7- Finis est Romae

Roma - ore 7:53

Il primo contatto (1) di Metus con l'atmosfera - l'avrebbero stabilito nei giorni seguenti le analisi dei dati raccolti da numerosi satelliti - avvenne una trentina di secondi prima delle sette e cinquantatré. Man mano che si avvicinava al suolo, sperimentava l'azione frenante sempre più efficace dell'aria che si faceva più densa. A 17 chilometri di quota il piccolo asteroide cominciò a frantumarsi. Una parte dei frammenti venne asportata dall'intenso calore, ma l'atmosfera proprio non poteva, come aveva fatto innumerevoli altre volte, fermare e rendere del tutto innocuo quell'intruso cosmico. Se fosse stato più lontano dalla luce del Sole si sarebbe potuta seguire la rapida cavalcata nel cielo e il repentino aumento di luminosità di quel bolide davvero spettacolare. Il bagliore di Metus, invece, divenne visibile solo all'ultimo istante e quello spaventoso guizzo di luce sovrastò la stessa luce del Sole.
La sua traiettoria condusse il piccolo asteroide metallico - o meglio, quel fitto sciame di frammenti di varie dimensioni in cui era stato ridotto - verso i giardini di Villa Borghese, il luogo stabilito dal Fato per il suo tragico appuntamento con Roma. Quando Metus toccò il suolo, a quel già terrificante bagliore ne fece seguito un altro di gran lunga più intenso. Secondo le ricostruzioni degli astronomi e dei fisici presentate già nelle settimane successive all'impatto, l'energia liberata quel mattino a Villa Borghese era stata di 20 Megaton: venti milioni di tonnellate di tritolo che detonavano tutte quante in un solo istante. Oltre 1300 ordigni come quello, tragico, di Hiroshima, esplodendo all'unisono, davano il via all'apocalittico scempio della Città Eterna.
Un fiore di luce sbocciò nel cuore di Roma. All'inizio (2) fu una bolla di plasma, talmente calda da riuscire a contenere al suo interno tutta quella smisurata energia (3). Man mano che la bolla diventava più grande, gonfiandosi alla velocità della luce, la sua temperatura diminuiva sempre di più. Raggiunti i 2000 gradi, proprio non fu più in grado di tenere imbrigliata la radiazione e questa, con prepotenza, irruppe all'esterno. Fu come se, in un unico istante, si fossero accesi altri 1500 Soli. Quell'immensa fiumana di luce e calore non avvolse solo Villa Borghese: un gigantesco globo di fuoco ingoiò l'intera città.


Il bagliore di Metus divenne visibile solo all'ultimo istante e quello spaventoso guizzo di luce sovrastò la stessa luce del Sole (ricostruzione pittorica)

