delle forze di sicurezza, infatti, mi risulta che numerose ambasciate siano ormai praticamente vuote. Dal Vaticano riferiscono che il Santo Padre è in volo con destinazione Orvieto e sono già iniziate le procedure per trasferire fuori Roma il personale religioso e i civili che è stato possibile contattare. Particolarmente colpito dalle parole del dottor Bergamo, mi sono permesso di far contattare anche la Direzione centrale delle Ferrovie dello Stato. Abbiamo accuratamente evitato di scendere nei dettagli...» il segretario del Ministro annuì in modo quasi plateale «...e ci è stato assicurato che tutti i treni a lunga percorrenza con direzione Roma verranno fermati alla prima stazione utile. Più difficoltosa la gestione dei treni locali. Oserei dire drammatica quella dei trasporti su strada. Impossibile provvedere in tempi tanto brevi - e senza nessuna precedente esercitazione - all'istituzione di un così elevato numero di posti di blocco come suggeriva il dottor Bergamo...»
La porta si spalancò di colpo e, trattenuto a stento da un commesso, irruppe nella sala il Comandante generale della Polizia Municipale visibilmente alterato:
«Ma che cazzo sta succedendo? In città sembrano tutti impazziti. Mai viste tante auto di servizio con sirene e lampeggianti. In alcuni punti della città, poi, il traffico è completamente bloccato. Ho sentito i miei più stretti collaboratori e nessuno ne sa nulla. L'unica voce che si sente in giro - che non si capisce da dove venga ma viene spacciata per certa - è che tutto questo casino è gestito direttamente del Ministro dell'Interno. Ma cosa state combinando?»
Sono tutti in coda. Fermi. Migliaia di minuscole formiche che si stanno invano affannando per cercare di abbandonare il formicaio...
L'ingegner Bertoldi, il più vicino al nuovo arrivato, si limitò a porgergli il tablet senza dire nulla. Il comandante sbiancò in volto e si lasciò cadere sulla sedia che aveva accanto mormorando a mezza voce: «Porc... Ma questo significa che tra neppure venti minuti qui andrà tutto per aria.»
«Vedo che ha perfettamente capito la gravità della situazione.» si limitò a dire Bertoldi.
La musichetta del cellulare, un motivetto allegro che mal s'intonava con quel drammatico momento, richiamò l'attenzione del Comandante. Attivò la comunicazione, ma quasi subito - aveva ascoltato il suo interlocutore per neppure un minuto - la interruppe senza dire una parola.
«Era un mio collaboratore. Sta sorvolando in elicottero il tratto ovest del raccordo anulare. Segnala che si sono verificati numerosi tamponamenti e almeno un paio di grossi incidenti. Mi ha anche accennato a un salto di corsia che ha coinvolto una ventina di veicoli. Per farla breve, tutto il traffico è praticamente bloccato. Voleva sapere cosa fare...» Il telefono riprese a squillare, ma il Comandante non sembrava affatto intenzionato a rispondere.
L'ingegner Bertoldi glielo prese delicatamente dalla mano e avviò la conversazione:
«Pronto. Sono Bertoldi, della Protezione Civile. Al momento il Comandante non può rispondere. Mi dica...» Anche quella chiamata non si protrasse per molto.
Con molta calma, dopo aver ascoltato, l'ingegnere chiuse la conversazione dicendo:
«Mi ascolti attentamente. Contatti subito tutti gli altri elicotteri in servizio e dirigetevi il più in fretta possibile lontano da Roma. Appena scorgete una zona idonea - sinceratevi di essere almeno a una ventina di chilometri dal raccordo anulare - atterrate immediatamente. Ad ogni modo è indispensabile che alle sette e cinquantatré non siate assolutamente in volo. Ripeto, alle sette e cinquantatré dovete essere a terra. Adesso non posso spiegarle. Buona fortuna.»
Chiuse il telefono, lo rimise in mano al Comandante e si rivolse al Ministro. «Era ancora l'elicottero della Polizia Municipale. Mi hanno detto che la situazione del traffico è identica anche in altri tratti del raccordo anulare. Sono tutti in coda. Fermi. Migliaia di minuscole formiche che si stanno invano affannando per cercare di abbandonare il formicaio.»
