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Scienza e coscienza delle catastrofi

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​Tilly Smith aveva 10 anni quando, il 26 dicembre 2004, andò a sdraiarsi con la madre sulla spiaggia per prendere un po’ di sole e, soprattutto, per fare un lungo bagno nel caldo mare di Phuket, in Thailandia. Non era forse venuta per questo dalla Gran Bretagna? Era già pronta per il primo tuffo, quando vide le acque ritirarsi velocemente. Capì subito e avvertì, gridando, la madre e gli altri ignari bagnanti: «Correte al riparo, sta per arrivare uno tsunami!». Le grida della bambina salvarono la vita a un centinaio di persone. Poco dopo, infatti, sulla spiaggia di Phuket arrivò un’onda alta trenta metri che spazzò via ogni cosa. ​
Tilly Smith era l’unica persona sulla spiaggia di Phuket capace di leggere i segnali premonitori della catastrofe. «La sua cognizione sull’argomento era dovuta a una recente lezione di geografia a scuola. È questo un esempio pratico di come l’educazione scolastica ai rischi riduca la dissonanza cognitiva», scrive Gordon Woo in un libro, Scienza e coscienza delle catastrofi, scritto nel 2011 e appena pubblicato in italiano dall’editore Doppiavoce di Napoli. ​

Gordon Woo, figlio di un diplomatico cinese, è un grande esperto di catastrofi e lavora a Londra per la Risk Management Solutions. È capace come pochi di tradurre il rischio nel linguaggio dei numeri. È infatti autore di un manuale, The Mathematics of Natural Catastrophes, pieno zeppo di equazioni e molto apprezzato dagli esperti. Ma ha voluto scrivere un altro libro, Calculating Catastrophe, dove le equazioni sono decisamente meno, con il proposito di uscire dalla poesia, che risulta ermetica ai più, del linguaggio della matematica e «di comunicare in prosa le idee chiave della scienza della catastrofi». ​
Ed è con lo spirito della «versione in prosa» che il libro è stato tradotto in Italia e ha assunto il titolo di Scienza e coscienza delle catastrofi per volontà di un editore napoletano, Doppiavoce, che pubblica una rivista, Ambiente rischio comunicazione, diretta dal geofisico Paolo Gasparini e dal esperto di politica dell’ambiente Ugo Leone, e che, dunque, alla «scienza e coscienza» del rischio dedica molta attenzione. 
In questa traduzione dalla poesia matematica alla prosa del linguaggio comune, con frequenti e riuscite incursioni nella letteratura e nella filosofia, Gordon Woo affronta il tema della catastrofi in tutte le sue sfaccettature. Le descrive una per una. 
Quelle naturali: dalle catastrofi di origine meteorologica (cicloni tropicali, tornando, tempeste extratropicali) a quelle geologiche (terremoti, eruzioni vulcaniche); da quelle geomorfologiche (frane, flussi di detriti) a quelle idrologiche (alluvioni, inondazioni e, appunto, tsunami), fino a quelle extraterrestri (dall’impatto di meteoriti ed asteroidi alle tempeste solari). 
Quelle sociali: da quelle di origine terroristica alle pandemie, dai grandi incidenti industriali alle grandi crisi finanziarie. E di ciascuna coglie la complessità che, quasi sempre, ci impedisce di prevederle. Di prevederle con una precisione deterministica, almeno. Ovvero con quella che, nel nostro linguaggio comune, chiamiamo “assoluta certezza”.

​La scienza delle catastrofi, sostiene Gordon Woo, deve misurarsi con il concetto di incertezza. E la gestione del rischio catastrofe deve misurarsi con le decisioni in regime di incertezza. La dimensione dell’incertezza non ci è congeniale. Anche gli esperti si dividono quando, di mezzo, c’è la probabilità. Un concetto che anche dai matematici è interpretato – scrive Gordon Woo, in un capitolo dedicato alla «misura dell’incertezza» – da almeno tre modi diversi che fanno capo ad altrettante scuole di pensiero: la frequentista, la soggettivista (una scuola questa ce deve molto all’italiano Bruno De Finetti) e la logica. ​
D’altra parte la complessità e l’ambiguità del concetto di incertezza non è congeniale neppure ai filosofi, che ne individuano almeno due tipi, quella epistemica (l’incertezza frutto della nostra ignoranza e dunque recuperabile) e quella aleatoria (frutto del caso e, dunque, intrinseca). ​Ma il succo della «versione in prosa» di Gordon Woo è che – malgrado il concetto di incertezza non ci sia congeniale, malgrado la sua intrinseca complessità e la sua intrinseca ambiguità – la “scienza del rischio” può essere solida e galileana, perché scritta, appunto, nella lingua dalla matematica, e la “coscienza del rischio” può essere acquisita da tutti, come dimostra il caso della piccola Tilly Smith. ​Nel caso della previsione, prevenzione e gestione del rischio catastrofe le due dimensioni – la scienza e la coscienza – non sono indipendenti. Non sono né separate né separabili.

​Il libro di Gordon Woo viene pubblicato, in edizione italiana, all’ombra del Vesuvio. Dove centinaia di migliaia di persone sono sottoposte al rischio di un’eruzione, appunto, catastrofica. E, dunque, l’esempio che Gordon Woo utilizza per dimostrare l’impossibilità di separare la scienza e la coscienza del rischio è particolarmente calzante. «Una camera magmatica al di sotto di un vulcano – scrive lo studioso di origine cinese – può sembrare pronta a produrre un’eruzione, ma rimangono alcune possibilità che non erutti mai, e la probabilità purtroppo non è determinabile in maniera oggettiva». C’è sempre un margine di incertezza. Che per un ricercatore attento solo alla “scienza del rischio” può non rappresentare un problema. «Nell’attività accademica di un vulcanologo – scrive infatti Woo – la stima di questa probabilità può non essere necessaria». ​
Ma nessun ricercatore può esimersi dal dato di realtà. E il dato di realtà è che «l’attività vulcanica è un pericolo naturale con implicazioni significative sulla sicurezza pubblica, e quindi la vulcanologia nelle sua applicazioni pratiche diventa anche una scienza sociale». Cosicché quella valutazione probabilistica delle eruzioni che potrebbe essere trascurata dal ricercatore accademico, per il vulcanologo sul campo «diventa un’opportuna, e forse obbligata, integrazione dell’informazione scientifica da trasmettere ai decision maker».
​Recenti fatti di cronaca italiana associati ad altrettante catastrofi di origine naturale o antropica – da Casal Monferrato a L’Aquila, da Mestre a Taranto – dimostrano che la valutazione probabilistica del rischio, al meglio delle conoscenze scientifiche disponibili, è un’opportuna e anzi obbligata integrazione dell’informazione che lo scienziato trasmette ai decision maker. ​
Ma anche e soprattutto ai cittadini tutti. Perché, come dimostra il caso della piccola Tilly Smith, la coscienza del rischio acquisita attraverso una seria e sistematica informazione è una componente decisiva nella prevenzione delle catastrofi e/o dei loro effetti.


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