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In questi giorni gli Editori scientifici reclamizzano con insistenza le loro riviste sulla base dei rispettivi fattori d’impatto (IF) che, lo ricordiamo, sono indici numerici che misurano il numero medio di citazioni ricevute in un particolare anno da articoli pubblicati nei due anni precedenti. Senza sminuire l’importanza di questo metro di giudizio, chi ha lunga esperienza di ricerca sa che la qualità di un lavoro scientifico e, più in generale, il valore di un ricercatore, bisognerebbe stabilirli considerando anche altri parametri. Perciò, le classifiche commerciali e professionali basate sui fattori d’impatto, analoghe a quelle delle competizioni sportive, e la trasformazione degli indici in feticci che orientano le scelte dei giovani, destano perplessità e suscitano qualche preoccupazione. Il disagio che deriva da questa alterazione dei valori si acuisce quando le riviste a più alto fattore d’impatto sono vittime anch’esse di frodi scientifiche di grande rilevanza.  E’ il caso trattato in questo avvincente romanzo di Gianfranco D’Anna, liberamente ispirato alla vicenda del giovane fisico tedesco Jan Hendrik Schön (Verden, Bassa Sassonia, 1970), laureato all’Università di Costanza, premio Otto-Klung-Weberbank per la fisica 2001, ricercatore presso i Bell-Labs (USA), ex astro nascente delle nanotecnologie, “mago” del doping elettronico e dei FET (transistor ad effetto di campo) organici. La sua prorompente produzione scientifica sorprendeva molti e qualcuno cominciò a segnalare, prima in privato, poi pubblicamente, gravi incongruità in alcuni suoi scritti, pubblicati anche su riviste scientifiche ad alto fattore d’impatto come Science e Nature. Nel maggio 2002 fu costituita una Commissione d’inchiesta da parte della Bell per svolgere accertamenti sulla sospetta cattiva condotta scientifica di Schön e collaboratori, sulla validità dei dati sperimentali e sui metodi impiegati per ottenerli. La Commissione era composta da cinque membri ed era presieduta da M. R. Beasley, professore di fisica applicata. Nel settembre successivo fu pubblicato un lungo e scrupoloso rapporto che puntava il dito sull’assenza di qualsiasi documentazione dell’attività sperimentale che Schön avrebbe dovuto mantenere, sulla “substitution of fitted or assumed mathematical functions where measured data would be expected” oltre che sulla “selection of data for illustration of trends”.  Pur riconoscendo che Schön era un lavoratore accanito e produttivo, la Commissione concluse che “… Hendrik Schön committed scientific misconduct as defined by the falsification or fabrication of data” e che ciò si era verificato in 16 casi sui 24 esaminati dalla Commissione. Pur ammettendo i suoi errori e presentando le sue scuse, Schön confermava di aver osservato sperimentalmente i fenomeni descritti  e confidava che i risultati venissero confermati da altri. In ogni caso, dichiarò di aver agito in buona fede, senza l’intenzione di ingannare alcuno. Com’è noto, Schön fu licenziato dai Bell-Lab e parte dei suoi lavori ritrattati.

Gianfranco D’Anna (Zurigo, 1960) è un fisico che ha lavorato presso i Bell-Lab nello stesso periodo in cui operava Schön.  Il suo romanzo è avvincente, scritto con ritmo incalzante, cosicché si legge d’un fiato e spiace veramente staccarsene prima della fine. Dopo aver seguito l’evolversi della vicenda sulle riviste scientifiche e dopo aver letto i documenti ufficiali, per loro natura depurati dai risvolti umani, dai sentimenti e dalla descrizione di luoghi e ambienti, è un piacere considerare i fatti nell’interpretazione di un testimone come D’Anna. I nomi dei protagonisti, naturalmente, sono tutti cambiati, ma facilmente riconoscibili. Ciò che colpisce nel romanzo è l’emergere di una sorta di complicità morale di alcuni superiori del “falsario”, più attenti ad accumulare onori e riconoscimenti per loro e per l’Istituzione che a verificare la correttezza del lavoro del “genio”.  D’Anna ha curato bene gli aspetti scientifici, li ha resi accessibili e interessanti anche ai non specialisti.  Non manca neppure una lista di alcuni “falsi” pubblicati da Science e Nature, insieme a una spiegazione semplice e chiara delle incongruità che hanno insospettito i critici di Schön. Forse, se un chimico avesse letto preventivamente il manoscritto del romanzo, avrebbe corretto niobio diselenide (composto che sembra mezzo italiano e mezzo inglese) con niobio diseleniuro. Ma è davvero un particolare insignificante che non impedisce di classificare questo romanzo scientifico fra i migliori letti negli ultimi dieci anni e di raccomandarlo vivamente a tutti.

 


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