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Rifiuti, una risorsa in emergenza

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Il “Rapporto rifiuti urbani 2013 recentemente presentato da ISPRA segnala “una tendenza alla riduzione della produzione totale e pro capite dei rifiuti urbani (RU) nel territorio dell’Unione”. Sebbene su tale dato influisca la crisi economica internazionale, ISPRA indica tale tendenza in fase di consolidamento.

A sostegno di questa tesi l’Istituto presenta un’analisi della produzione dei rifiuti dal 2000 al 2011 che conferma una tendenza alla dissociazione della produzione di RU dall’andamento di fattori di carattere economico. Infatti, mentre la produzione di RU ritorna nel 2011 ai livelli del 2000, nello stesso arco temporale la “Spesa per Consumi Finali delle Famiglie” (SCFF) cresce del 14,9%. L’ipotesi su cui si interroga ISPRA riguarda la possibilità che “al di là della crisi, non si stiano per caso affermando modelli di consumo e produttivi più virtuosi e attenti alla prevenzione e al contenimento della produzione di rifiuti in linea con le politiche comunitarie di settore”.

 

L’ottima notizia - unita alla non brillante performance italiana nella gestione dei rifiuti - lascia intravedere ampi spazi di miglioramento per il nostro paese, che potrebbe scoprire di non avere alcuna “emergenza rifiuti”. Se solo adottassimo il modello della “società del riciclaggio”, basato sulla strategia europea delle tre RRR (Riduci, Riutilizza, Ricicla). Nella classifica stilata dalla Commissione Europea sulla base di un set di 18 criteri si evidenziano i diversi approcci degli Stati (EU27) alla gestione dei rifiuti. Al gruppo più “virtuoso” appartengano solo vecchi Stati membri mentre 10 dei 12 nuovi Stati fanno parte dell’ultimo gruppo. I due Stati che fanno eccezione? Italia e Grecia, rispettivamente 20° e 27°.

 

 

Smaltiamo troppi rifiuti in discarica (258/248/222 Kg/abitante/anno nel periodo 2009/2011 contro i 192/187/176 della media UE - 27SM) e anche se ricicliamo un po’ più che in passato (100/101/120 Kg/abitante/anno) abbiamo tuttavia aumentato la quota di rifiuti avviati all’incenerimento (79/89/99 Kg/abitante/anno).  Facciamo il contrario di quanto raccomandato dalla direttiva 2008/98/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio. “Con lobiettivo di realizzare una società del riciclaggio [gli Stati membri] non dovrebbero promuovere, laddove possibile, lo smaltimento in discarica o lincenerimento di detti materiali riciclati” (art. 29). E ancora, “in conformità della gerarchia dei rifiuti e ai fini della riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra provenienti dallo smaltimento dei rifiuti nelle discariche, [gli Stati membri dovrebbero] facilitare la raccolta differenziata e l’idoneo trattamento dei rifiuti organici al fine di produrre composti e altri materiali basati su rifiuti organici che non presentano rischi per l’ambiente” (art. 35).

Se il calo della produzione dei rifiuti è consolidato e dobbiamo ancora attuare le strategie per la loro corretta gestione, perché siamo in costante “emergenza rifiuti” e ricorriamo a soluzioni più onerose, che ignorano quelle raccomandate dall’UE agli Stati membri?

Ugo Bardi: “E’ molto positivo che Ispra abbia rilevato e segnalato questa tendenza alla riduzione della produzione dei rifiuti, che prescinde dalla differenziazione e dal recupero. Si tratta di una circostanza che io e i miei collaboratori avevamo già evidenziato in una pubblicazione del 2007."

Ugo Bardi è docente presso il Dipartimento di Scienze della Terra dell' Università di Firenze, membro di “The Club of Rome” e di altre associazioni nazionali e internazionali che si occupano di energia e di materie prime. E' autore del libro “La Terra Svuotata” (Editori Riuniti 2011). Insieme al suo gruppo di ricerca ha recentemente aggiornato lo studio del 2007 confermando la tesi sulla correlazione tra il calo della produzione dei rifiuti e il maggior costo per l’accesso alle risorse fossili. Il gruppo di ricerca considera il sistema economico globale come un unico processo che ha inizio con i prodotti dell’industria estrattiva che, trasformati in beni per la produzione e il consumo, diventano infine rifiuti. La loro riflessione si articola all’interno del paradigma dei “picchi”.

