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Tubercolosi: è ora di cambiare

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In una scuola elementare del centro di Milano è riapparsa la tubercolosi. Un bambino su cinque circa è risultato positivo al test contro la TB, come la chiamano per brevità gli esperti, e il numero complessivo di casi positivi è stato di 177 su 944 o il 17% della popolazione scolastica. Visto che il mal sottile era ormai considerato un morbo vintage, la sua ricomparsa ha impensierito non poco i milanesi.

Che cosa vogliono dire questi numeri? Proviamo a fare un po’ di chiarezza, cominciando dal significato del test. Se la malattia è antica, neppure il test è recentissimo. Figlio della vecchia tubercolina, il Mantoux è un esame in grado di rilevare soltanto la presenza o l’assenza di anticorpi anti-TB. In pratica un test che risulta positivo dimostra che il sistema immunitario ha incontrato il Mycobacterium tuberculosis, il bacillo responsabile dell’infezione, ma l’incontro potrebbe essere avvenuto anche anni prima o essere stato causato dal batterio, indebolito e innocuo, presente nel vaccino BCG. Oppure potrebbe essere dovuto alla presenza di anticorpi effettivamente impegnati a combattere la malattia attiva e infettiva. Il test da solo non è in grado di discriminare fra queste tre possibilità.

Nel mondo una persona su tre ha incontrato il bacillo, e dunque circa 2 miliardi di persone potrebbero risultare positive al test se venissero esaminate. Sempre nel mondo, circa 100 milioni di bambini sono vaccinati ogni anno nei paesi dove la TB è endemica; il vaccino BCG è il più utilizzato al mondo ed è in uso da circa 80 anni. Tutti gli individui vaccinati potrebbero risultare positivi al test se venissero analizzati (perché da noi non si usa questo vaccino? Il vaccino BCG protegge soltanto da una forma cerebrale, infantile, che da noi non è diffusa, mentre non evita la forma più frequente, polmonare; sostanzialmente per questo motivo non fa parte delle vaccinazioni raccomandate dal Sistema sanitario nazionale).

Le persone che effettivamente si ammalano di TB sono relativamente poche rispetto a quante vengono a contatto con il batterio. Ogni 100 individui infetti, non più di 10 in genere contraggono la TB; gli altri 90 si difendono efficacemente, costruendo attorno al batterio una sorta di trincea. Lo sbarramento di cellule e molecole è il miglior patto di non aggressione che il sistema immunitario è in grado di fare con un batterio assai coriaceo. Un attacco più aggressivo danneggerebbe irrimediabilmente i tessuti infetti, mentre una difesa più debole darebbe il via libera alla malattia. Il batterio blindato dal sistema immunitario dà la cosiddetta forma latente di TB, non infettiva e sostanzialmente innocua, almeno fino a quando il sistema immunitario è in grado di reggere l’assedio. Nel 90% dei casi la latenza dura per l’intera esistenza di un individuo.

I casi di TB nel mondo sono in aumento. La stima delle persone ammalate e infettive sul pianeta è di circa 14 milioni, con quasi 10 milioni di nuovi casi nel 2009, il più alto numero mai registrato, e 1,7 milioni di morti stimate nello stesso anno dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Le ragioni della crescita del contagio sono essenzialmente tre. I grandi flussi migratori dalle campagne alle megalopoli dei paesi poveri porta molta gente a vivere in condizioni igieniche precarie e in ambienti sovraffollati, dove il batterio trova condizioni favorevoli alla diffusione. L’epidemia di AIDS in Asia, in Africa e nell’ex blocco sovietico compromette il sistema immunitario e dunque apre la porta a molte altre malattie infettive, TB per prima. Le resistenze multiple agli antibiotici, anch’esse in aumento, rendono le terapie anti-TB inefficaci in circa il 3,5% dei casi.

La povertà non è un patrimonio esclusivo del Sud del mondo. Ogni media, grande città dei paesi ricchi ha zone di forte migrazione dai paesi dove la TB è endemica. Sono sacche di miseria estrema, dove la tubercolosi risulta particolarmente diffusa. A Londra la TB è aumentata del 50% negli ultimi 10 anni e i casi diagnosticati ogni anno sono circa 9000. Le città italiane sono snodi di scambi più modesti rispetto alla capitale del Regno Unito, ma i 4000 stimati ogni anno in Italia non sono pochi e gli esperti è da tempo che lanciano l’allarme, senza che le autorità sanitarie li abbiano finora ascoltati (leggete a questo proposito l’intervista a Luigi Codecasa, responsabile del Centro di riferimento nazionale Villa Marelli, a Milano). Chissà che l’infezione registrata in una scuola molto ben frequentata non dia una sveglia al Ministero della Salute, all’Istituto Superiore di Sanità, ai governatori regionali!

