L'alimentazione ha da sempre ricoperto un ruolo fondamentale nella vita dell'uomo: negli ultimi vent'anni, tuttavia, ha cominciato a svilupparsi una nuova concezione del rapporto con il cibo. A partire dal biologico negli anni '90, passando per il vertiginoso aumento di vegetariani e vegani, sempre più persone cambiano le loro abitudini alimentari con l'obiettivo di rendere sostenibile il loro stile di vita. Il cibo non viene più visto solo come fonte di sostentamento ma come parte integrante di un sistema complesso in cui coesistono natura ed economia.
“Dimmi quel
che mangi e ti dirò chi sei” scriveva nel 1825 il gastronomo e pensatore
francese Jean Anthelme Brillat-Savarin nel suo libro “La fisiologia del
gusto”. Sebbene siano trascorsi quasi due secoli questa idea è attuale come
non mai. Negli ultimi
vent'anni stiamo assistendo a un fenomeno interessante che coinvolge la gran
parte dei paesi industrializzati: la diffusione di una cultura della
consapevolezza alimentare. Una percentuale sempre crescente della popolazione
vuole essere informata su ciò che mangia, su come questo sia stato prodotto e
su quali siano le sue caratteristiche nutrizionali. Il desiderio che guida
queste persone è quello di non essere più consumatori passivi per diventare,
invece, protagonisti attivi delle loro scelte. Questo modo
di approcciarsi all'alimentazione si rispecchia nel crescente numero di persone
che per motivi diversi scelgono di cambiare il loro rapporto col cibo:
vegetariani, vegani, sostenitori del chilometro zero...
Le ragioni
che spingono questi gruppi a intraprendere nuove strade alimentari possono
essere diverse: sensibilità animalista, motivi etici o di sostenibilità
ambientale. L'obiettivo che ci proponiamo è quello di analizzare proprio
l'ultimo degli aspetti elencati, cercando di capire in che modo la scelta di
“mangiare” in maniera diversa possa incidere favorevolmente sul futuro del
pianeta. Ci sono motivazioni scientifiche che giustifichino il comportamento di
questi gruppi sociali e la loro eventuale militanza nei vari Stati?
Tra le varie
correnti ci sono profonde differenze nell'approccio alla questione ambientale.
I sostenitori
del chilometro zero difendono la diffusione di un'alimentazione che si basi su
prodotti di stagione e locali, non importati da altri Stati o Continenti. La
loro scelta è guidata dalla convinzione che in questo modo si possa risparmiare
molta dell'anidride carbonica (CO2) prodotta dal sistema di
trasporti coinvolto nella distribuzione delle merci. I produttori coinvolti
nella filiera corta, altro nome con cui ci si riferisce alla produzione a
chilometro zero, utilizzano il metodo delle
miglia alimentari,
cioè usano come unità di misura le miglia che separano il luogo di
produzione del prodotto dal luogo di vendita. Coloro che difendono l'aspetto di
sostenibilità del chilometro zero (oltre a quello di riscoperta delle colture e
produzioni locali) si basano sull'idea che un prodotto proveniente da lontano
consuma più energia (e quindi inquina di più) rispetto a un altro confezionato
o cresciuto nelle zone limitrofe. Una ricerca del DEFRA (Department for Environment Food and Rural Affairs, il Ministero
dell'Ambiente e dell'Agricoltura Britannico) è giunta alla conclusione che un
indicatore basato solo sullo spazio percorso non può essere una misura
attendibile dell’impatto ambientale totale. Il motivo principale è che il 48%
del chilometraggio percorso non è imputabile al produttore bensì al compratore;
risulta quindi più efficiente comprare in un supermercato di grande
distribuzione rispetto a compiere l'acquisto nei piccoli negozi. La scelta di
consumare alimenti a filiera corta può avere basi etiche valide, ma dal punto
di vista della sostenibilità ambientale è attaccabile a livello scientifico.
Oltre alla ricerca condotta dal DEPRA, anche alcune Università (University
of Giessen, Lincoln University) hanno mostrato come non sempre un
cibo prodotto a livello locale consumi meno energia di uno importato.
Considerando alcuni casi specifici, sia per alimenti di origine animale che per
alimenti di origine vegetale, queste Università hanno mostrato che la
correlazione meno chilometri/meno energia non ha basi solide; vi sono casi in
cui a livello energetico è più efficiente trasportare un bene da zone lontane.