“Se vediamo il futuro in termini di “picchi” estrattivi (petrolio, minerali, …) allora possiamo aspettarci un simile andamento per la produzione di rifiuti”, che pertanto tenderanno progressivamente a ridursi come le materie prime. “L’estrazione delle risorse fossili è basata sull’energia, che a sua volta è prodotta con l’impiego del petrolio che diventa sempre più costoso. Al ridursi delle risorse cresce il costo della loro estrazione e questa difficoltà determina l’arresto dell’aumento della produzione. Sebbene nella fase attuale la produzione sia statica o in leggerissimo aumento, il maggior consumo di risorse per l’estrazione, a parità di produzione, riduce le esportazioni e il flusso di combustibili fossili verso i paesi importatori e manifatturieri”.  

Dunque la crisi economica è soprattutto da attribuirsi alla minore disponibilità di materie prime e non solo al loro maggior costo?

Le parti del sistema economico sono correlate. Quella che chiamiamo “crisi economica” è vista come entità a sé stante mentre è una crisi di tutto il sistema di trasformazione delle materie prime, che partono dal petrolio e dai metalli e attraverso il sistema industriale sono infine trasformate in rifiuti. Se restiamo nella visione tradizionale della “crisi economica” ci concentriamo sull’euro, sul debito, sui costi della politica. Questi ultimi per esempio ammontano a circa 6 miliardi di euro che è ben poco rispetto al costo dell’importazione di petrolio e combustibili fossili dall’estero, che è stato di 66 miliardi di euro nel 2012. Si tratta di un peso molto forte sulla nostra bilancia dei pagamenti. Negli ultimi dieci anni abbiamo aumentato il costo delle importazioni di circa tre volte. Questa circostanza naturalmente si riflette sulla nostra capacità produttiva. Si tratta di un problema complesso, che non riguarda solo l’Italia e che è al di fuori del nostro controllo. Non ci sono riforme che possiamo fare per ridurre i costi delle materie prime, che arrivano dall’estero e che non sono rinnovabili.

Una crisi sistemica dunque, non contingente, che riguarda sia la produzione di beni che di rifiuti.

Siccome il problema delle materie prime è strutturale, posto che stiamo esaurendo quelle a più basso costo, ce ne possiamo permettere di meno. Importiamo meno e a un maggiore costo, il sistema economico e industriale si contrae perché perde di competitività, produciamo e consumiamo meno beni e anche meno rifiuti. Tutto questo si riflette sui rifiuti che sono il prodotto ultimo della trasformazione delle materie prime.

Forse proprio come esito del rapporto elaborato da Ispra, il Ministro dell’Ambiente Orlando -  che meno di due mesi fa aveva invitato a far ripartire le procedure per gli inceneritori di Napoli e Salerno  - ha dichiarato il proprio impegno per un “rafforzamento delle norme sul riuso e il riciclo dei rifiuti”. Ha aggiunto che starebbe “valutando una moratoria sulla costruzione di nuovi termovalorizzatori oltre a quelli già previsti” perché “quelli già esistenti sono ampiamente sottoutilizzati”. Finalmente la questione pare assumere una certa coerenza. Tuttavia, come ben si nota e anche se solo in termini di dichiarazioni di principio, manca un ulteriore tassello. La mancanza di previsione e programmazione, che insieme a una gestione fortemente inadeguata ha determinato in qualche modo la costruzione dell’”emergenza rifiuti”, la corsa all’incenerimento e all’utilizzo delle discariche 

