Il dibattito sul Disegno Di Legge (DDL) procede, e pare incontrare molti consensi. Noi proponiamo una valutazione più severa, a partire da tre quesiti:
Rispondere ai tre quesiti consente di chiarire i limiti del disegno di legge e
le correzioni di rotta necessarie.
1. Qual è l’ispirazione del progetto, la visione dell’università che lo
sottende, l’idea forte che lo ha guidato? Nessuna, apparentemente. La visione
della istituzione università, esposta nel primo articolo, è alquanto modesta:
“sede di libera formazione e strumento per la circolazione della conoscenza”.
Formazione e circolazione solamente? Un sistema universitario deve essere, in
primo luogo centro di produzione della conoscenza, centro di ricerca. Ci sono
due ottime ragioni perchè sia così.
La prima è che formazione e circolazione della conoscenza funzionano bene solo se la produzione della conoscenza è eccellente. E’ perfettamente possibile per una singola istituzione eccellere nell’insegnamento e non nella ricerca. Negli Stati Uniti tra i migliori colleges ci sono Williams, o Vassar, nomi probabilmente sconosciuti in Italia, appunto perché l’insegnamento è la loro missione. Ma quello che vale per un college non vale per un sistema: il sistema universitario americano è eccellente per le sue istituzioni di ricerca, non per i simpatici colleges che formano le menti e fanno circolare le idee prodotte altrove.
La seconda ragione va al cuore della questione di come si fa funzionare una università, o qualunque altra istituzione in una società democratica. La qualità dell’università non si migliora per decreto, o per volontà politica, o con il rigore delle sanzioni, ma trovando gli incentivi giusti. Meritocrazia è fortunatamente un tema che ricorre nel DDL. Premiare il merito non è un principio etico, ma un principio fondamentale del disegno ottimale di una istituzione. Le persone che ne fanno parte lavorano perseguendo ciò che sono motivate a fare, finanziariamente ma soprattutto professionalmente. Ma come si misura il merito? Mentre altri criteri, come la valutazione dell’insegnamento sono facili da manipolare o abbellire, la ricerca non lo è, perché a livello mondiale la produzione di ricerca è estremamente competitiva. Quindi se si vogliono dare incentivi giusti, occorre affidarsi in primo luogo alla ricerca e alla sua valutazione.
2. Quali sono gli obiettivi? Non v’è dubbio che il progetto intende promuovere efficienza e merito. Gli apprezzamenti ricevuti riconoscono esattamente questo. Il problema però è che, mancando il progetto di una ispirazione forte che guidi il disegno degli interventi, gli obiettivi dichiarati rischiano di non esser conseguiti e di rimanere delle pure enunciazioni.
3. Quali sono le linee strategiche verso gli obiettivi di efficienza e merito, e gli eventuali vincoli percepiti? Il decreto punta su tre cose: la riforma della governance centrale dell’ateneo, un sistema di incentivi affidato con precisi criteri direttivi a decreti legislativi del governo, una iper-regolamentazione su tutti gli aspetti trattati dal DDL.
Per quanto riguarda gli incentivi, preoccupa la lentezza delle realizzazioni. Un modello di finanziamento degli atenei fondato su un sistema di incentivi è stato elaborato da anni e in varie versioni, ma non è stato applicato, se non marginalmente. L’unico esercizio di valutazione della ricerca, effettuato dal CIVR per il triennio 2001-2003, è stato utilizzato, seppure in modesta misura, nella distribuzione del Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO) 2009! Il DDL affida all’ANVUR, organismo che deve ancora essere costituito, la valutazione di tutte le attività degli atenei. L’iter dell’approvazione del disegno, l’elaborazione dei decreti delegati, il varo dell’onnivalutativo ANVUR implicano una concreta operatività di questo organismo alquanto lontana. Gli impegni del DDL su valutazione e incentivi sono naturalmente importanti, ma la novità di cui oggi si ha bisogno è la rapida prosecuzione di ciò che è davvero cruciale per valutare gli atenei: la valutazione della ricerca.
Niente affatto risolutiva e fonte di nuovi pericoli appare la riforma della governance, impostata su un potere straordinario del rettore, su un Consiglio di Amministrazione (CdA) non elettivo e che diviene l’unico organo deliberante dell’ateneo, su una consistente presenza nel CdA, almeno il 40%, di membri esterni all’ateneo. Il potere dei rettori è già notevolissimo. Non ha dato grandi risultati e non certo perché i rettori difettavano di competenze gestionali. La “comprovata competenza ed esperienza di gestione ... nel settore universitario”, richiesta per i futuri rettori dal DDL, non garantisce nulla e non è condizione necessaria di nulla, se poi significa qualcosa.
Un cambiamento di rotta qui sembra proprio necessario. Fondare la riorganizzazione degli atenei non sul maggior potere del governo centrale, ma sulla maggiore forza e autonomia delle unità di base della ricerca – i dipartimenti – è una correzione di rotta che auspichiamo fortemente nell’iter parlamentare in corso. Del resto, l’innovazione più interessante del ddl è proprio il focus sui dipartimenti, ma il ddl va timidamente in questa direzione. La scelta cruciale è rendere i dipartimenti direttamente responsabili dei risultati conseguiti nella ricerca.
La terza linea strategica del DDL è la capillarità delle disposizioni. Che si fermi il declino dell’università italiana con il dettaglio delle regole è improbabile. Molto più probabile è che, su questa strada, si finisca per prendere decisioni ridicole, come è appunto quella di prescrivere 1500 ore annue di lavoro complessivo, “compresa l’attività di ricerca e di studio” dei professori a tempo pieno. Chi prenderà i tempi e quali garanzie questo monte-ore dà di buona ricerca?
Non molto più seria è la previsione di “criteri e parametri” per l’attribuzione dell’abilitazione a posti di professore “definiti con decreto del Ministro.” Con questo veniamo all’ultimo commento: la selezione della docenza. Il DDL non fa molto per avere buoni professori. Lo schema delineato prevede una abilitazione scientifica nazionale a lista aperta, con una immissione in ruolo nelle singole sedi effettuata poi o attraverso una valutazione comparativa o attraverso una chiamata diretta di persone, provviste della necessaria abilitazione, già in forza nell’ateneo. Un vincitore unico sui posti banditi dalle sedi, dichiarato da un commissione nazionale con innesti internazionali, e la libertà della sede di non chiamare nessuno se è insoddisfatta dell’esito del concorso, ci sembra uno schema più diretto e semplice. E’ uno schema che elimina la mina vagante degli idonei, che il DDL si illude di disinnescare con i criteri e parametri definiti dal Ministro, e che in ogni caso dovrebbe costituire solo una disciplina transitoria rispetto a un futuro, completo affidamento della selezione ai singoli dipartimenti.