Quella della digitalizzazione della sanità è una sfida che i sistemi di assistenza sanitaria di tutta Europa dovranno affrontare nei prossimi anni: questo perché la creazione di uno smart care system può essere una delle poche soluzioni alle conseguenze problematiche che l'invecchiamento della popolazione implica sulla gestione del sistema sanitario.
Le stime proposte fin qui da Eurostat prevedono, infatti, che la percentuale della popolazione anziana (65+ anni) e molto anziana (80+ anni) nell’Ue dovrebbe crescere rispettivamente dal 17,4% del 2010 al 30,0% nel 2060 e dal 4,7% del 2010 al 12,1% nel 2060.
Un processo che ha come prima e diretta conseguenza l’aumento delle patologie croniche con un forte impatto sulla spesa sanitaria.
Secondo l’eHealth Action Plan 2012-2020 predisposto dalla Commissione Europea a fine 2012, i paesi membri dell'Unione Europea hanno avuto una spesa pubblica in ambito sanitario del 5,9% del PIL nel 1990, passata poi a un 7,2% del PIL nel 2010, con la proiezione di un'ulteriore crescita fino all’8,5% del PIL nel 2060. Un dato che va fortemente in contrasto con la logica di spending review che il momento di crisi economica ha portato molti paesi europei a perseguire nelle loro politiche socio-economiche.
Il sistema sanitario italiano
In un contesto europeo di questa natura, quella italiana è una situazione paradossale.
Da una parte, infatti, il nostro è il secondo paese europeo con la più alta percentuale di popolazione sopra i 65 anni di età: secondo il report Health at Glance Europe (OECD, 2014), nel 2012 tale percentuale era di 20,8%, siamo secondi solo alla Germania a cui spetta il primato con il 21%. Ma a questa situazione non sembrerebbe corrispondere un'efficienza adeguata del servizio sanitario nazionale: la qualità delle prestazioni sanitarie erogate sono sensibilmente inferiore rispetto a quella della media degli altri paesi europei.
L'Euro Health Consumer Index (EHCI) presenta un analisi di uno "standard di settore" nel monitoraggio dei sistemi sanitari contemporanei, attivo fin dal 2005; nel report del 2014 posiziona il nostro paese al 21° posto su 36 paesi europei. Quella tracciata dall'EHCI è una performance del sistema sanitario italiano in continuo scivolamento verso il basso, un percorso costante registrato fin dai primi rilevamenti dell'EHCI, quindi ormai decennale.
Inoltre, la logica della spendig review che caratterizza in particolar modo gli investimenti in sanità, non aiuta certo un sistema che con una spesa sanitaria totale pro capite pari a 2.400 euro, risulta tra i meno costosi d'Europa: ci fermiamo quasi alla metà della spesa norvegese, prima con 4.600 euro pro capite, o a due terzi di quella austriaca che conta 3.600 euro spesi per ogni cittadino.
Quanto e come investiamo per una sanità digitale
Lo stesso EHCI sottolinea come la qualità delle prestazioni sanitarie non sia sempre direttamente proporzionale a un aumento della spesa complessiva in sanità: in tanti paesi Europei, a un lieve calo della spesa sanitaria corrisponde comunque un miglioramento delle prestazioni complessive nell'ambito della sanità. Uno dei motivi di ciò sta proprio nell'investimento in un sistema digitale della sanità.
Secondo l’eHealth Action Plan 2012-2020 i risparmi complessivi conseguibili solo in Italia con investimenti in tecnologie ammonterebbero all’11,7% della spesa sanitaria pubblica nazionale: la sola introduzione delle prescrizioni mediche in formato elettronico consentirebbe un risparmio di circa 2 miliardi di euro al SSN.
Nonostante ciò, l'Italia investe sempre meno nel Smart Care System: secondo l'Osservatorio ICT in Sanità, nel 2013 tale spesa complessiva si è ridotta del 5%, raggiungendo quota 1,17 miliardi di euro.
Quella digitale risulta essere solo l'1,1% di tutta la spesa complessiva sanitaria pubblica italiana, pari a 19,72 euro per abitante. Una contrazione che riguarda in particolare le strutture sanitarie, dove la spesa tecnologica è crollata dell'11% in un anno. Mentre per le regioni si registra un aumento nel 2012 del 5,4%.
Il fascicolo sanitario elettronico: un pilastro mancante
Uno dei pilastri della digitalizzazione della sanità non solo regionale ma a livello nazionale dovrebbe essere il Fascicolo Sanitario Elettronico, l’insieme dei dati e documenti digitali sanitari di un cittadino generati da eventi clinici o organismi sanitari operanti nell’ambito regionale (ricovero ospedaliero, specialistica ambulatoriale, prestazioni farmaceutiche, assistenza residenziale, assistenza domiciliare, accessi al pronto soccorso).