La tremenda vampata di calore carbonizzò tutto quanto incontrò in quella sua velocissima cavalcata. In un istante, coloro che non avevano neppure potuto provare a fuggire - bloccati dal traffico o ignari di quanto stava per succedere - vennero trasformati in agghiaccianti torce umane. Il calore fece esplodere i serbatoi delle automobili e le abitazioni furono avvolte dalle fiamme. A cinque chilometri dal punto d'impatto il calore era ancora sufficiente a incendiare i vestiti e a infliggere alle persone orribili ustioni di terzo grado. Non andò meglio a tutti quelli che, sul grande raccordo anulare, aspettavano invano che il traffico si sbloccasse e consentisse l'agognata fuga. Si trovavano a dieci chilometri dai Giardini di Villa Borghese, ma quell'immensa fornace devastò almeno la metà di loro con ustioni di terzo grado e l'altra metà con ustioni di primo e secondo grado. Quelli che ancora erano a bordo delle automobili furono avvolti dalle fiamme e solo pochi riuscirono a uscirne, subito investiti dalla fitta pioggia di frammenti di vetro dei finestrini e assordati dai violenti boati dei serbatoi che esplodevano per l'intenso calore.
Era solo il principio. Alle spalle della bolla di radiazione termica, meno veloce ma non meno devastante, si stava espandendo una terrificante onda d'urto. Un effetto positivo quell'immane soffio lo recò, spegnendo quasi tutti i roghi accesi dall'ardente muro di fuoco che l'aveva preceduto. Ma i benefici si fermarono lì.
Quella spallata invisibile colpiva, abbatteva e scagliava in aria qualsiasi cosa le si parasse lungo il cammino. Le case e i palazzi furono ridotti in macerie, miseri castelli di sabbia calpestati da un bambino dispettoso. Automobili, motociclette e arredi urbani, sollevati come fuscelli, furono scagliati con inaudita violenza contro gli edifici, contribuendo anch'essi allo scempio. Non andò meglio alle persone e agli animali, trasformati in orrendi e devastanti proiettili. L'onda d'urto raggiunse il Quirinale quattro secondi dopo l'impatto: benché fossimo a più di un chilometro e mezzo da ground zero il vento d'impatto soffiava a 4500 chilometri orari. Ogni edificio in un raggio di sette chilometri (4) da Villa Borghese venne raso al suolo. Restarono in piedi solamente i brandelli di quelli più robusti, oppure di quei pochi miracolosamente graziati da quella terrificante spallata. Della maestosa Cupola di San Pietro, armoniosa e meravigliosa testimonianza dell'abilità di geniali architetti, non rimase nulla. Grazie alla sua possente struttura, qualche brandello della basilica riuscì a resistere, ma nessuna delle statue e delle opere d'arte che l'abbellivano si salvò. Neppure una delle colonne genialmente progettate dal Bernini resse a quel mostruoso spintone e identica sorte toccò ai palazzi occupati dai Musei Vaticani. Millenni d'arte e cultura vennero irrimediabilmente spazzati via. Non sarebbe stato mai più possibile lasciarsi sedurre dagli affreschi della Cappella Sistina e nessuno avrebbe mai più potuto emozionarsi dinanzi alle splendide opere del Beato Angelico e di Raffaello. Si salvò solamente quanto era stipato nei magazzini sotterranei, la cui struttura fortunatamente tenne duro. Troppo lungo e doloroso elencare opere d'arte e monumenti irrimediabilmente perduti. L'immenso patrimonio storico e artistico di Roma, un patrimonio unico, irripetibile e invidiato da tutto il mondo, venne quasi completamente spazzato via. Volatilizzato, senza la benché minima speranza di recupero.
Anche al di là dei sette chilometri dal punto d'impatto l'onda d'urto non cessò di lasciare il segno del suo potente passaggio. Non riusciva più ad atterrare tutte le case e i palazzi, ma ne sventrava gli interni e ne minava la struttura. Furono davvero molti gli edifici che, apparentemente sfuggiti all'onda d'urto, crollarono rovinosamente nei giorni seguenti. Al raccordo anulare l'onda d'urto arrivò trenta secondi dopo l'iniziale vampata di luce e calore che aveva orrendamente mutilato gran parte degli automobilisti che intasavano la strada. Da quelle parti la sua velocità era notevolmente ridotta, ma filava comunque ancora a più di 300 chilometri orari (5) trascinando con sé un nugolo di frammenti di case, di alberi e persino piccoli animali. Barcollando per le atroci ustioni, qualcuno degli automobilisti stava cercando scampo e refrigerio allontanandosi da quegli ammassi di lamiere incandescenti. La maggior parte di quel popolo di mancati fuggitivi, riversi sul terreno, non aveva neppure la forza di lamentarsi. Per i più fortunati quell'onda di pressione segnò la fine delle sofferenze, ma per tutti gli altri non fece che aggiungere dolore a dolore e poco importa conoscere se la morte li colse di lì a poche ore o il giorno seguente.
