fbpx Meteoriti e diatomee: un'altra bufala dallo spazio? | Scienza in rete

Meteoriti e diatomee: un'altra bufala dallo spazio?

Primary tabs

Read time: 4 mins

Da qualche ora gira in rete una notizia che potrebbe far tremare i polsi a evoluzionisti, astronomi e geologi: dal meteroite rinvenuto a Polonnaruwa nello Sri Lanka lo scorso dicembre sono state trovate tracce di vita fossile non riconducibili a un’ambiente terrestre.

Si tratta (o si tratterebbe) di un’alga unicellulare parecchio simile alle diatomee, le alghe composte da una sola cellula che per prime hanno fatto la loro comparsa sulla Terra circa 135 milioni di anni fa. Secondo i ricercatori autori della scoperta si può tranquillamente escludere l’opzione che di un frammento di meteorite contaminato da fattori di origine terrestre – ovvero che si tratti di una roccia scagliata nello spazio milioni di anni fa e che adesso fa ritorno a casa – dal momento che “le abbondanze di elementi all’interno delle strutture corrispondono strettamente a quelle della matrice circostante”. In base alle analisi al microscopio elettronico effettuate presso la School of Earth Sciences di Cardiff l’ipotesi proposta, invece, cerca sostegno nella cometa Encke, che periodicamente chiude il suo ciclo di passaggio attorno alla Terra, che si caricherebbe della responsabilità di fare da vettore della diatomea, “inequivocabilmente” integrata all’interno del meteorite. Oltretutto, dicono gli autori, il meteorite di dicembre è molto simile ad altri caduti durante i giorni di ‘pioggia rossa’ di Kerala in India, con tracce di organismi non ben identificati. Le cellule rosse analizzate presso il Medical Research Insitute hanno mostrato avere, dicono, capacità riproduttive e alti tassi di arsenico e argento, associabili, “quindi”, a un ambiente non terrestre, ma proveniente da un asteroide.

In realtà è stato successivamente dimostrato che le cosiddette piogge rosse indiane non hanno niente affatto un’origine extraterrestre. Ma tanto basta a far immaginare entusiasmanti scenari di vita aliena, in grado di riformulare le teorie dell’evoluzione di casa nostra.
Scienziati e comunicatori si sono già trovati in passato a dover valutare e discutere simili prove e speculazioni associate: nel 1996, ad esempio, il meteroite ALH 84001 ritrovato in Antartide con i suoi presunti batteri alieni (in realtà ‘semplici’ concrezioni geologiche, come si appurò in seguito) o gli ultimi annunci arrivati dalla sonda NASA Curiosity, lo scorso settembre, che raccontavano di come il Pianeta Rosso fosse un tempo coperto d’acqua e quindi potenzialmente ricco di forme di vita. In questi casi la risonanza mediatica ha raggiunto livelli anche plateali, perché allora in questo caso si continua a ignorare la notizia? Un indizio utile a risolvere questo dilemma si può forse individuare nella lista dei quattro firmatari del lavoro.

In cima alla lista degli autori del paper c’è, infatti, N. C. Wickramasinghe della Università di Buckingam, ben noto per essere stato un sostenitore convinto della panspermia, ovvero la teoria secondo cui la vita ha avuto origine nello spazio per poi essere consegnata sulla Terra con un (pacchetto) completo, pronto ad affrontare l’evoluzione. Un’idea, questa, che per quanto affascinante anche per chi fa ricerca, non ha mai trovato alcuna conferma sperimentale. Nonostante questo, il Journal of Cosmology ha accetatto di pubblicare i risultati di questo lavoro. Del resto JoC non è nuova a questo tipo di polemiche e, a dirla tutta, non è nemmeno una rivista scientifica accreditata. Gli articoli sottoposti vengono pubblicati direttamente online e sono stati già molte volte oggetto di critiche per le speculazioni proposte in tema di astrofisica, cosmologia e biologia – nel 2011 la rivista è stata ferocemente attaccata per le teorie di Richard Hoover che discuteva “le implicazioni dei fossili di cianobatteri del meteroite C1 riconducibile a vita extraterrestre”, andando a scomodare anche Science e Nature.

Stavolta, però, a scomodarsi sono stati solo i commentatori della rete, seppur autorevoli, con il contributo di qualche rivista, anche italiana (un’interessante analisi viene offerta da Walter Jayawardhana e dal blog Bad Astronomy, che, tra le altre cose, fa notare come in realtà il sasso dello Sri Lanka non somigli nemmeno a un meteorite). Una bufala non così difficile da smascherare, insomma, ma solo la conferma dell’ennesimo brutto esempio fornito da Wickramasinghe e dal Journal of Cosmology. Arriveranno probabilmente nuove analisi e nuovi dati. Considerando i precedenti, non ci si può aspettare che Wickramasinghe getti la spugna così facilmente, come confermano anche i toni scelti per concludere questa già chiacchieratissima pubblicazione “Le prove raccolte vendicano  la teoria della panspermia cometaria. Sarà l’Universo, non l’uomo, ad avere l’ultima parola su come è fatto il mondo”.

Sarà, ma intanto a prendere per primi la parola sono stati gli attenti (esperti) lettori del web.
E dalle analisi offerte sembra proprio che sia l’ultima. 


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

La difficile necessità di contare i morti in guerra

Gaza

Mentre il mondo si riempie di nuovo di immagini di bambini feriti e uccisi, bisogna rendersi conto che i conflitti armati hanno implicazioni indirette sulla salute che vanno oltre i danni diretti della violenza. Anche se la guerra dovesse terminare immediatamente, nei mesi e negli anni successivi continueranno a esserci molti decessi indiretti. Per questo i tre autorevoli autori di una lettera appena pubblicata sulla rivista Lancet stimano in 186.000 il numero dei morti collegabili al conflitto di Gaza. Sono calcoli difficili da fare, ma necessari per documentare il conflitto e per parlarne con onestà.

Crediti immagine: Mohammed Ibrahim/Unsplash

I tre autorevoli mittenti della lettera pubblicata sul numero del 5 luglio della rivista Lancet indicano in 186.000 la stima dei decessi attribuibili al conflitto nella Striscia di Gaza. Decessi diretti, quelli contemporanei alle azioni belliche, e decessi indiretti, quelli successivi attribuibili alla distruzione delle infrastrutture sociali e sanitarie, agli esiti invalidanti sulla popolazione, all’aumento delle patologie croniche e alle malattie infettive.