Negli ultimi anni tale cooperazione è finalmente uscita allo scoperto determinando lo sviluppo del concetto di Bio-arte; si tratta di arte che è viva, dalle piante passando attraverso funghi, microorganismi e Dna, tutto ciò che è vivente e che simula la vita entra a far parte della produzione artistica.
La Bio-arte rappresenta un campo di esplorazione interdisciplinare il cui scopo è quello di ridurre la distanza tra scienza, intesa come l’estremo della razionalizzazione, e la rappresentazione artistica volta invece a innescare delle profonde reazioni emotive.
Stimolando i sensi, come la vista, l’udito e il tatto, scienziati e artisti lavorano a stretto contatto per identificare nuovi approcci che possano presentare e rendere più comprensibile la biologia a un pubblico vasto di non-esperti.
La Bio-arte però non si limita a questo, infatti, oltre allo scopo educativo, e spesso provocatorio, si pone degli obiettivi ancora più ambiziosi: cambiare il punto di vista, stuzzicare l’immaginazione per indurre un approccio euristico che possa ispirare un’analisi alternativa dei dati scientifici rinforzando il ruolo della serendipità.
La serendipità, il fare una scoperta quando le ricerche non sono orientate in quella direzione, è un elemento fondamentale della scienza che si basa sia sull’osservazione, sull’applicazione rigorosa del metodo, ma anche sull’intuizione, la capacità di saper guardare oltre, l’immaginazione.
Partendo da questo presupposto lo Smart Collective (Science meet art collective) ha iniziato un percorso di indagine e produzione artistica avvalendosi della cooperazione di biotecnologi, ingegneri, musicisti e designer.
Oggigiorno tutto quello che è intangibile risulta essere non credibile, imprevedibile e irreale. In questo scenario lo Smart Collective mira a oltrepassare i confini dell’invisibile e, stimolando i sensi, cerca di offrire una nuova percezione della realtà. Coinvolgente, comprensibile e accettabile.
Il collettivo si è dedicato per diversi anni alla Nano-arte, una forma di espressione che sfrutta sofisticate metodologie e strumentazioni, normalmente relegate al mondo della ricerca, per giocare sul paradosso di esporre artefatti inaccessibili all'occhio umano, visibili solo tramite l’uso di microscopi, ma non per questo inesistenti o irreali.
Attualmente vi è una nuova e ambiziosa sfida con la quale confrontarsi: rappresentare la biologia e la sua complessità attraverso la musica, applicare il processo di sonificazione, la trasformazione delle informazioni in suono, per comunicare e facilitare l’interpretazione di dati scientifici.
Il progetto riprende l’esperienza dei precedenti esperimenti sviluppati a partire dalla prima metà degli anni ’80 che già avevano riconosciuto una forte analogia tra il linguaggio biologico (il genoma) e il linguaggio musicale. Numerosi sono stati i tentativi di declinare le regole per la traduzione in musica delle sequenze lineari di biomolecole, Dna e proteine.
L’innovazione del collettivo segna una svolta rispetto agli approcci precedenti, infatti, si vuole utilizzare la musica per rappresentare le biomolecole nella loro tridimensionalità considerandone il rapporto con l’ambiente circostante. Le proteine svolgono innumerevoli compiti all’interno delle cellule ma la loro funzionalità è strettamente dipendente dalla conformazione tridimensionale, cioè dal corretto ripiegamento della sequenza aminoacidica nella struttura terziaria e dall’interazione con le altre molecole nello spazio (qui il video).
Come già osservava Douglas Hofstadter nel suo libro ‘Godel, Escher, Bach: un’eterna ghirlanda brillante’: “La musica non è una semplice sequenza lineare di note. La nostra mente percepisce la musica a un livello ben più alto di questo. Noi aggreghiamo note in frasi, frasi in melodie, melodie in movimenti e movimenti in intere composizioni. Analogamente le proteine sono significative solo quando agiscono come unità globali. Sebbene la struttura primaria porti tutta l’informazione affinchè venga creata la struttura terziaria, purtuttavia a noi dà l’impressione di pesare di meno, perché la sua potenzialità si realizza interamente solo quando la struttura terziaria è effettivamente e fisicamente realizzata”.
Volendo considerare la cellula una orchestra e i processi vitali che avvengono al suo interno come i movimenti sinfonici che l’orchestra interpreta, si è attribuito non solo alla sequenza proteica di aminoacidi una corrispodente sequenza lineare di note ma, attraverso l’analisi delle relazioni spaziali, si è determinata l’armonia, la melodia e il ritmo delle composizione. È come immaginarsi di correre lungo una proteina ripiegata nello spazio, sentire l’ambiente circostante nella sua rappresentazione sonora, rallentare in funzione delle curve e degli ostacoli per poi accelerare nei rettilinei e nei punti dove la ripidità aumenta.
Molto più efficace di migliaia di numeri inseriti in un foglio di calcolo, la rappresentazione musicale permette di percepire similitudini, differenze e stonature creando una visione d’insieme di quelle che sono le molecole alla base della vita nei microrganismi unicellulari come nell’uomo.
Non si tratta semplicemente di un esperimento stilistico con finalità di intrattenimento ma dello sviluppo di un nuovo approccio capace di incuriosire il pubblico e avvicinarlo alla comprensione di materie come la genomica e la proteomica che attualmente costituiscono le basi per lo sviluppo della medicina personalizzata e che in futuro influenzeranno le nostre abitudini e i nostri stili di vita.
Valentina Margaria
ricercatore presso LIT di Torino