Quella bolla d'aria, però, non poteva gonfiarsi all'infinito. Sospingendo l'aria verso l'esterno, infatti, l'onda d'urto aveva inevitabilmente creato una forte depressione che, non appena le fu possibile, l'atmosfera si fiondò prontamente a colmare. Il risultato fu una seconda onda di pressione che si precipitò, viaggiando in direzione contraria alla prima, verso il punto dell'impatto. Quei pochi muri che erano riusciti a resistere alla prima spallata dovettero definitivamente capitolare.
Nel frattempo i giardini di Villa Borghese venivano sconvolti da un ulteriore terribile scempio. In pochi istanti un'invisibile, gigantesca e potentissima mano aveva scavato un'immane voragine. Quando quegli apocalittici sconvolgimenti finalmente si placarono, dei prati verdeggianti, del lago, delle fontane, dei monumenti, dei boschetti di alberi, delle graziose stradine e di tutte le costruzioni che arricchivano quel polmone di verde non v'era più traccia. Al loro posto una terrificante gigantesca buca, larga quasi due chilometri e profonda quasi 400 metri sul cui fondo si stava accumulando una fanghiglia melmosa e maleodorante, alimentata dalle fognature e dall'acqua che trasudava dalle ripide pareti dalle quali, ogni tanto, si staccavano frane che rovinavano verso il fondo.
Una densa e cupa cappa marrone, formata dal terriccio scagliato tutt'intorno da quell'incredibile esplosione d'energia, avvolse la zona, estendendosi ben presto, sotto la spinta prepotente dell'onda d'urto, a tutta quanta la città. Quella tempesta di polvere turbinante sovrastò quel che restava di Roma e per ore ridusse praticamente a zero la visibilità. Un pietoso velo che, pudicamente, tentò per qualche tempo di nascondere la devastante distruzione scatenata da Metus. La deliziosa giornata primaverile di pochi istanti prima era stata brutalmente soppiantata da una notte scura, soffocante e intrisa d'orrore e di morte.
Subito, da quella cupola densa incominciò a innalzarsi verso il cielo un imponente pilastro di polvere. Quando, una decina di minuti più tardi, la spinta verso l'alto cessò, le polveri e il vapore risucchiato dall'atmosfera iniziarono ad allargarsi tracciando il profilo di un gigantesco fungo (6) visibile fino a centinaia di chilometri di distanza. Fino al punto in cui, pietosamente, la curva dell'orizzonte non nascose quel malefico simbolo di distruzione. Nei giorni seguenti, le polveri diffuse in atmosfera regalarono drammatici tramonti rossastri e albe dalle tinte più strane agli attoniti abitanti di ogni parte del mondo. Già nelle ore immediatamente seguenti all'impatto, invece, sull'Italia centrale cominciò a cadere una sottile pioggia polverosa e per giorni la zona del Mediterraneo fu off-limits per il traffico aereo.
Ben più rapido di quel muro di polvere e della spallata dell'onda d'urto, si propagò tutt'intorno un violento terremoto (7). Un impressionante scossone che, allontanandosi da Villa Borghese, lavorò efficacemente ai fianchi case e palazzi spianando la strada alla definitiva e devastante spallata dell'onda d'urto. Entrambi gli aeroporti di Roma subirono danni alle infrastrutture. Danni lievi, ma comunque sufficienti a renderle di fatto inagibili. A completare l'opera, mandando in frantumi tutte quante le finestre, ci avrebbe pensato l'onda d'urto poco più di un minuto più tardi.
All'interno della città il placido corso del Tevere dovette fare i conti con improvvisi e talvolta insormontabili ostacoli. Ponti crollati, muraglioni di contenimento degli argini rovesciati nell'alveo e ingombranti macerie provenienti da edifici distrutti non permisero più il regolare fluire della corrente. In molti punti l'acqua esondò, trasformando quella pianura di macerie in un paludoso e putrido acquitrino.