Uno delle principali aree di investimento ICT delle Regioni in ambito sanitario per il 2014 secondo il rapporto di Assinform 2014, il Fascicolo Sanitario Elettronico rappresenta meglio di altri strumenti uno dei problemi del passaggio alla sanità digitale in Italia: a un corpo sostanziale di decreti attuativi, come in questo caso l’approvazione delle Linee guida nazionali sul FSE del Ministero della Salute nel febbraio 2011, non corrisponde un concreto sviluppo, quindi la diffusione degli strumenti digitali.
Secondo la Strategia per la Crescita Digitale, pubblicata a marzo 2015, il Fascicolo Sanitario Elettronico vede una diffusione ancora fortemente frammentata. Riportando i dati presentati dal rapporto RIIR 2012, il Fascicolo risulterebbe già realizzato in cinque tra Regioni e Province autonome (Lombardia, Provincia autonoma di Trento, Emilia-Romagna, Toscana e Sardegna), in fase di sperimentazione in sette Regioni (Piemonte, Liguria, Marche, Veneto, Abruzzo, Campania, Basilicata); risulta invece ancora in corso di realizzazione o soltanto previsto nelle restanti Regioni.
Triste constatazione il fatto che, anche laddove è realizzato, il numero di fascicoli attivi, cioè i fascicoli dei cittadini che hanno fornito il consenso alla gestione dei loro dati sanitari, è ancora abbastanza basso: in Toscana ha attivato il suo FSE circa il 32% della popolazione (1,2 milioni di cittadini), in Lombardia oltre il 65% (6 milioni di cittadini circa).
Solo nella Provincia Autonoma di Trento abbiamo percentuali dell’80% (500.000 cittadini).
Secondo i dati proposti dal rapporto 2010 LITIS, Livelli di Innovazione Tecnologica In Sanità, effettuato da Federsanità Anci, un quarto delle aziende sanitarie (24%) impiega al proprio interno il Fascicolo Sanitario Elettronico / Dossier Sanitario. A fronte però di una percentuale dimezzata (12%) nel caso dei medici di famiglia.
Lo scenario frammentato e non uniforme dello sviluppo dello strumento digitale FSE è stato confermato anche dalla ricerca “La Diffusione del Fascicolo Sanitario Elettronico in Italia: Stato e Criticità” diretta da Lella Mazzoli dell'Università di Urbino. Lo studio sottolinea un punto che era già emerso dalle osservazioni dell'Euro Health Consumer Index: uno dei maggiori motivi di tale disparità nei servizi sanitari dei cittadini italiani sta proprio nella regionalizzazione della gestione della salute.
Intervista a Lella Mazzoli, Università di Urbino
Una nuova comunicazione della salute attraverso i social media
Nello sviluppo di internet e dell'ICT per la salute, uno degli elementi che sta radicalmente modificando il rapporto tra strutture sanitarie, medici e cittadini è la diffusione dei social media, come youtube, twitter o facebook.
Nel rapporto Censis 2012 “Quale futuro per il rapporto medico-paziente nella nuova sanità” si sottolinea come ci sia un'alta percentuale, circa il 34,7%, tra coloro che ricercano via web informazioni legate alla salute, che utilizza “spesso” o “qualche volta” i social network. Questa fetta di utenti supererebbe chi ricerca le informazioni direttamente sui siti istituzionali della salute.
Il successo di questo fenomeno sta nel fatto che internet non è più sfruttato per potenziare una comunicazione che faccia solo da vetrina della struttura sanitaria (come può essere nell'uso di youtube), ma ha come obiettivo principale quello di sviluppare un empowerment del cittadino/paziente, sfruttando la possibilità di scambio di informazioni tra comunità di pazienti o tra paziente e medico.
I social media offrono l'opportunità di una nuova piattaforma comunicativa, in cui si può lanciare campagne di comunicazione o di sensibilizzazione mirate a portare l'informazione a utenti o territori tradizionalmente difficili da raggiungere.
Tutto ciò sfruttando il passaggio da una comunicazione top-down a una comunicazione tra pari, orizzontale.
In questo ambito risulta molto interessante uno studio sulla diffusione e sulla modalità di utilizzo dei social media nella comunicazione della salute da parte delle ASL italiane, effettuata dall'Università di Sassari.
Intervista a Alessandro Lovari, Università di Sassari
L’utilizzo di applicazioni e dei dispositivi mobili
Come già detto e come è previsto dalla legge n.189 del 2012, la legge di conversione del decreto Balduzzi, l’ICT rappresenta uno strumento irrinunciabile per l’aggregazione funzionale territoriale e per l’integrazione delle cure territoriali e ospedaliere. Un aspetto, questo, che vede al centro il ruolo del medico di medicina generale e dei pediatri di famiglia.
Grazie a una ricerca condotta da FIMMG, la Federazione italiana dei medici di medicina generale, e Doxapharma è stato possibile rilevare il livello di utilizzo dell’ICT da parte dei medici di medicina generale italiani, evidenziando la funzione delle tecnologie mobili a supporto delle attività professionali, anche al di fuori dello studio medico.