Guardò l'orologio: erano le sette e quarantotto. Senza dire nulla andò alla grande finestra della sala, scostò le pesanti tende che l'arricchivano e spalancò i battenti.
Era una splendida mattinata romana, una di quelle mattine che lo rappacificavano con il mondo e che, per un momento, gli facevano persino dimenticare la sua terra d'origine. Una terra decisamente più nebbiosa e - a dirla tutta - ancora troppo provinciale, ma pur sempre casa sua. Il sole era ormai sopra l'orizzonte e Bertoldi respirò a pieni polmoni quell'aria frizzante di primavera, incurante dell'assordante rumore del traffico impazzito di Roma. Finalmente poteva godersi quel panorama. Era la prima volta che, al Viminale, aveva occasione di affacciarsi a una finestra. Le altre volte che era stato invitato a quelle noiose riunioni - troppe inutili parole per i suoi gusti - si era sempre domandato quale panorama potessero celare quegli austeri tendaggi. Proprio per non apparire troppo provinciale si era sempre guardato bene dall'accostarvisi e sbirciare. Ora si stava prendendo una rivincita.
Un improvviso e intenso bagliore che, ben più luminoso del Sole, stava inondando di luce tutto il cielo lo costrinse a chiudere gli occhi. Neppure si accorse che era giunta la fine.
Roma - ore 7:53
Il primo contatto (1) di Metus con l'atmosfera - l'avrebbero stabilito nei giorni seguenti le analisi dei dati raccolti da numerosi satelliti - avvenne una trentina di secondi prima delle sette e cinquantatré. Man mano che si avvicinava al suolo, sperimentava l'azione frenante sempre più efficace dell'aria che si faceva più densa. A 17 chilometri di quota il piccolo asteroide cominciò a frantumarsi. Una parte dei frammenti venne asportata dall'intenso calore, ma l'atmosfera proprio non poteva, come aveva fatto innumerevoli altre volte, fermare e rendere del tutto innocuo quell'intruso cosmico. Se fosse stato più lontano dalla luce del Sole si sarebbe potuta seguire la rapida cavalcata nel cielo e il repentino aumento di luminosità di quel bolide davvero spettacolare. Il bagliore di Metus, invece, divenne visibile solo all'ultimo istante e quello spaventoso guizzo di luce sovrastò la stessa luce del Sole.
La sua traiettoria condusse il piccolo asteroide metallico - o meglio, quel fitto sciame di frammenti di varie dimensioni in cui era stato ridotto - verso i giardini di Villa Borghese, il luogo stabilito dal Fato per il suo tragico appuntamento con Roma. Quando Metus toccò il suolo, a quel già terrificante bagliore ne fece seguito un altro di gran lunga più intenso. Secondo le ricostruzioni degli astronomi e dei fisici presentate già nelle settimane successive all'impatto, l'energia liberata quel mattino a Villa Borghese era stata di 20 Megaton: venti milioni di tonnellate di tritolo che detonavano tutte quante in un solo istante. Oltre 1300 ordigni come quello, tragico, di Hiroshima, esplodendo all'unisono, davano il via all'apocalittico scempio della Città Eterna.
Un fiore di luce sbocciò nel cuore di Roma. All'inizio (2) fu una bolla di plasma, talmente calda da riuscire a contenere al suo interno tutta quella smisurata energia (3). Man mano che la bolla diventava più grande, gonfiandosi alla velocità della luce, la sua temperatura diminuiva sempre di più. Raggiunti i 2000 gradi, proprio non fu più in grado di tenere imbrigliata la radiazione e questa, con prepotenza, irruppe all'esterno. Fu come se, in un unico istante, si fossero accesi altri 1500 Soli. Quell'immensa fiumana di luce e calore non avvolse solo Villa Borghese: un gigantesco globo di fuoco ingoiò l'intera città.
