fbpx Le ambizioni del Brain Activity Map Project | Scienza in rete

Le ambizioni del Brain Activity Map Project

Primary tabs

Tempo di lettura: 5 mins

Lo scorso 12 febbraio, nel Discorso sullo stato dell’Unione, Barack Obama ha annunciato di voler intraprendere un nuovo colossale progetto scientifico, non dissimile per metodo e grandiosità da quelli che, nei decenni passati hanno permesso agli Stati Uniti di arrivare sulla Luna, e agli scienziati di tutto il mondo, sotto la guida dei National Institutes of Health, di decifrare il genoma umano. Stavolta però la sfida è ancora più ambiziosa delle precedenti, perché sotto l’attenzione degli americani è finito l’oggetto più complesso dell’universo: il cervello. Il progetto in questione, battezzato Brain Activity Map, «avrà come obiettivo quello di mappare l’attività di tutti i suoi circuiti, analizzando ciò che accade neurone per neurone al fine di ampliare le nostre conoscenze sul funzionamento del cervello umano ed affrontare più efficacemente lo studio delle malattie» spiega Piergiorgio Strata, presidente dell’Istituto Nazionale di Neuroscienze, presso l’Università di Torino. Dieci anni è l’arco temporale che gli scienziati avranno a disposizione per portare a termine l’impresa. Tre miliardi di dollari è invece la cifra che sarà stanziata dal Governo federale, al quale si affiancherà l’impegno di partner privati. Fra loro, secondo le indiscrezioni di New York Times, ci saranno presumibilmente Google, Microsoft e Qualcomm, che hanno già partecipato ad alcune riunioni preliminari, e alle quali sarà probabilmente affidata la complessa gestione informatica dell’immensa mole di dati che via via affluiranno dai laboratori.

Professor Strata, il progetto è ambiziosissimo. Ce la faranno?

L’obiettivo finale, illustrato in un articolo pubblicato su Neuron lo scorso anno, non rientra nel periodo dei prossimi 10 anni. Per raggiungere questo obiettivo in un piccolo verme, che possiede solo 300 neuroni, sono necessari 5 anni. Il cervello umano ne ha 100 miliardi!

Per ora, il programma prevede di sviluppare e perfezionare le tecnologie che già permettono di esaminare gruppi di neuroni in modelli animali, per poi applicarle all’uomo. Peraltro, il Brain Activity Map non nasce dal nulla ma riunisce una serie di progetti che sono già iniziati, primo fra tutti quello sul connettoma umano lanciato nel luglio 2009 con lo scopo di costruire una mappa virtuale che farà luce sulle connettività anatomiche e funzionali del cervello umano.

L’idea quindi non è nuovissima

No, non lo è. Penso che Obama ne abbia parlato ufficialmente adesso per rispondere all’annuncio con il quale, alla fine di gennaio, l’Europa ha dato il via allo Human Brain Project, un progetto altrettanto ambizioso, che coinvolge circa 90 centri di ricerca in 22 Paesi, coordinati dal Brain Mind Institute della École Polytechnique Fédérale di Losanna. Questo programma ha una filosofia diversa. Si propone di inserire in un unico potentissimo calcolatore tutto ciò che si conosce con lo scopo di mettere a disposizione questi dati a chiunque possa elaborare modelli, teorie, progetti nonché confrontare i propri dati ottenuti in situazioni patologiche. Sono entrambi progetti colossali, per i quali si prevedono finanziamenti ingenti (3 miliardi di dollari per il BAM e 1 miliardo di euro per lo Human Brain Project). Questo aspetto desta qualche perplessità.

Troppi soldi?