Questo è vero, per esempio, per alcuni paesi dell'Europa Settentrionale dove la
produzione di verdura e frutta richiede spesso di ricorrere all'uso delle serre
per periodi di tempo prolungati.
Per queste ragioni un'alimentazione che prediliga prodotti locali non può essere vista come una soluzione efficace per ridurre l'inquinamento. I motivi per mangiare a chilometro zero possono essere molti, ma la giustificazione ambientale non è sufficiente. L'altro consistente gruppo di “militanti alimentari” è quello composto da vegetariani e vegani. Una persona viene definita vegetariana quando sceglie volontariamente di eliminare dalla propria alimentazione carne e pesce. Un vegano, oltre a essere vegetariano, decide di rinunciare anche all'uso degli alimenti di origine animale (come uova e latticini). Oltre alle motivazioni etiche (scegliere di non cibarsi di altri animali perché gli si riconoscono gli stessi diritti attribuiti all'uomo), animal-friendly (forte amore per gli animali), questo gruppo di persone fa spesso riferimento a ragioni di tipo ambientale per cui evitare di mangiare la carne animale. Esistono degli studi scientifici che quantifichino l'effetto che gli allevamenti e il consumo di carne hanno sull'ambiente?
Nel 2006 viene presentato il rapporto “Livestock's long shadow – environmental issues and options” delle Nazioni Unite a cura della FAO (Food and Agriculture Organization) che si pone come obiettivo di valutare l'impatto degli allevamenti sui cambiamenti climatici, sull'inquinamento di aria, acqua e suolo e sulla biodiversità. Il risultato ottenuto tramite questa analisi è significativo: oltre il 18% delle emissioni di gas serra sarebbe imputabile agli allevamenti di bestiame. Il valore calcolato risulta interessante anche se non paragonato agli altri valori riscontrati, ma fa riflettere maggiormente se relazionato a quello trovato per i mezzi di trasporto, pari al 13%. L'esito di questa ricerca è stato a lungo criticato, soprattutto da un punto di vista metodologico; dallo studio emerge che gli animali alimentati tramite erba producono meno emissioni di metano rispetto a quelli alimentati a frumento e soia. Ma questo risultato contraddice uno studio apparso sul Journal of Animal Science: le emissioni di metano prodotte dalle mandrie fatte pascolare, da quanto emerge in questo articolo, sarebbero quadruple rispetto a quelle delle mandrie alimentate con frumento e soia. I produttori di carne hanno contestato a lungo le conclusioni a cui giunge il documento, ritenendo che il calcolo effettuato non possa essere considerato del tutto attendibile.
Per quanto il rapporto della FAO rimanga sotto vari aspetti non definitivo, esso ha evidenziato il ruolo determinante che gli allevamenti hanno sull'inquinamento; per quanto scettici sull'indagine, i produttori di carne non hanno potuto contestare che le emissioni prodotte dai capi di bestiame, in particolare dai bovini, contribuiscano in maniera consistente all'aumento dell'effetto serra. L'IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), organo delle Nazioni Unite che si occupa dello studio dei cambiamenti climatici, ha spesso evidenziato come i dati emersi dal Livestock's Long Shadow impongano una riflessione sul consumo di carne e prodotti animali nel mondo. Come spesso viene fatto presente dai gruppi di vegetariani, se tutta la popolazione mondiale consumasse lo stesso quantitativo di carne di alcuni paesi industrializzati (in particolare Stati Uniti e Belgio), gli effetti sull'ambiente potrebbero essere irreparabili. Altri aspetti che emergono dal report FAO a cui spesso si riferiscono i vegetariani e i vegani quando difendono la loro scelta alimentare sono i seguenti: l'uso di acqua e di terra per l'allevamento del bestiame. Viene spesso messa in discussione la scelta degli allevatori di alimentare i capi non con il foraggio bensì con soia e frumento, cereali che potrebbero essere utilizzati come cibo per l'uomo. Mentre l'erba contiene cellulosa, sostanza che l'essere umano non è in grado di digerire, questi cereali potrebbero rappresentare un alimento dalle buone caratteristiche nutrizionali per un'ampia fetta di popolazione. Si assiste a un fenomeno che alcuni definiscono eticamente non accettabile: la terra viene coltivata per nutrire gli animali e non gli uomini. I vegetariani criticano, inoltre, il fatto che per produrre una porzione di carne siano necessarie nove porzioni di cereali oltre a un quantitativo molto ingente di risorse idriche.