La tubercolosi si cura (e questo fatto dovrebbe tranquillizzare chi si allarma troppo). La terapia standard è un cocktail di antibiotici che deve essere assunto per 6-9 mesi, previa verifica che i batteri siano sensibili ai farmaci. Una terapia pesante, che va prescritta soltanto a chi è effettivamente malato e non alla maggioranza dei casi di TB latente o di persone semplicemente vaccinate. Il problema è che distinguere fra queste tre possibilità impone approfondimenti (radiografie e altri esami) che richiedono spesso settimane.

Un’analisi molecolare è oggi in grado di stabilire in 90 minuti i casi di TB attivi e infettivi con un’accuratezza del 98%, e di stabilire fin dal principio la terapia più adeguata. Si tratta di una Real-Time PCR, un metodo di routine nella ricerca biologica, che è già entrato in clinica, seppure in ambito solo ospedaliero e non su larga scala. L’esame è molto semplice e non invasivo: la persona che dev’essere esaminata sputa un po’ di saliva in un piccolo contenitore; il contenitore è inserito in una macchina computerizzata che in meno di 2 ore dà un risultato certo: se c’è o meno una malattia attiva e infettiva in atto e se il batterio che causa la malattia è sensibile o resistente agli antibiotici. L’esame è più specifico rispetto alla tubercolina perché dà la caccia al DNA del bacillo stesso: un segno più diretto di infezione rispetto agli anticorpi, che sono il marcatore della reazione del nostro organismo all’incontro con il batterio. Gli anticorpi sono un’indicazione imprecisa poiché possono persistere anche anni dall’incontro con il batterio, mentre il DNA del bacillo è presente in quantità significative soltanto se l’infezione è in corso e la malattia è attiva.

L’esame sperimentale ha costi più alti del vecchio test. Questa è la classica obiezione degli operatori sanitari ed è giusta, ma a volte è anche una scusa per non abbracciare il nuovo che è sempre più faticoso e dirompente della routine. Per capire qual è la strada giusta da intraprendere dobbiamo farci qualche domanda. Per esempio, quanto costa alla società un test che fallisce in 9 casi su 10 e dunque richiede ulteriori, lenti accertamenti? Per la cronaca i casi di infezione conclamata nella scuola milanese sono solo 15 su 177 positivi e sono occorse settimane per arrivare a questa conclusione. Pensate all’allarme di 177 famiglie, del tutto evitabile se non in 15 casi. E pensate anche a quante infezioni si potrebbero evitare usando fin dal principio un metodo capace di fare una diagnosi conclusiva e certa in 90 minuti anziché in settimane o mesi. Sì, perché nell’attesa di una diagnosi certa e dell’inizio delle terapie, il contagio non si ferma.

Se il metodo sperimentale diventasse routine i costi scenderebbero e ci sarebbe un guadagno netto per tutti. Questo il senso di un recente editoriale del New England Journal of Medicine, che considera lo sviluppo di questo test “la migliore opportunità per fermare l’epidemia di tubercolosi”. Contro la TB ci sono anche parecchi nuovi farmaci e vaccini in via di sviluppo. Alcuni sono promettenti, ma non c’è da contarci troppo perché il bacillo della tubercolosi possiede un’infinità di trucchi e stratagemmi per sfuggire alle misure di controllo, naturali e artificiali, ideate dagli esseri umani. Ecco perché un sistema rapido ed efficace di diagnosi precoce è fondamentale a interrompere l’epidemia globale che ogni anno fa registrare più casi rispetto al precedente.

Contro la tubercolosi non ci sono mai stati tanti finanziamenti e tanta ricerca. Da malattia fuori moda, la TB è oggi un obiettivo di salute pubblica di primaria importanza proprio a causa della sua rinnovata diffusione, provocata dai viaggi del mondo globale, dalla concomitante epidemia di AIDS e dalla resistenza agli antibiotici. I finanziamenti saranno pure al terzo posto, dietro a quelli per AIDS e malaria, ma sono comunque notevoli rispetto al nulla del secolo scorso. E lasciano poche scuse a chi ha voglia di sperimentare l’innovazione. Per questo dobbiamo ringraziare la Fondazione Gates, l’OMS, la STOP TB Partnership e le molteplici iniziative che stanno cercando di fare la differenza. Ma tutti devono fare la propria parte. Lo dice Nature: Nessuna innovazione contro la tubercolosi “avrà un impatto significativo se non sarà accompagnata da un adeguato sostegno dei sistemi sanitari”. E se l’accesso a queste innovazioni “non sarà assicurato ai pazienti che ne hanno più bisogno, nei paesi poveri”.

Per scrivere questo post ho consultato:
Peter M et al. Tuberculosis Diagnosis — Time for a Game Change. N Engl J Med 2010; 363: 1070.
Anil Koul A. et al. The challenge of new drug discovery for tuberculosis. Nature 2011; 469: 483.
WHO Tuberculosis Fact sheet N°104. November 2010
TB rises in UK and London. NHS Choices
Specter M. A Deadly Misdiagnosis. Is it possible to save the millions of people who die from TB? The New Yorker, November 15, 2010
Una nuova ondata. Intervista al Dott. Luigi Codecasa di Nadia Galliano
Stop TB Italia Onlus

(pubblicato su Aule di Scienze)


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