La scienza può progredire soltanto se è finanziata in modo adeguato, e progetti così imponenti hanno bisogno di grosse cifre. Tuttavia, se da un lato possono portare risultati importanti, dall’altro tolgono fondi alla ricerca che si fa in moltissimi altri laboratori. La ricerca ha due modelli fondamentali, quello mission oriented e quello curiosity driven. Questi programmi seguono il primo approccio. Non a caso, è stato fatto un paragone con il progetto Apollo, che aveva come missione ben definita quella di portare un uomo sulla Luna e farlo rientrare a Terra. In questi progetti la missione è raccogliere dati per accelerare la cura delle malattie. Tuttavia la ricerca curiosity driven, spesso affidata a piccoli gruppi che operano in relativa autonomia, ha sempre portato a idee rivoluzionarie, che spesso sono arrivate in maniera imprevedibile come per esempio la scoperta dell’elettricità animale fatta da Luigi Galvani. Qualcuno ha fatto riferimento alla possibilità troppo ambiziosa che da questi dati emerga qualche barlume per capire il fenomeno mentale. Sono tra coloro che credono che la mente sia una proprietà emergente dalla complessità della materia e pertanto sono convinto che un giorno scopriremo il “trucco” con il quale un agglomerato di molecole possa generare il dolore. Ma temo che ciò non avverrà facendo imitare da un calcolatore le proprietà del nostro cervello.

Obama ha sottolineato che le ricadute in campo medico ed economico saranno molto importanti, facendo un paragone molto esplicito con il progetto genoma che, a fronte di un investimento di 3,8 miliardi di dollari, ne aveva fruttati – al 2010 – già 800.

A mano a mano che la mappa cerebrale verrà realizzata, sarà possibile confrontare i nuovi dati con quelli patologici, per capire meglio le malattie, diagnosticarle e trovare nuove strade di ricerca per eventuali terapie. L’importanza dell’aspetto economico emerge chiaramente se consideriamo che oggi fra le malattie che più preoccupano i Paesi occidentali ci sono quelle neurodegenerative, perché con l’invecchiamento della popolazione la loro incidenza è in aumento, e perché sono costosissime. Inoltre, negli ultimi anni le industrie farmaceutiche si sono ritirate da questo settore, perché gli investimenti in ricerca – che sono stati notevolissimi nel corso degli anni Novanta (quello che George Bush padre proclamò “il decennio del cervello”) – non hanno dato le ricadute economiche sperate e privati si sono spostati sulle più efficaci e redditizie terapie oncologiche. Il Brain Activity Map intende rilanciare gli studi sulle malattie neurodegenerative per arginare il loro impatto, ma anche per dare forza alle industrie farmaceutiche statunitensi, che sono in crisi. Un farmaco efficace contro il morbo di Alzheimer avrebbe infatti un valore immenso. Ma tutto dipende dalla decisione che sarà presa nei prossimi giorni. Gli NIH potrebbero subire un taglio del 5,1 per cento e molti ritengono che il Brain Activity Map potrebbe anche non partire.

 

Bibliografia 

A. Paul Alivisatos, Miyoung Chun, George M. Church, Ralph J. Greenspan, Michael L. Roukes e Rafael Yuste: The Brain Activity Map Project and the Challenge of Functional Connectomics. Neuron 74, 971-974 (2012). 


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

La COP sei tu, economia

Il presidente della COP 29 di Baku, Mukhtar Babayev, chiude i lavori con applausi più di sollievo che di entusiasmo. Per fortuna è finita. Il tradizionale tour de force che come d'abitudine è terminato in ritardo, disegna un compromesso che scontenta molti. Promette 300 miliardi di dollari all'anno per aiutare i paesi in via di sviluppo ad affrontare la transizione, rimandando al 2035 la "promessa" di 1.300 miliardi annui richiesti. Passi avanti si sono fatti sull'articolo 6 dell'Accordo di Parigi, che regola il mercato del carbonio, e sul tema della trasparenza. Quella di Baku si conferma come la COP della finanza. Che ha comunque un ruolo importante da giocare, come spiega un report di cui parla questo articolo.

La COP 29 di Baku si è chiusa un giorno in ritardo con un testo variamente criticato, soprattutto dai paesi in via di sviluppo ed emergenti che hanno poca responsabilità ma molti danni derivanti dai cambiamenti climatici in corso. Qualche decina di paesi, fra i quali le piccole isole, saranno inabitabili se non definitivamente sott’acqua se non si rimetteranno i limiti posti dall’Accordo di Parigi del 2015, cioè fermare il riscaldamento “ben sotto i 2°C, possibilmente. 1,5°C”, obiettivo possibile uscendo il più rapidamente possibile dalle fonti fossili.