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I vantaggi dell'agricoltura tradizionale

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Il messaggio è sempre più forte e chiaro: la cosiddetta agricoltura tradizionale permette di preservare l’ambiente favorendo la sopravvivenza dell’agricoltore locale. Tra le diverse testimonianze sparse nel mondo particolarmente significativa è l’azione di alcune associazioni boliviane, tra cui l’AOPEB (Asociación de Organizaciones de Productores Ecológicos de Bolivia), volte a sostenere il sistema agroforestale (SAF), una tecnica multistrato ad alta densità di specie per parcella, in alcuni casi fino 60 e più. Il SAF inizia a diffondersi a metà degli anni 90 nella regione Alto Beni in Bolivia, dove la monocoltura e la meccanizzazione di terreni fragili e pendenti, insieme alle forti precipitazioni, avevano contribuito all’impoverimento del suolo e si basavano sulla successione naturale delle specie al fine di preservare il suolo limitandone l’erosione. È una forma di produzione agricola e forestale congiunta, che cerca di imitare la struttura, la composizione e la dinamica dei boschi naturali, combinando specie forestali, piante da frutto e da legname, palme, piante medicinali, oltre a riso, mais, banano, cacao e caffé.

Successione naturale

“Per comprendere la successione naturale delle specie è utile osservare l’evolversi dello spazio aperto che si crea all’interno del bosco”, afferma Adolfo Flavio Valdez Laguna, responsabile dello sviluppo dei mercati di AOPEB. Per esempio quando in un bosco cade un albero l’area lasciata vuota viene subito ricoperta da piante ad accrescimento rapido che si troveranno accanto a specie con un ciclo di vita più lungo. Un altro esempio; quando una risaia coltivata dall’uomo viene abbandonata il terreno viene occupato da diverse piante che si succedono nel tempo fino a formare un bosco primario. La successione è sinonimo di aumento di qualità, quantità e abbondanza di attività biologica. Ciascuna pianta, che è parte della successione, crea le condizioni per lo sviluppo di specie maggiormente esigenti e caratterizzate da un ciclo vitale differente. Quando un terreno impoverito viene abbandonato la natura in pochi anni è in grado di recuperare la fertilità perduta. Questo perché si sviluppano molteplici specie vegetali, pioniere, secondarie e primarie, la densità è alta e il suolo è sempre ricoperto di materia organica. Inoltre nel suolo sottostante si osserva un’intensa attività dei microorganismi e le radici occupano tutti gli spazi fino in profondità.

Come è possibile mantenere il bosco e nello stesso tempo coltivare? Il bosco svolge molteplici funzioni in grado di preservare l’ambiente: arricchisce il terreno di nutrienti depositando rami e foglie, libera l’acqua nell’ambiente attraverso la traspirazione e la trattiene nel suolo con le radici, sequestra il carbonio dall’atmosfera e lo fissa attraverso la fotosintesi, assorbe le radiazioni solari limitando l’aumento di temperatura nel suolo e nell’ambiente, è una barriera naturale contro il vento, riduce la perdita di nutrienti per lisciviazione, ricicla in modo costante la materia organica assicurando la fertilità del suolo, mantiene e migliora le proprietà del suolo come umidità e struttura, limita erosione eolica e idrica, è habitat di molte specie della flora e della fauna, protegge le piante da malattie e parassiti. Da qui l’idea di un agricoltura multistrato in cui vengono associate le coltivazioni di riso, mais, cacao e caffé a specie arboree da potatura, palme ecc. Il risultato è un sistema agroforestale compatibile con l’ambiente, in grado di trarre beneficio dalla combinazione delle piante presenti nella parcella. Nella preparazione di quest’ultime vengono considerate inizialmente le specie vegetali che dovranno accompagnare le coltivazioni principali (mais, riso, caffé ecc.). “Spesso viene seminata la “Canavalia”, pianta in grado di limitare lo sviluppo di more selvatiche e altre infestanti, può essere raccolta per l’alimentazione e utilizzata come un qualsiasi fagiolo; permane nella parcella i primi 5-8 mesi ”, racconta Mary Carmen De La Cruz, segretaria generale di AOPEB e produttrice di caffé biologico (www.NAKHAKI.ORG). Altre piante arboree e arbustive locali, come l’Achiote e il Pacay, sono invece scelte perché caratterizzate da un ciclo più lungo, mantengono coperto il suolo e sono in grado di apportare materia organica al terreno mediante la potatura. Attraverso le parcelle forestali gli agricoltori locali ottengono prodotti abbondanti e diversificati tutto l’anno sia per consumo personale sia per il commercio.

agricoltura multistrato
Figura 1: esempio di parcella multistrato: partendo da sinistra: ananas; piante da frutto o palme; Xanthosoma sagittifolium; sullo stesso filare alternati agrumi, papaya, canna da zucchero, banano e caffé; e ancora Xanthosoma sagittifolium, ananas ecc. (“Sistemas Agroforestales” , Herbert R.Wilkes).

Riso e pesci

Un lavoro, recentemente pubblicato su Proceedings of the National Academy of Science (articolo, anno 2011), dimostra che una tecnica dell’agricoltura tradizionale cinese in cui riso e pesce sono prodotti fianco a fianco potrebbe aiutare gli agricoltori a guadagnare di più e ridurrebbe l’impatto ambientale. I ricercatori cinesi hanno condotto la sperimentazione per sei anni consecutivi dimostrando che l’aggiunta di pesci alle risaie sommerse permette di mantenere la stessa produttività delle risaia monocoltura utilizzando però meno pesticidi e fertilizzanti. “Questo risultato è particolarmente interessante in quelle zone agricole in cui la disponibilità di acqua non è sufficiente per coltivare riso e nello stesso tempo allevare pesci”, afferma Xin Chen ricercatrice a capo del lavoro. Da una parte la carpa indigena introdotta nelle risaie limita lo sviluppo di infestanti e di insetti dannosi e dall’altra la pianta ombreggiando mantiene la temperatura dell’acqua fresca anche nei mesi più caldi, creando un ambiente adatto alla vita dei pesci. Particolarmente utile è il controllo degli insetti appartenenti all’ordine degli Emitteri o Rincoti che sono in grado di devastare interi campi di riso. L’anno passato hanno causato in Thailandia una perdita pari al 4% del raccolto totale. Paul Kiepe, rappresentante del Centro di Riso per l’Africa ritiene che questo approccio possa rappresentare una fonte di proteine per la popolazione africana che ritiene però ancora non preparata tecnicamente.


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