Quasi la totalità dei medici utilizza sistemi ict per la gestione della scheda individuale del paziente e per l’invio dei certificati di malattia online. Questi stessi servizi sono utilizzati dai medici di medicina generale italiani su dispositivi mobili (rispettivamente nel 28% e 15% dei casi), accanto ai sistemi a supporto delle visite a domicilio, già utilizzate dal 15% dei mmg su smartphone e tablet.
Come ci spiega Eugenio Santoro, responsabile del Laboratorio di Informatica Medica dell'Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, analizzando le applicazioni mobile e i social media in ambito medico, non si deve tener conto solo della diffusione di questi strumenti. L'attenzione deve essere posta sulla funzione che possono ricoprire a livello terapeutico o di prevenzione della malattia, in una nuova concezione della comunicazione della salute, sempre più vicina alla funzione del trattamento farmacologico vero e proprio.
Eugenio Santoro, Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri
Digital divide e professionalità informatiche
Come si è già sottolineato, il problema nel realizzare uno smart care system non è solo numerico, ma anche qualitativo: l'investimento è troppo spesso destinato a servizi frammentati e disomogenei sul territorio nazionale, che spesso vanno semplicemente a sostituire il preesistente.
Non si crea cioè una nuova cultura della comunicazione della gestione della sanità digitale, che risulta essere al contrario indispensabile, specie in un paese, come l'Italia, in cui il divide digitale vede una situazione abbastanza allarmante, sottolineata anche della Strategia per la Crescita Digitale: nella fascia che va dai 16 ai 74 anni si registra una quota di utenti regolari, ossia che utilizzano internet almeno una volta alla settimana, pari a solamente il 56% della popolazione, contro una media europea del 72%. Per converso risultano essere il 34% gli italiani che non hanno mai utilizzato mai il web, contro il 21% medio europeo. Se quello dell'accessibilità ad internet è un dato preoccupante, ancor più drammatico risulta essere il ritardo in termini di competenze registrato dal rapporto Digital Agenda Scoreboard 2014 della Commissione Europea.
In termini di skill digitali, l'Italia risulta essere tra i paesi fanalini di coda, con una 40% di popolazione che a livello di skill ICT possiede competenze basse o nulle. E questo è un problema trasversale che interessa, anche se con livelli diversi, tutte le diverse categorie sociali e lavorative. In un'ottica di funzionamento di una sanità digitale, quello dell'aggiornamento e del miglioramento delle abilità informatiche è un obiettivo che dovranno porsi gli utenti del servizi sanitari così come chi dovrà gestire il sistema dal punto di vista medico e professionale.
La sicurezza informatica nella sanità 2.0
Un punto non meno importante su cui soffermarsi quando si parla di Sanità Digitale è la sicurezza informatica, ossia quanto i dati sensibili caricati dai singoli utenti o gestiti online dalle strutture sanitarie siano tutelati, quindi protetti da crimini informatici. I dati sulla sicurezza informatica del sistema sanitario sono ancora pochi, ma, in questo senso, risulta essere significativa l'analisi proposta dall'Italian Cyber Security Report del 2014: con l'obiettivo di valutare la consapevolezza e la capacità difensiva della Pubblica Amministrazione in Italia, lo studio ha analizzato la performance delle PAC (Pubbliche Amministrazioni Centrali), di Regioni e Comuni, ma anche delle Aziende Ospedaliere (AO) e delle Aziende Sanitarie Locali (ASL). Analizzate su tre dimensioni specifiche, quella della consapevolezza, dell'organizzazione e della difesa ai reati informatici, le performance di tutte le amministrazioni pubbliche prese in esame risultano essere mediamente sotto il livello di idoneità.
Anche da questa analisi, parametri quali la dimensione (numero di utenti) e la frammentarietà risultano essere decisivi sulla performance, in sicurezza informatica in questo caso, degli enti analizzati.
Le Aziende Ospedaliere e le ASL, strutture essenzialmente locali, godono di un punteggio decisamente inferiore a quello registrato nelle Regioni e nelle PAC.
C'è da sottolineare anche come la territorialità ha una certa influenza in termini di performance in sicurezza informatica: mentre per le AO, per tutte le variabili controllate (consapevolezza, organizzazione e difesa), esiste un netto divario tra il buon punteggio degli enti localizzati al nord e un punteggio decisamente più scarso delle AO nel sud del paese, con il centro che si posiziona con un valore esattamente intermedio. Differente è il caso della ASL: qui, infatti, si registra una performance migliore degli enti che si trovano nel Mezzogiorno d'Italia, vedendo come fanalino di coda le ASL dell'Italia centrale. Probabilmente questo perché al sud le ASL hanno un bacino di utenza mediamente più numeroso delle ASL del centro Italia.
Il nord del paese risulta il territorio più efficiente in termini di sicurezza informatica contro i cybercriminali, le cui azioni criminali, come conferma anche Francesca Bosco dell'UNICRI, l'Istituto interregionale di ricerca delle Nazioni Unite sul crimine la giustizia penale, hanno sempre più nel mirino i nostri dati sensibili e sempre meno i nostri conti bancari.
Intervista a Francesca Bosco, UNICRI