In un pianeta in cui il problema della denutrizione e della mancanza d'acqua è diventato centrale nelle dinamiche politiche degli Stati, una percentuale crescente di popolazione si chiede se sia giusto sacrificare terreni fertili e acqua solo per il mantenimento di un regime alimentare in cui la carne ha un ruolo centrale. Il numero di vegetariani è in aumento in tutto il mondo; per esempio in Italia a partire dal 2000 le persone che hanno scelto di rinunciare alla carne sono passate da un milione e mezzo a dodici milioni. In alcuni Paesi il fenomeno sta conoscendo una diffusione rapida anche grazie all'azione politica: esemplare è il caso dei Paesi Bassi, dove a partire dal 2006 alcuni membri del Partij voor de Dieren (Partito degli animali) siedono nel Parlamento. I rappresentanti di questo movimento politico stanno cercando di sensibilizzare la popolazione olandese (ed europea) sul trattamento riservato agli animali all'interno degli allevamenti intensivi e sugli effetti di questi ultimi sull'inquinamento ambientale.
A difendere
un rapporto col cibo che escluda gli animali non sono solo gruppi di persone,
ma associazioni, partiti politici e personaggi famosi. Lungo è l'elenco dei vip
che hanno abbracciato la scelta vegetariana. Tra questi, alcuni difendono la
loro decisione proprio ricordando la motivazione ambientale. Ne è un esempio
Paul McCartney - popolare membro dei Beatles, la cui foto appare in homepage sul sito www.goveg.com.
Sotto al suo nome la seguente citazione “If anyone wants to save the planet,
all they have to do is just stop eating meat.”
Mentre è
facile trovare fonti che presentino la dieta vegetariana come una soluzione
valida per ottenere una riduzione dei problemi ambientali, non è semplice
reperire materiale sui detrattori di questo regime alimentare per quanto
riguarda l'aspetto da noi considerato.
La proposta lanciata dal Partij voor de Dieren nei Paesi Bassi è quella di scegliere un giorno della settimana in ogni famiglia e di renderlo “il giorno vegetariano”. L'obiettivo è sottolineare come una scelta collettiva possa rendere evidenti gli effetti della dieta senza carne sull'inquinamento. Il tentativo è quello di sensibilizzare il maggior numero possibile di persone: non solo con libri, ma anche con video, articoli e blog. Quello che emerge è un maggiore bisogno di consapevolezza. La percentuale di coloro che vogliono sapere quali sono le conseguenze delle loro scelte alimentari continua a crescere e diventa un fenomeno non più solo individuale ma collettivo. Bisogna tenere presente che molti vegetariani non si limitano a operare dei cambiamenti sul loro regime alimentare, ma provano a diffondere le loro idee. Con l'appoggio dei dati scientifici si propongono di diventare uno dei soggetti di dialogo coinvolti nelle decisioni della società; la conoscenza non viene più vista come un privilegio riservato alla sola comunità scientifica o ai centri di potere, bensì è frutto di un processo di confronto tra diversi individui ed entità. Questo gruppo di persone, il cui numero è in continuo aumento, mostra il suo interesse a partecipare ai processi decisionali, anche attraverso strumenti istituzionali (come possiamo vedere dall'esempio del Partij voor de Dieren).
Un coinvolgimento più ampio del grande pubblico richiede sempre una riflessione profonda su quali possano essere i limiti e le modalità in cui la popolazione può intervenire. Quella che poteva sembrare una scelta ristretta a un gruppo di persone, come la decisione di non mangiare alimenti di origine animale, può dare vita a diverse difficoltà: come gestire le mense delle scuole o delle aziende? Una famiglia può imporre una dieta vegetariana ai propri figli? È necessario che venga introdotto un dialogo tra le varie parti coinvolte, in modo tale da promuovere un confronto costruttivo, all'insegna della condivisione delle scelte e non dell'imposizione; tale dialogo dovrà coinvolgere non solo i vegetariani, ma gli enti pubblici, le imprese e, probabilmente, addirittura i Governi viste le dimensioni assunte dal movimento.