Esistono universi paralleli? La domanda è tra le più
“grandi” che siano emerse dalla fisica del ventesimo secolo, e il dibattito è
ancora aperto. Il contributo più recente viene da due fisici australiani, Howard
Wiseman e Michael Hall, e uno statunitense, Dirk-André Deckert,
con un articolo
pubblicato qualche giorno fa su Physical Review X.
I tre autori
sostengono che sembrerebbe non esserci nulla di sbagliato a immaginare che il
nostro universo sia solo uno dei tanti: anzi, in questo modo si potrebbero
spiegare alcune caratteristiche particolarmente “spinose” della fisica dei
quanti.
La meccanica quantistica non è solo necessaria per spiegare
il comportamento della natura a livello fondamentale: nella sua versione
relativistica è anche la teoria più comprovata e “di successo” di tutta la
fisica. Le equazioni, insomma, funzionano bene; ma non c’è ancora consenso su
come vadano interpretate. «Dio non gioca a dadi», commentava per esempio un Albert
Einstein particolarmente scettico sul ruolo apparentemente fondamentale
della probabilità in meccanica quantistica.
Fu proprio nel dare un’interpretazione alla meccanica quantistica che allontanasse
il “fantasma” delle probabilità che affiorò per la prima volta nella scienza
moderna l’idea degli universi paralleli.
Era il 1957, infatti, quando il fisico
americano Hugh Everett III formulò la cosiddetta “interpretazione
a molti mondi” della meccanica quantistica. «La stranezza
dell’interpretazione a molti mondi – spiega Wiseman, che è anche direttore del
Centre for Quantum Dynamics alla Griffith University, – sta nel postulare che,
ogni volta che si compie un’osservazione su un sistema quantistico in un
universo, quell’universo si “dirama” in un certo numero di altri universi, uno
per ogni possibile esito dell’osservazione».
Oggi l’interpretazione a molti mondi non gode di ampio
successo, soprattutto per via del suo carattere fin troppo “bizzarro”: com’è
possibile che un universo si dirami in più universi a mo’ di sliding doors?
In che modo avverrebbe un fenomeno del genere? E inoltre, che cosa si intende
esattamente per “osservazione” di un sistema quantistico? Se non osservassimo
sistemi quantistici, l’universo non si diramerebbe? La coscienza umana ha un
ruolo nel moltiplicarsi degli universi?
Wiseman, Hall e Deckert hanno sostanzialmente ideato un approccio alla meccanica
quantistica simile a quello a molti mondi, ma privo di questi scomodi
inconvenienti: hanno chiamato questo approccio “a molti mondi interagenti” (many
interacting worlds). Secondo questa visione, ci sarebbero altri universi in
numero sterminato, ma non infinito e soprattutto costante: in
questo modo si elimina il problema della “diramazione”.
Ognuno di questi universi è caratterizzato da una fisica
squisitamente classica: non c’è distinzione tra il comportamento della materia
a livello macroscopico e a livello microscopico; in particolare, non esiste
qualcosa come le funzioni d’onda o il principio di indeterminazione, e le
probabilità non sono grandezze fisiche fondamentali: conoscendo posizione e
velocità di ogni particella, si può stabilire in linea di principio
l’evoluzione fisica dell’universo in maniera deterministica, come nella
meccanica newtoniana.
Secondo il modello di Wiseman e colleghi, la presenza dei
bizzarri fenomeni “quantistici” è dovuta al fatto che i vari universi non sono
perfettamente “paralleli”. Questi infatti interagiscono tra loro: nello
specifico, esiste una sorta di “repulsione” che impedisce loro di avere la
stessa configurazione (ovvero, la stessa posizione e velocità di ogni
particella). L’evoluzione di un sistema quantistico in un universo appare di
natura probabilistica per via della nostra ignoranza su quale sia il
particolare universo in cui il sistema quantistico evolve.
I tre scienziati hanno condotto delle simulazioni a computer
di sistemi quantistici facendo uso del loro approccio, scoprendo che in questo
modo si riesce a riprodurre alcuni fenomeni eminentemente quantistici come l’effetto tunnel, l’energia del vuoto e
l’interferenza
da doppia fenditura. In altre parole, questi eventi potrebbero avvenire in
universi completamente “classici” nell’ipotesi che questi interagiscano con
altri universi simili secondo l’approccio a molti mondi interagenti. «La
bellezza del nostro approccio – dichiara Wiseman – è che se c’è un solo
universo la nostra teoria si riduce alla meccanica newtoniana, mentre se c’è un
numero enorme di universi riproduce la meccanica quantistica».
L’approccio a molti mondi interagenti non è destinato a
rimanere soltanto una questione accademica. Come annuncia lo stesso Wiseman,
attraverso le sue applicazioni simulative può rivelarsi utile per «modellizzare
la dinamica delle molecole, che è importante per comprendere le reazioni
chimiche e l’azione dei farmaci». Bill Poirier, professore di chimica
alla Texas Tech University, commenta: «Queste sono grandi idee non solo a
livello concettuale, ma anche per le scoperte a cui quasi certamente daranno
origine tramite le simulazioni».
Richard Feynman, uno dei più grandi fisici teorici del Novecento, ebbe a dire: «Nessuno capisce la meccanica quantistica». Questo perché nessuno riesce davvero a far propri i concetti più anti-intuitivi di questa teoria: si possono usare per fare predizioni matematiche, ma capirli davvero è un’altro paio di maniche. Con l’approccio a molti mondi interagenti non si è più costretti a capire le stramberie della meccanica quantistica, perché queste si ridurrebbero a “semplici” proprietà emergenti dall’interazione tra i vari universi. Il prezzo da pagare, naturalmente, è presupporre l’esistenza di un gigantesco numero di universi oltre al nostro.