Il genoma è l'insieme delle sequenze di DNA presenti in una cellula vivente. Si parla di genoma di specie, organismi, cellule: il primo è un'astrazione, come il disegno di un corpo in un atlante anatomico; il secondo dovrebbe descrivere la sequenza del DNA di ognuno di noi; il terzo indica la dotazione genetica di una nostra singola cellula. I genomi pubblicati attorno al 2000 erano sequenze "operativamente complete" dei DNA di cellule del sangue forniti da più individui, mescolati per una malintesa riservatezza e decifrati come si poteva. Insieme originano il genoma di "riferimento" di Homo sapiens. I genomi più recenti riguardano precisi individui (due famosi genomisti, Watson e Venter; e alcuni anonimi), ma rischiano d'essere ancora delle astrazioni: non sappiamo quanto le cellule analizzate rappresentino la genetica dei soggetti (abbiamo ~200 tipi di cellule diverse per forma, funzione) e la sua stabilità nello sviluppo (il ricambio delle cellule dell'embrione richiede giorni; del cervello, anni). Sarebbe più utile un'istantanea del genoma d'una singola cellula ad un determinato stadio di sviluppo: ma il DNA contenuto in una cellula è insufficiente, per cui dobbiamo usarne migliaia, sperando che siano genomicamente omogenee.
Sulla variabilità dei genomi somatici di un singolo individuo riparte così un dibattito iniziato cent'anni fa: ci si chiedeva se alla base delle differenze tra i nostri tessuti ci fossero genomi diversi oppure genomi identici usati in modi diversi. Alla fine prevalse l'identità: questa favorì il trionfo del "dogma centrale della biologia": l'informazione genetica fluisce dal DNA all'RNA e da questo alle proteine, i percorsi inversi sono proibiti, per cui il DNA, invariabile a meno di mutazioni rare e casuali, domina le transazioni cellulari. Prese così le mosse l'inquietante caccia al clone: in realtà un 1% di successi osannati come la "seconda creazione" oscuravano un 99% di fallimenti di varia natura, a volte fraudolenta. Oggi si stenta a credere che mentre i primi sono stati sbandierati a lungo come prova della stabilità dei genomi somatici rispetto allo zigote, totipotente per definizione, ancora si glissa sul monito dei secondi: la maggioranza dei genomi somatici nel corso dello sviluppo subisce riorganizzazioni strutturali sempre più estese e quindi sempre più cospicue riduzioni funzionali. L'impatto sulla clonabilità non era sfuggito agli operatori più avveduti, tra cui il Jackson Lab, gruppo leader nella produzione di animali da laboratorio: fu tra i pionieri della clonazione e tra i primi a dissociarsene. Anche la teoria dava segnali coerenti: da un lato il numero di divisioni cellulari (mitosi) richieste per il nostro sviluppo completo supera il milione di miliardi, troppi perché ne escano genomi tutti identici; dall'altro i nostri geni sono ~22.000, un terzo di quelli di un protozoo: qualcosa che arricchisca la nostra dotazione genica ci vuole e la variabilità dei genomi somatici sembra fatta apposta, come nella difesa immunitaria e in altre funzioni che ci relazionano con l'esterno (olfatto?). Intanto s'erano scoperti retrovirus, trasposoni, pseudogeni: tutti elementi a RNA che diventano DNA e s'integrano nel genoma in modo vario e casuale. La loro scoperta abrogò non solo il "dogma centrale", ma anche, in sordina, quello dell'invariabilità del genoma somatico. Il quadro è confermato da recenti analisi cromosomiche delle cellule di embrioni precoci: emerge un'alta variabilità genomica, probabile risultato di un'incessante esplorazione, per la quale la specie H. sapiens paga con l'~80% delle fecondazioni, abortite all'insaputa della madre. Ma il vantaggio nell'evoluzione e nello sviluppo potrebbe essere non meno cospicuo: ~30% dei neuroni presentano riorganizzazioni cromosomiche, dalle quali vengono selezionate le più funzionali nello sviluppo fisiopatologico e nell'evoluzione.
A tanti indizi sulla variabilità del genoma somatico aggiunge alfine concretezza il sequenziamento del DNA, ora capace di sfornare in parallelo migliaia di sequenze al giorno e di svelarne i più sottili aspetti "epigenetici". I buchi nelle sequenze che a centinaia ancora frustrano i vari Progetti Genomi forse sono conseguenza di variazioni nel numero di copie di segmenti diverse da tessuto a tessuto. Nell'uomo riguardano all'incirca un decimo del DNA e sfruttano meccanismi riconducibili alla riparazione del DNA.
Ma se davvero siamo dei mosaici genomici, urgono alcune domande. Tra i miei tanti genomi, quale mi rappresenta meglio? La sequenza che svela "chi" sono ai giudici, può anche mostrare "come" sono agli psicobiologi? Quale genoma posso clonare per recuperare quell'informazione che a suo tempo mi ha formato, ma che intanto invecchia con me? Quali cellule del mio soma riesco a far tornare staminali per rigenerarmi senza scatenare neoplasie? Forse è il caso d'estendere al DNA del nucleo cellulare quel principio che quasi un secolo fa Heisenberg applicò alle particelle elementari del nucleo atomico: per lo stesso genoma non è possibile distinguere sequenza e funzioni. Intanto, sensibilità e ambiguità di questi dati sconsigliano di metterli in rete e di venderne nei supermercati ingannevoli kit fai-da-te.
Tutte queste considerazioni giustificano l'elezione della variabilità somatica del genoma umano a "breakthrough del 2007" da parte della rivista Science e rendono impellente la messa a punto di progetti di ricerca dedicati al suo studio comparato nelle cellule somatiche vegetali, animali e umane.