Il bagliore di Metus divenne visibile solo all'ultimo istante e quello spaventoso guizzo di luce sovrastò la stessa luce del Sole (ricostruzione pittorica)
La tremenda vampata di calore carbonizzò tutto quanto incontrò in quella sua velocissima cavalcata. In un istante, coloro che non avevano neppure potuto provare a fuggire - bloccati dal traffico o ignari di quanto stava per succedere - vennero trasformati in agghiaccianti torce umane. Il calore fece esplodere i serbatoi delle automobili e le abitazioni furono avvolte dalle fiamme. A cinque chilometri dal punto d'impatto il calore era ancora sufficiente a incendiare i vestiti e a infliggere alle persone orribili ustioni di terzo grado. Non andò meglio a tutti quelli che, sul grande raccordo anulare, aspettavano invano che il traffico si sbloccasse e consentisse l'agognata fuga. Si trovavano a dieci chilometri dai Giardini di Villa Borghese, ma quell'immensa fornace devastò almeno la metà di loro con ustioni di terzo grado e l'altra metà con ustioni di primo e secondo grado. Quelli che ancora erano a bordo delle automobili furono avvolti dalle fiamme e solo pochi riuscirono a uscirne, subito investiti dalla fitta pioggia di frammenti di vetro dei finestrini e assordati dai violenti boati dei serbatoi che esplodevano per l'intenso calore.
Era solo il principio. Alle spalle della bolla di radiazione termica, meno veloce ma non meno devastante, si stava espandendo una terrificante onda d'urto. Un effetto positivo quell'immane soffio lo recò, spegnendo quasi tutti i roghi accesi dall'ardente muro di fuoco che l'aveva preceduto. Ma i benefici si fermarono lì.
Quella spallata invisibile colpiva, abbatteva e scagliava in aria qualsiasi cosa le si parasse lungo il cammino. Le case e i palazzi furono ridotti in macerie, miseri castelli di sabbia calpestati da un bambino dispettoso. Automobili, motociclette e arredi urbani, sollevati come fuscelli, furono scagliati con inaudita violenza contro gli edifici, contribuendo anch'essi allo scempio. Non andò meglio alle persone e agli animali, trasformati in orrendi e devastanti proiettili. L'onda d'urto raggiunse il Quirinale quattro secondi dopo l'impatto: benché fossimo a più di un chilometro e mezzo da ground zero il vento d'impatto soffiava a 4500 chilometri orari.
Ogni edificio in un raggio di sette chilometri (4) da Villa Borghese venne raso al suolo. Restarono in piedi solamente i brandelli di quelli più robusti, oppure di quei pochi miracolosamente graziati da quella terrificante spallata. Della maestosa Cupola di San Pietro, armoniosa e meravigliosa testimonianza dell'abilità di geniali architetti, non rimase nulla. Grazie alla sua possente struttura, qualche brandello della basilica riuscì a resistere, ma nessuna delle statue e delle opere d'arte che l'abbellivano si salvò. Neppure una delle colonne genialmente progettate dal Bernini resse a quel mostruoso spintone e identica sorte toccò ai palazzi occupati dai Musei Vaticani. Millenni d'arte e cultura vennero irrimediabilmente spazzati via. Non sarebbe stato mai più possibile lasciarsi sedurre dagli affreschi della Cappella Sistina e nessuno avrebbe mai più potuto emozionarsi dinanzi alle splendide opere del Beato Angelico e di Raffaello. Si salvò solamente quanto era stipato nei magazzini sotterranei, la cui struttura fortunatamente tenne duro. Troppo lungo e doloroso elencare opere d'arte e monumenti irrimediabilmente perduti. L'immenso patrimonio storico e artistico di Roma, un patrimonio unico, irripetibile e invidiato da tutto il mondo, venne quasi completamente spazzato via. Volatilizzato, senza la benché minima speranza di recupero.
