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Il 2013 è stato un buon anno per la scienza del mondo. Gli investimenti globali in ricerca e sviluppo (R&S) sono infatti cresciuti, in termini reali, del 2,7%, raggiungendo la cifra record di 1.558 miliardi di dollari, secondo il 2014 Global R&D Funding Forecast pubblicato dalla rivista R&D Magazine.
Mai l’umanità aveva così tanto nella produzione di nuova conoscenza scientifica e nello sviluppo di nuove tecnologie. L’aumento in termini reali degli investimenti è analogo all’aumento del Pil (Prodotto interno lordo mondiale). E dunque il mondo, ormai, investe in R&S l’1,8% della ricchezza che produce.
Tra i continenti, l’Asia consolida la prima posizione sia in termini assoluti, con 597 miliardi di dollari investiti, sia in termini relativi. Al continente va attribuito il 38,3% della spesa mondiale, in crescita dell’1,3% rispetto al 2012. Da sottolineare che l’intensità degli investimenti in ricerca (rapporto tra R&S e Pil) dell’Asia ha ormai raggiunto l’1,9%.
La spesa è distribuita su tutto il continente, anche se emergono quattro poli principali.Nell’ordine: Cina, Giappone, Corea del Sud e India.
L’America (nord e sud) da qualche anno ha perduto il primo posto tra i continenti. Ma con 530 miliardi di investimenti, consolida il secondo posto. Anche se il suo peso a scala globale viene leggermente limato, scendendo dal 34,5% del 2012 al 34,0% del 2013. Resta prima per intensità di investimenti (2,4% rispetto al Pil), ma anche in questo caso si registra un leggero calo: la spesa in R&S rispetto al Pil era infatti del 2,5% nel 2012. Al contrario dell’Asia, nelle Americhe c’è un solo polo: gli Stati Uniti, che con 450 miliardi di investimenti rappresentano l’85% della spesa continentale.
Terzo tra i continenti, con 349 miliardi di dollari investiti, è l’Europa. Che vede decrescere in maniera ormai costante il suo peso nel mondo. La spesa europea è, ormai, pari al 22,3% di quella globale, con una sensibile riduzione rispetto al 2012 (23,1%). Anche in termini relativi (1,9% di spesa in R&S rispetto al Pil) l’Europa è stata raggiunta dall’Asia. Il fatto è che in Europa la spesa relativa tende a diminuire, mentre in Asia tende ad aumentare. Al contrario che in America, la spesa in Europa è molto distribuita. Anche se la Germania si conferma il polo di gran lunga principale. Con 82 miliardi di dollari complessivi, gli altri due continenti – Africa e Oceania – si ritagliano una quota, sostanzialmente stabile, della spesa globale in R&S, pari al 5,3%. In Oceania il paese guida è, ovviamente, l’Australia, mentre in Africa consolida la sua posizione il Sud Africa.
Il Global R&D Funding Forecast è, per l’appunto, una previsione. E la previsione per il prossimo anno vede l’Asia ancora in crescita: si ritaglierà una quota del 39,1% degli investimenti globali, mentre l’Europa è ancora in discesa e si fermerà al 21,7%. Un campanello d’allarme per il nostro continente non è solo quello degli investimenti assoluti, ma anche e soprattutto quello dell’intensità della spesa. Se le Americhe accelerano e salgono al 2,5% rispetto al Pil e l’Asia consolida il suo 1,9%, l’Europa scenderà all’1,8%. Insomma, il nostro continente lungi dall’avvicinarsi all’obiettivo di Barcellona (spesa in R&S del 3,0% sul Pil) investirà meno non solo di Amarica e Asia, ma anche della media mondiale. È da sottolineare che la Cina continuerà la sua corsa. E investirà il 2,0% del Pil in ricerca scientifica e sviluppo tecnologico. Per il secondo anno consecutivo supererà l’Europa.
Ma il 2014 Global R&D Funding Forecast registra soprattutto le difficoltà dell’Italia a tenere il passo del resto del mondo. Nel 2013 il nostro paese ha investito in R&S 22 miliardi di dollari. Il che ci colloca, ormai, al posto numero 14 nel mondo. Eravamo al posto numero 12 nel 2012. Ora siamo stati superati anche da Australia e Taiwan.
L’intensità della spesa non supera l’1,2% del Pil. E se teniamo conto che il Pil nel nostro paese è sceso del 9% negli ultimi cinque anni, significa che le risorse per la ricerca sono diminuite in percentuale analoga.
Insomma, in Italia abbiamo tagliato gli investimenti. La tendenza nel resto del mondo dimostra che questo non è il modo migliore per invertire la rotta e recuperare il terreno perduto.

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