"Un
piatto di grilli e una spremuta d'arancia, grazie". Sarà questo il futuro
dei nostri ordini al ristorante?
Quando
scegliamo la nostra alimentazione, non solo contribuiamo al benessere del
nostro fisico, ma influenziamo anche la salute del Pianeta.
Tanto maggiori sono le risorse necessarie per produrre gli alimenti che
mangiamo, infatti, tanto più estesa è l’impronta
ecologica che lasciamo sulla Terra. In particolare, l’alimentazione
è responsabile del 25% dell’impatto che ciascuno di
noi ha sull’ambiente.
Questo
sia perché la produzione di un alimento può occupare
porzioni più o meno estese di territorio, sia perché manifattura,
distribuzione, cottura e smaltimento di rifiuti, cioè l’intero ciclo
di vita di un alimento, causano consumo di energia e di materie prime, provocando l’emissione nell’atmosfera
di grandi quantità di gas serra, prima tra
tutti l’anidride carbonica. È quindi
necessario comprendere se esista una dieta sana tanto per il fisico, quanto per
l'ambiente.
Nel 2004, Mathis Wackenagel ha fondato
il Global Footprint Network, una rete di Istituti di Ricerca, scienziati e
utilizzatori dell’indice “Impronta ecologica”. L'impronta
ecologica misura l'area di mare e di terra necessaria a rigenerare le risorse
consumate ad assorbire i rifiuti prodotti da una popolazione.
Ebbene, secondo il Global Footprint Network l’impronta ecologica globale dell’umanità è oramai più grande della biocapacità della Terra. L’Italia
ha un’impronta ecologica pro capite di 4,2 ettari globali (dato
del 2005), ma la biocapacità del
nostro Paese è di circa 1
ettaro globale pro capite.
Persino
le proiezioni più moderate pubblicate dalle agenzie delle Nazioni Unite
mostrano la previsione di un importante sovrautilizzo della biocapacità della
Terra entro il 2050. Per questo, la sostenibilità sta
diventando la sfida principale per assicurare le condizioni per la vita su
questo pianeta.
Se
i sistemi di produzione alimentare svolgono un ruolo chiave nell’evitare
la sovrautilizzazione ecologica, anche la nostra dieta è determinante.
Esaminando
questo aspetto gli esperti del BCFN, Barilla Center for Food & Nutrition
(centro di pensiero e cambiamento nato nel 2009) hanno sviluppato una Piramide Ambientale per raffigurare l’entità dell’impatto
dei diversi tipi di alimenti, sulla base della loro impronta ecologica.
Ogni
categoria di alimenti è stata sistemata nella porzione di Piramide Ambientale
corrispondente al suo impatto, ossia alla sua impronta ecologica. Maggiore è l’impatto,
più é larga la corrispondente porzione della Piramide, come nel caso di alcune
categorie alimentari delle filiere animali; impatto minore, porzione più ristretta,
sempre più vicina al vertice. Alimenti come la frutta, la verdura e la pasta
sono stati collocati nelle porzioni inferiori e più strette della piramide,
perché la loro impronta ecologica è minore.
Un
regime alimentare bilanciato e corretto (come il modello alimentare mediterraneo),
a base di pasta e altri cereali, verdure, frutta (preferibilmente quella di
stagione) e olio d’oliva, oltre a contribuire
alla nostra salute, tutela l’ambiente in cui
viviamo. Viene
anche suggerito di utilizzare, ove possibile, i prodotti del territorio in cui
si vive (i cosidetti prodotti a Km0).
C’è
anche chi fa proposte più estreme: da dieci anni la FAO si batte per una forte espansione dell’entomofagia,
l’uso alimentare degli insetti. Fra grilli e
cavallette, tarme della farina e “mosca soldato”, la FAO ha censito quasi 2000
specie consumate in Africa, Asia e America Latina e spinge per passare dalla
raccolta di insetti in natura ad allevamenti. La FAO stima che gli allevamenti
possano dare un contributo importante non solo in termini di produzione
alimentare, ma anche di reddito per le comunità, prestandosi
a essere gestiti da gruppi meno abbienti, come le donne e gli abitanti di aeree
rurali che non possiedono terre.
E’ stato
appurato che per produrre un chilogrammo di grilli bastano in media due
chilogrammi di mangime, contro gli otto del manzo. Quanto a proteine e grassi,
gli insetti hanno poco da invidiare a carne e pesce, e abbondano di fibre e
sali minerali. Richiedono meno acqua e meno spazio, proliferano in fretta
e di norma non veicolano virus pericolosi come fanno i polli con l’influenza.
In Occidente, salvo eccezioni, sono considerati un cibo da carestia, mentre nei
paesi in cui si mangiano sono cibi apprezzati. A parte le remore psicologiche,
resta da studiarne a fondo la biologia e definire le soluzioni tecniche per
automatizzare il ciclo di lavorazione, rendendolo efficiente ed economico, e la
cornice legale, a partire dagli standard di sicurezza e qualità.
Un altro fronte su cui agire è quello, immenso,
degli sprechi e del packaging. Il 25% dei rifiuti è costituito da imballaggio
alimentare, mentre la FAO stima che un terzo del cibo prodotto nel mondo si
perda prima di essere consumato, gettato via in case, negozi e ristoranti,
soprattutto nei paesi ricchi, o perso all’origine a
causa di parassiti, stoccaggi e trasporti inadeguati, specie nei paesi poveri.
Si tratta di quasi 1,3 miliardi annui di derrate: l’agenzia delle
Nazioni Unite nel rapporto Food Wastage Foot print afferma che se gli sprechi
fossero una nazione, sarebbero il terzo paese al mondo per emissioni di gas
serra, superati da Stati Uniti e Cina, mentre l’estensione
delle terre usate per produrli sarebbe seconda solo alla Russia. Le iniziative
per rimediare sono innumerevoli, dalla migliore conservazione dei raccolti, al
recupero del cibo in scadenza nei supermercati. Ci lavorano progetti europei,
tra cui uno sviluppato dall’Università di
Parma, che ha trovato soluzioni per ricavare
peptidi di uso alimentare e biodiesel da scarti della lavorazione delle
carni.
E'
quindi evidente che, se è vero che il problema della sostenibilità ambientale
richiede lo sforzo di tutti gli organismi statali, è altrettanto chiaro che il
singolo individuo, con la semplice scelta di una alimentazione più equilibrata, può contribuire al benessere suo e dell'umanità. Attendendo l'arrivo degli insetti nei nostri
piatti, ci rifugiamo nella buona e sana dieta mediterranea.
di Anna Camisasca