Solamente nel primo pomeriggio, sfidando con coraggio la polvere che ancora ristagnava su quella distesa di morte e di distruzione, i primi elicotteri riuscirono a offrire al mondo le terribili immagini di quell'enorme spianata di macerie irta di spezzoni di muri, moncherini ancora fumanti che si protendevano rattrappiti verso il cielo polveroso. Un angosciante tappeto di devastazione e di morte, con inaudita prepotenza, aveva preso il posto di quella che fino a poche ore prima era una viva e stupenda città. Assolutamente impossibile tentare di intraprendere una benché minima azione di soccorso. Solamente alcuni giorni dopo l'impatto i primi mezzi dell'esercito poterono a fatica raggiungere ciò che rimaneva della Città Eterna. In quell'agghiacciante scenario di morte e distruzione le strade non esistevano più, devastate o completamente seppellite dalle macerie e quel terreno sconnesso risultava quasi impraticabile persino per i più potenti mezzi cingolati.
Nelle ore immediatamente seguenti all'impatto, gli ospedali delle città a ridosso di Roma, colpite solo parzialmente dalle scosse sismiche e risparmiate dall'onda di calore e di pressione, furono sommersi dalla fiumana di feriti trasportati lì con ogni mezzo. Le strutture, purtroppo, non furono in grado di reggere e per un gran numero di quei feriti non ci fu neppure la possibilità di un consulto medico. A quel tragico collasso sanitario, però, non contribuì tanto l'esagerato afflusso o gli inevitabili problemi logistici e organizzativi, quanto piuttosto l'improvviso black-out che colpì tutta quanta l'Italia. Per qualche ora i gruppi elettrogeni riuscirono a reggere quell'emergenza, ma ben presto cominciarono ad affacciarsi i problemi. Ci volle qualche giorno di incessante lavoro prima che i tecnici riuscissero a isolare la zona devastata e ristabilire la corretta fornitura di elettricità all'intero Paese. Incredibilmente devastanti le conseguenze sia per i collegamenti ferroviari che per quelli stradali: l'Italia era praticamente spezzata in due e il collegamento tra Nord e Sud doveva ora - e chissà per quanto tempo - fare affidamento solamente sulla dorsale adriatica.
Drammatico il conteggio delle vittime, un bilancio che raggiunse stime attendibili solamente nelle settimane seguenti all'impatto, quando si riuscì - con indicibile orrore - a comprendere appieno la sconvolgente potenza di ciò che era accaduto. Per una valutazione sommaria si provò a suddividere l'area devastata nell'impatto in cerchi concentrici via via più ampi. Lo scenario che si delineò fu apocalittico. Entro gli otto chilometri dal punto d'impatto nessuno era riuscito a sopravvivere, tutti quanti uccisi sul colpo o morti nelle ore immediatamente seguenti nella vana attesa di soccorsi. Tra gli otto e i dodici chilometri, la metà delle persone era deceduta all'istante e il 40% aveva subito ferite più o meno gravi. Anche per molti di questi feriti, purtroppo, l'impossibilità di soccorsi immediati decretò l'ineluttabile fine. Della popolazione che si trovava tra i dodici e i venti chilometri da Villa Borghese solamente il 5% morì all'istante; il 45% venne ferito e la restante metà degli abitanti riuscì a sopravvivere. Oltre i venti chilometri i decessi furono molto rari, anche perché i feriti (circa un quarto della popolazione) furono i primi a poter ricevere adeguato soccorso (8).
Scorrendo i rapporti ufficiali, stilati nelle settimane seguenti, fu quasi impossibile trattenere le lacrime dinanzi a un numero così terribile e straziante: 3.258.000 vittime. Non meno straziante del numero in sé fu quell'assurdo arrotondamento alle migliaia, segno evidente dell'impossibilità a determinare in modo esatto il vero valore. Atroce e beffarda condanna a una morte dimenticata per chissà quanti sventurati abitanti di Roma.
Incalcolabili i danni materiali e quelli - non meno tragici e devastanti - al patrimonio artistico e culturale dell'intera Umanità. Una ferita talmente cruda e profonda che mai si potrà rimarginare. Quel piccolo e quasi insignificante oggetto celeste, materializzatosi all'improvviso in un mattino di primavera dalle profondità dello spazio, aveva cancellato per sempre la Città Eterna.
Della grandezza di Roma, un tempo indiscussa dominatrice del mondo, non v'era più traccia. Solo un vivo e struggente ricordo destinato a svanire, nel tempo, col lento ingiallire delle pagine dei libri di storia.

