Una compagnia petrolifera trivella a tutt'andare ed ecco che una faglia nelle vicinanze inizia a sparare fango: 14 morti, 40.000 sfollati, interi villaggi distrutti, piantagioni inondate. Succedeva nel 2006, sul lato orientale dell'isola di Giava. La fuoriuscita di fango non si è più fermata, ma la correlazione tra gli scavi dell'azienda e il disastro è ancora in discussione: uno studio appena pubblicato su Nature Geoscience conferma la tesi da sempre sostenuta dalla ditta, la Lapindo Brantas, ovvero che la tragedia sia dovuta in realtà a un terremoto avvenuto a Giacarta due giorni prima dell'inizio del cataclisma.
A sette anni di distanza, dell'eruzione non si vede la fine, e c'è chi sostiene che possa continuare per decenni. Getti di melma bollente schizzano ogni 30 secondi da un cratere largo 100 metri. L'area inondata è ormai di 7 km^2 e si parla di 10.000 metri cubi di fango al giorno, provenienti da uno strato di argilla che si trova a 1 km di profondità. Il vulcano - battezzato Lusi, dalla crasi tra la parola lumpur, che in indonesiano significa fango, e il nome della regione in cui si trova, Sidoarjo – continua a provocare danni immensi in termini economici e sociali. Dal 2008 in poi si è tentato di arginare le masse di fango costruendo dighe, che però spesso non reggono la pressione e cedono. E il fatto che le responsabilità non siano ancora del tutto chiarite, denuncia la ONG australiana Humanitus Sidoarjo, impegnata nel recupero sociale delle aree colpite, non fa che rallentare gli interventi di assistenza internazionale.
La querelle scientifica
La ricerca appena apparsa su Nature Geoscience, che porta, tra le altre, la firma di Stephen A. Miller, professore di geofisica e geodinamica all'Università di Bonn, è stata finanziata dalla Humanitus Sidoarjo, ed è l'ultima di una lunga serie di studi che indagano le cause dell'eruzione del Lusi. Anche la Lapindo Brantas ha reso pubblico il proprio report scientifico dettagliato. Dal 2006 in poi si alternano i risultati di due filoni: quelli che attribuiscono la responsabilità del disastro all'azienda, e quelli secondo cui l'eruzione sarebbe stata causata dal terremoto. L'ultimo paper spiega come il sisma sia stato amplificato dalla forma curva di uno strato di roccia che avrebbe agito come una lente, facendo liquefare il fango. In base a questa ricostruzione, quindi, la Lapindo Brantas non c'entra.
Una versione che sarà difficilmente condivisa da Richard Davies, geologo all'università di Durham e coautore di uno studio del 2008 che difende la tesi degli scavi indiscriminati. Davies è anche protagonista di un botta e risposta a suon di paper scientifici, pubblicati dalla rivista Marine and Petroleum Geology, con il consulente della Lapindo Brantas Nurrochmat Sawolo. Il terremoto, secondo Davies, era davvero troppo lontano (280 km) per provocare il disastro.
Nell'ottobre 2008, l'American Association of Petroleum Geologists organizzò una conferenza a Cape Town per chiarire la dinamica dell'incidente. In quell'occasione, Davies presentò prove a carico dell'azienda riguardanti le condizioni del pozzo petrolifero nelle ore che precedettero l'eruzione. Era la prima volta che la comunità dei geologi incontrava i rappresentanti della Lapindo Brantas, e lo stesso Davies dichiarò che l'atteggiamento dell'azienda, che si era dimostrata disponibile e aperta al confronto, era stato molto apprezzato da tutti i partecipanti. Ma questo non fu sufficiente a lenire la tensione che accompagnò il voto finale del convegno. Dopo il dibattito infatti i 74 congressisti furono invitati a votare per stabilire se la colpa dell'eruzione fosse o meno da attribuire alla Lapindo Brantas. Il risultato fu molto chiaro: 42 di loro erano convinti che la responsabilità fosse della compagnia petrolifera, solo 3 incolparono il terremoto, e gli altri si divisero tra chi pensava che i due fenomeni avessero entrambi contribuito al disastro e chi trovava che i dati non fossero sufficienti a trarre conclusioni definitive.
Insomma, finora la versione più accreditata dal mondo scientifico era che il terremoto avesse un ruolo di secondo piano, e che la causa del disastro fossero le inadempienze della Lapindo Brantas; in particolare, la mancanza di intercapedini in punti in cui sarebbero stati necessari. Il nuovo studio giunge alla conclusione opposta grazie a una serie di simulazioni che riproducono gli effetti del sisma sul suolo di Sidoarjo. Ma il terremoto di Giacarta del 2006 non è stato il primo, né il più forte: perché allora i terremoti precedenti non avevano causato alcun danno? Miller ha una risposta anche a questo: “I terremoti più forti – quello del 2004, di magnitudo 9.2, e quello del 2005, di magnitudo 8.6, entrambi avvenuti a Sumatra – erano molto più lontani.” Ciò non toglie che il modo in cui la Lapindo Brantas ha trivellato il suolo fosse comunque pericoloso. “Senza il terremoto di Giacarta, probabilmente se la sarebbero cavata”, osserva Miller. “Ma il terremoto c'è stato, e il loro pozzo ha pagato le conseguenze della risposta dello strato di fango al terremoto.”
La vicenda legale
Nel 2009 la Corte Suprema Indonesiana ha stabilito che non ci fossero gli estremi per condannare la Lapindo Brantas, e l'inchiesta a carico di 13 dei suoi funzionari è stata archiviata per mancanza di prove. Ma il governo – di cui tra l'altro faceva parte come ministro del welfare Aburizal Bakrie, miliardario indonesiano e azionista di maggioranza della Lapindo Brantas - ha comunque intimato alla compagnia di coprire i danni del disastro per un totale di 420 milioni di dollari. Il denaro è arrivato solo in parte a destinazione, e i portavoce dell'azienda denunciano problemi burocratici: i residenti non sarebbero in grado di dimostrare la proprietà dei fabbricati che sono andati distrutti. Senza contare, aggiungono i rappresentanti dell'azienda, che la Lapindo Brantas si è già fatta carico di una spesa umanitaria molto ingente (l'impegno economico dell'azienda è riportato in dettaglio nella relazione della Humanitus Sidoarjo sull'impatto sociale dell'eruzione) pur senza che le responsabilità del disastro siano stata effettivamente chiarite. Non la pensa così la popolazione locale, presso cui la compagnia petrolifera gode di una pessima fama. C'è da chiedersi se i risultati del nuovo studio cambieranno lo scenario.