Anche al di là dei sette chilometri dal punto d'impatto l'onda d'urto non cessò di lasciare il segno del suo potente passaggio. Non riusciva più ad atterrare tutte le case e i palazzi, ma ne sventrava gli interni e ne minava la struttura. Furono davvero molti gli edifici che, apparentemente sfuggiti all'onda d'urto, crollarono rovinosamente nei giorni seguenti. Al raccordo anulare l'onda d'urto arrivò trenta secondi dopo l'iniziale vampata di luce e calore che aveva orrendamente mutilato gran parte degli automobilisti che intasavano la strada. Da quelle parti la sua velocità era notevolmente ridotta, ma filava comunque ancora a più di 300 chilometri orari (5) trascinando con sé un nugolo di frammenti di case, di alberi e persino piccoli animali. Barcollando per le atroci ustioni, qualcuno degli automobilisti stava cercando scampo e refrigerio allontanandosi da quegli ammassi di lamiere incandescenti. La maggior parte di quel popolo di mancati fuggitivi, riversi sul terreno, non aveva neppure la forza di lamentarsi. Per i più fortunati quell'onda di pressione segnò la fine delle sofferenze, ma per tutti gli altri non fece che aggiungere dolore a dolore e poco importa conoscere se la morte li colse di lì a poche ore o il giorno seguente.
Quella bolla d'aria, però, non poteva gonfiarsi all'infinito. Sospingendo l'aria verso l'esterno, infatti, l'onda d'urto aveva inevitabilmente creato una forte depressione che, non appena le fu possibile, l'atmosfera si fiondò prontamente a colmare. Il risultato fu una seconda onda di pressione che si precipitò, viaggiando in direzione contraria alla prima, verso il punto dell'impatto. Quei pochi muri che erano riusciti a resistere alla prima spallata dovettero definitivamente capitolare.
Nel frattempo i giardini di Villa Borghese venivano sconvolti da un ulteriore terribile scempio. In pochi istanti un'invisibile, gigantesca e potentissima mano aveva scavato un'immane voragine. Quando quegli apocalittici sconvolgimenti finalmente si placarono, dei prati verdeggianti, del lago, delle fontane, dei monumenti, dei boschetti di alberi, delle graziose stradine e di tutte le costruzioni che arricchivano quel polmone di verde non v'era più traccia. Al loro posto una terrificante gigantesca buca, larga quasi due chilometri e profonda quasi 400 metri sul cui fondo si stava accumulando una fanghiglia melmosa e maleodorante, alimentata dalle fognature e dall'acqua che trasudava dalle ripide pareti dalle quali, ogni tanto, si staccavano frane che rovinavano verso il fondo.
Una densa e cupa cappa marrone, formata dal terriccio scagliato tutt'intorno da quell'incredibile esplosione d'energia, avvolse la zona, estendendosi ben presto, sotto la spinta prepotente dell'onda d'urto, a tutta quanta la città. Quella tempesta di polvere turbinante sovrastò quel che restava di Roma e per ore ridusse praticamente a zero la visibilità. Un pietoso velo che, pudicamente, tentò per qualche tempo di nascondere la devastante distruzione scatenata da Metus. La deliziosa giornata primaverile di pochi istanti prima era stata brutalmente soppiantata da una notte scura, soffocante e intrisa d'orrore e di morte.
Subito, da quella cupola densa incominciò a innalzarsi verso il cielo un imponente pilastro di polvere. Quando, una decina di minuti più tardi, la spinta verso l'alto cessò, le polveri e il vapore risucchiato dall'atmosfera iniziarono ad allargarsi tracciando il profilo di un gigantesco fungo (6) visibile fino a centinaia di chilometri di distanza. Fino al punto in cui, pietosamente, la curva dell'orizzonte non nascose quel malefico simbolo di distruzione. Nei giorni seguenti, le polveri diffuse in atmosfera regalarono drammatici tramonti rossastri e albe dalle tinte più strane agli attoniti abitanti di ogni parte del mondo. Già nelle ore immediatamente seguenti all'impatto, invece, sull'Italia centrale cominciò a cadere una sottile pioggia polverosa e per giorni la zona del Mediterraneo fu off-limits per il traffico aereo.
Ben più rapido di quel muro di polvere e della spallata dell'onda d'urto, si propagò tutt'intorno un violento terremoto (7). Un impressionante scossone che, allontanandosi da Villa Borghese, lavorò efficacemente ai fianchi case e palazzi spianando la strada alla definitiva e devastante spallata dell'onda d'urto. Entrambi gli aeroporti di Roma subirono danni alle infrastrutture. Danni lievi, ma comunque sufficienti a renderle di fatto inagibili. A completare l'opera, mandando in frantumi tutte quante le finestre, ci avrebbe pensato l'onda d'urto poco più di un minuto più tardi.