 

Note

(1) Nella descrizione dello scenario ho cercato di rispettare il più fedelmente possibile i risultati emersi dalla simulazione effettuata ricorrendo a Earth Impact Effect Program, il software web-based creato da Robert Marcus, H. Jay Melosh e Gareth Collins. In Appendice sono riportati i dati di input utilizzati e i principali valori di output ottenuti.

(2) Non lasciamoci fuorviare dal fatto che, nella descrizione della formazione del globo di fuoco, si evidenzia il succedersi di alcune fasi. In realtà il processo è assolutamente istantaneo. Per la descrizione, insomma, è come se avessimo potuto disporre di una fantascientifica moviola dotata di un effetto rallenty ultra efficace.

(3) Studi accurati della dinamica dell'impatto indicano per la bolla di plasma iniziale una temperatura di oltre 10 mila gradi e una pressione di oltre 100 GPa (corrispondenti, in pratica, alla pressione che verrebbe esercitata da una colonna d'acqua alta oltre 10 mila chilometri).

(4) Secondo gli studi effettuati dalla Difesa americana sugli effetti di un ordigno nucleare da 1 Mton, un picco di pressione di 12 psi (pound per square inch), corrispondenti a circa 82 kPa, è il limite al di sotto del quale può rimanere in piedi qualche struttura. Nella zona più interna, caratterizzata da un picco di pressione maggiore, tutto (o quasi tutto) viene raso al suolo.

(5) La simulazione dell'impatto di Metus indica che a 10 km dal punto d'impatto il picco di pressione è di 6,44 psi (corrispondenti a 45,3 kPa). Secondo i dati contenuti in uno studio NATO, una sovrappressione di oltre 70 kPa provoca danni polmonari e a partire da 22 kPa si può verificare la rottura del timpano. Lo stesso studio sottolinea la devastante potenza distruttiva dei piccoli oggetti scagliati a elevata velocità. Un oggetto di 4,5 kg a una velocità di poco più di 16 km/h è in grado di frantumare il cranio.

(6) Dagli esperimenti nucleari con ordini appartenenti alla cosiddetta “Megaton class” si è potuto appurare che nella fase finale la nube può essere larga 100 chilometri e alta 40.

(7) La simulazione segnala l'innesco di un sisma di magnitudo 5.4 della scala Richter. Una scossa registrabile dai sismografi di tutto il mondo, ma percepita anche dalle persone fino a una distanza di quasi 500 chilometri dal punto d'impatto.

(8) Nella stima del numero di decessi (% della popolazione) riconducibili a un'esplosione nucleare, i manuali preparati dalla NATO e dal Ministero della Difesa statunitense sono concordi nell'indicare che se il picco di pressione supera i 12 psi i morti sono il 98% e i feriti il restante 2%. Con pressione compresa tra 5 e 12 psi i morti sono il 50%, i feriti il 40% e il 10% non subiscono danni. Tra i 2 e i 5 psi i morti sono il 5%, i feriti il 45% e il restante 50% non subisce danni. Infine, tra 1 e 2 psi di picco di pressione il 25% della popolazione è ferito e il restante 75% è salvo. Gran parte dei decessi deriva dal crollo degli edifici e dal fatto che per l'onda d'urto le persone vengono scagliate contro gli edifici oppure piccoli oggetti vengono scagliati contro le persone. E' comunque assolutamente impossibile effettuare un calcolo esatto.

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