Ho lavorato per tanti anni con l’industria del petrolio che è ossessionata dalla necessità di predizione. Invece nei rifiuti non ci sono modelli di estrapolazione e previsione - anche se sono disponibili raccolte di dati come quello di Ispra - estremamente dettagliati su base territoriale. Qualcosa esiste nella letteratura internazionale, ma molto poco, e noi cerchiamo di elaborare dei modelli di previsione nella cornice del picco che ci dicono che questa riduzione della produzione è irreversibile. Noi produrremo sempre meno rifiuti. La mia opinione è che di termovalorizzatori ne abbiamo a sufficienza e - siccome non c’è un’emergenza rifiuti in termini quantitativi - non ne abbiamo bisogno altri. Il Ministro l’avrà capito. Diversi anni fa sostenevo che gli inceneritori erano destinati a diventare obsoleti. E’ un sistema di trattamento dei rifiuti costoso, che trasforma il rifiuto in cenere rendendolo così difficile da riutilizzabile, e trasformandolo invece in rifiuto speciale. L’inceneritore è il prodotto di una falsa emergenza che in realtà non c’è mai stata.

Come interpreta l'atteggiamento dei decisori politici?

Molte decisioni politiche sono supportate dall’emergenza, a volte presunta. Si tende a fare questo tipo di scelta per imporre decisioni rapide. L’emergenza a Napoli è stata una cosa storica, secondo me in parte un po’ pilotata. Sono stato membro della commissione sui rifiuti di Napoli e lavorandoci mi sono accorto che la situazione non era poi così grave, tant’è che sulla base di un piano anche piuttosto semplificato l’”emergenza” è poi stata risolta, almeno momentaneamente. Se decidiamo di lavorare sui rifiuti senza considerarli un’emergenza il problema si risolve.

La direttiva 2008/98/CE prevede che entro il 12 Dicembre 2013 gli Stati membri predispongano uno o più piani di gestione dei rifiuti che coprano l’intero territorio geografico nazionale. Tra gli elementi minimi che dovranno essere contenuti nei piani troviamo “tipo, quantità e fonte dei rifiuti prodotti all’interno del territorio, rifiuti che saranno prevedibilmente spediti da o verso il territorio nazionale e valutazione dell’evoluzione futura dei flussi di rifiuti”.

Dovremo farla questa previsione alla fine. Su quali basi?

Avevamo unosservatorio nazionale dei rifiuti”, un’agenzia governativa preposta al controllo e all’elaborazione di una policy dei rifiuti. Un’agenzia che è stata prima strangolata, non finanziata, e poi non rinnovata. Il nostro sistema è attualmente acefalo, non abbiamo nessuno che si occupi di rifiuti a livello strategico. Per il 12 dicembre non ce la faremo a fare un lavoro serio. Abbiamo molti dati, ma poca capacità di estrapolazione. Il problema è che le burocrazie, sia quelle nazionali sia quelle europee, commissionano e elaborano piani su piani senza che poi accada quasi nulla. Ma il sistema si adatta e arriveremo sicuramente a una gestione dei rifiuti basata sulla scarsità. Il nostro modo di ragionare sui rifiuti è ancora basato sull’abbondanza. Pensiamo di averne troppi, invece dobbiamo iniziare a ragionare sul fatto che ne abbiamo pochi, se li consideriamo una risorsa da riutilizzare.

La macchina della burocrazia quindi rallenta ulteriormente un processo di rinnovamento

Purtroppo qui la burocrazia è un impedimento. Se ti viene in mente di riciclare qualcosa non lo puoi fare perché non sei autorizzato. Il settore dei rifiuti rientra in una categoria economica a bassa resa e non si può permettere la burocrazia vigente. Per esempio, alcuni anni fa la provincia di Firenze aveva incoraggiato i Rom ad organizzarsi in cooperativa per riciclare il ferro. La polizia, che si è presentata con i fucili mitragliatori, li voleva arrestare perché riciclavano il ferro senza avere i moduli adeguati a garantire la tracciabilità del rifiuto. C’è un’interessante linea di ricerca internazionale sull’informal recycling, che potrebbe essere una strategia efficiente, anche se rende poco a meno che uno non sia estremamente povero o ricicli rifiuti con un certo valore (es. la Caritas con gli abiti) o usi lavoro volontario. Per far funzionare bene il riciclaggio bisogna ridurre la burocrazia (“informalizzare”) altrimenti è molto difficile che possa rendere.  Prestando molta attenzione, affinché alla riduzione della burocrazia non corrisponda l’assenza di controlli, spesso insufficienti, nonostante tutto.


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