All'interno della città il placido corso del Tevere dovette fare i conti con improvvisi e talvolta insormontabili ostacoli. Ponti crollati, muraglioni di contenimento degli argini rovesciati nell'alveo e ingombranti macerie provenienti da edifici distrutti non permisero più il regolare fluire della corrente. In molti punti l'acqua esondò, trasformando quella pianura di macerie in un paludoso e putrido acquitrino.
Solamente nel primo pomeriggio, sfidando con coraggio la polvere che ancora ristagnava su quella distesa di morte e di distruzione, i primi elicotteri riuscirono a offrire al mondo le terribili immagini di quell'enorme spianata di macerie irta di spezzoni di muri, moncherini ancora fumanti che si protendevano rattrappiti verso il cielo polveroso. Un angosciante tappeto di devastazione e di morte, con inaudita prepotenza, aveva preso il posto di quella che fino a poche ore prima era una viva e stupenda città. Assolutamente impossibile tentare di intraprendere una benché minima azione di soccorso. Solamente alcuni giorni dopo l'impatto i primi mezzi dell'esercito poterono a fatica raggiungere ciò che rimaneva della Città Eterna. In quell'agghiacciante scenario di morte e distruzione le strade non esistevano più, devastate o completamente seppellite dalle macerie e quel terreno sconnesso risultava quasi impraticabile persino per i più potenti mezzi cingolati.
Nelle ore immediatamente seguenti all'impatto, gli ospedali delle città a ridosso di Roma, colpite solo parzialmente dalle scosse sismiche e risparmiate dall'onda di calore e di pressione, furono sommersi dalla fiumana di feriti trasportati lì con ogni mezzo. Le strutture, purtroppo, non furono in grado di reggere e per un gran numero di quei feriti non ci fu neppure la possibilità di un consulto medico. A quel tragico collasso sanitario, però, non contribuì tanto l'esagerato afflusso o gli inevitabili problemi logistici e organizzativi, quanto piuttosto l'improvviso black-out che colpì tutta quanta l'Italia. Per qualche ora i gruppi elettrogeni riuscirono a reggere quell'emergenza, ma ben presto cominciarono ad affacciarsi i problemi. Ci volle qualche giorno di incessante lavoro prima che i tecnici riuscissero a isolare la zona devastata e ristabilire la corretta fornitura di elettricità all'intero Paese. Incredibilmente devastanti le conseguenze sia per i collegamenti ferroviari che per quelli stradali: l'Italia era praticamente spezzata in due e il collegamento tra Nord e Sud doveva ora - e chissà per quanto tempo - fare affidamento solamente sulla dorsale adriatica.
Drammatico il conteggio delle vittime, un bilancio che raggiunse stime attendibili solamente nelle settimane seguenti all'impatto, quando si riuscì - con indicibile orrore - a comprendere appieno la sconvolgente potenza di ciò che era accaduto. Per una valutazione sommaria si provò a suddividere l'area devastata nell'impatto in cerchi concentrici via via più ampi. Lo scenario che si delineò fu apocalittico. Entro gli otto chilometri dal punto d'impatto nessuno era riuscito a sopravvivere, tutti quanti uccisi sul colpo o morti nelle ore immediatamente seguenti nella vana attesa di soccorsi. Tra gli otto e i dodici chilometri, la metà delle persone era deceduta all'istante e il 40% aveva subito ferite più o meno gravi. Anche per molti di questi feriti, purtroppo, l'impossibilità di soccorsi immediati decretò l'ineluttabile fine. Della popolazione che si trovava tra i dodici e i venti chilometri da Villa Borghese solamente il 5% morì all'istante; il 45% venne ferito e la restante metà degli abitanti riuscì a sopravvivere. Oltre i venti chilometri i decessi furono molto rari, anche perché i feriti (circa un quarto della popolazione) furono i primi a poter ricevere adeguato soccorso (8).
Scorrendo i rapporti ufficiali, stilati nelle settimane seguenti, fu quasi impossibile trattenere le lacrime dinanzi a un numero così terribile e straziante: 3.258.000 vittime. Non meno straziante del numero in sé fu quell'assurdo arrotondamento alle migliaia, segno evidente dell'impossibilità a determinare in modo esatto il vero valore. Atroce e beffarda condanna a una morte dimenticata per chissà quanti sventurati abitanti di Roma.
Incalcolabili i danni materiali e quelli - non meno tragici e devastanti - al patrimonio artistico e culturale dell'intera Umanità. Una ferita talmente cruda e profonda che mai si potrà rimarginare. Quel piccolo e quasi insignificante oggetto celeste, materializzatosi all'improvviso in un mattino di primavera dalle profondità dello spazio, aveva cancellato per sempre la Città Eterna.
Della grandezza di Roma, un tempo indiscussa dominatrice del mondo, non v'era più traccia. Solo un vivo e struggente ricordo destinato a svanire, nel tempo, col lento ingiallire delle pagine dei libri di storia.
Note
(1) Nella descrizione dello scenario ho cercato di rispettare il più fedelmente possibile i risultati emersi dalla simulazione effettuata ricorrendo a Earth Impact Effect Program, il software web-based creato da Robert Marcus, H. Jay Melosh e Gareth Collins. In Appendice sono riportati i dati di input utilizzati e i principali valori di output ottenuti.
(2) Non lasciamoci fuorviare dal fatto che, nella descrizione della formazione del globo di fuoco, si evidenzia il succedersi di alcune fasi. In realtà il processo è assolutamente istantaneo. Per la descrizione, insomma, è come se avessimo potuto disporre di una fantascientifica moviola dotata di un effetto rallenty ultra efficace.
(3) Studi accurati della dinamica dell'impatto indicano per la bolla di plasma iniziale una temperatura di oltre 10 mila gradi e una pressione di oltre 100 GPa (corrispondenti, in pratica, alla pressione che verrebbe esercitata da una colonna d'acqua alta oltre 10 mila chilometri).
(4) Secondo gli studi effettuati dalla Difesa americana sugli effetti di un ordigno nucleare da 1 Mton, un picco di pressione di 12 psi (pound per square inch), corrispondenti a circa 82 kPa, è il limite al di sotto del quale può rimanere in piedi qualche struttura. Nella zona più interna, caratterizzata da un picco di pressione maggiore, tutto (o quasi tutto) viene raso al suolo.
(5) La simulazione dell'impatto di Metus indica che a 10 km dal punto d'impatto il picco di pressione è di 6,44 psi (corrispondenti a 45,3 kPa). Secondo i dati contenuti in uno studio NATO, una sovrappressione di oltre 70 kPa provoca danni polmonari e a partire da 22 kPa si può verificare la rottura del timpano. Lo stesso studio sottolinea la devastante potenza distruttiva dei piccoli oggetti scagliati a elevata velocità. Un oggetto di 4,5 kg a una velocità di poco più di 16 km/h è in grado di frantumare il cranio.
(6) Dagli esperimenti nucleari con ordini appartenenti alla cosiddetta “Megaton class” si è potuto appurare che nella fase finale la nube può essere larga 100 chilometri e alta 40.
(7) La simulazione segnala l'innesco di un sisma di magnitudo 5.4 della scala Richter. Una scossa registrabile dai sismografi di tutto il mondo, ma percepita anche dalle persone fino a una distanza di quasi 500 chilometri dal punto d'impatto.
(8) Nella stima del numero di decessi (% della popolazione) riconducibili a un'esplosione nucleare, i manuali preparati dalla NATO e dal Ministero della Difesa statunitense sono concordi nell'indicare che se il picco di pressione supera i 12 psi i morti sono il 98% e i feriti il restante 2%. Con pressione compresa tra 5 e 12 psi i morti sono il 50%, i feriti il 40% e il 10% non subiscono danni. Tra i 2 e i 5 psi i morti sono il 5%, i feriti il 45% e il restante 50% non subisce danni. Infine, tra 1 e 2 psi di picco di pressione il 25% della popolazione è ferito e il restante 75% è salvo. Gran parte dei decessi deriva dal crollo degli edifici e dal fatto che per l'onda d'urto le persone vengono scagliate contro gli edifici oppure piccoli oggetti vengono scagliati contro le persone. E' comunque assolutamente impossibile effettuare un calcolo esatto.