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Viaggio per immagini in quel che resta di Chernobyl

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Pripyet view - Panorama di una piazza di Pripyat, Ucraina, maggio 2010 (Bo Nielsen, aprile 2011)

Pripyet view - Panorama di una piazza di Pripyat, Ucraina, maggio 2010 (Bo Nielsen, aprile 2011)

Tempo di lettura: 3 mins

C’è qualcosa di innaturale nell’intervento dell’uomo, consapevole o meno, sul delicato equilibrio dell’ambiente. Conseguenze estreme si possono osservare in seguito a quelle che comunemente definiamo ‘catastrofi ambientali’. Alcuni di questi effetti sono ben noti, quello che spesso può sfuggire e rischia di essere dimenticato, è che molti siti colpiti da disastri ambientali vengono costretti all’abbandono, diventando veri e propri “siti fantasma”. Il distacco forzato e necessario dell’uomo dai propri territori d’origine lascia dei segni a raccontare quello che è stato, il simbolo di un certo tipo di precarietà impresso nel disfacimento di questi luoghi. Pripyat, in Ucraina, è considerato il ground zero del più grave disastro nucleare registrato finora – Chernobyl, 26 aprile 1986.

Segnale stradale sui banchi impolverati di una scuola

Traffic behavior education - Segnale stradale sui banchi impolverati di una scuola (Bo Nielsen, aprile 2011)

A distanza di più di 25 anni dell’evento, i luoghi coperti dalla nube nucleare provocata dall’incidente mantengono ancora oggi una testimonianza, insieme al ricordo di una minaccia sempre presente.

Bo47 è il nickname con cui è conosciuto in rete il fotografo autore di una galleria dedicata a Chernobyl, Bo Nielsen. Danese, Nielsen vive a Copenaghen e, oltre alla fotografia, è appassionato di viaggi ed è un internauta convinto delle potenzialità di condivisone del proprio lavoro sul web – si possono consultare i suo lavori nel sito personale justwalkedby.com.

Hall di ingresso dell’ospedale

Pripyat Hospital Hallway - Hall di ingresso dell’ospedale (Bo Nielsen, aprile 2011)

L’idea di una galleria dedicata nasce quindi come unione di queste due passioni: un viaggio molto particolare e, in qualche modo, coraggioso.  Visitare il sito nucleare e i luoghi adiacenti abbandonati significa interfacciarsi non solo con una memoria storica che reclama il proprio ruolo, ma anche affrontare le responsabilità della nostra civiltà.

Nel caso di questo particolare disastro ambientale, la connessione con le azioni e conseguenze dirette dell’uomo è particolarmente forte: sebbene, infatti, si tratti di eventi con un impatto territoriale relativamente più ristretto, in queste circostanze, è alla superficialità della gestione degli impianti che può essere imputata la responsabilità più grande, oltre al rischio sempre presente associato ai materiali radioattivi  – Fukushima 2011 è il caso più recente con caratteristiche analoghe. 20 sono gli scatti di questa galleria, che ritraggono elementi e angoli del territorio ucraino particolarmente emblematici di quella ferita e abbandonati a causa della negligenza umana.

Come ricordato nella galleria del suo sito personale, Nielsen ha passato due giorni nella città di Pripyat – costruita agli inizi degli anni ’70 per gli operai della centrale nucleare e che contava 43000 abitanti nel 1986. Un luogo oggi spettrale dove tutto è rimasto come 25 anni fa e dove la situazione di abbandono è appesantita dai decenni. Stanze di albergo, parcheggi, luoghi di divertimento all’aperto, oggetti di vita quotidiana, tutti soggetti scelti accuratamente da Nielsen per offrire l’immagine della velocità di distruzione di un incidente nucleare.

Ingresso di un ufficio della centrale atomica, non è consentito tutt’ora entrare in questi ambienti

The Lab - Ingresso di un ufficio della centrale atomica, non è consentito tutt’ora entrare in questi ambienti (Bo Nielsen, aprile 2011)

Oltre al confronto tra presenza umana e abbandono innaturale – sono rappresentati anche interni di ospedale, ingressi di uffici e segnali del traffico – un protagonista importante è la natura che, in qualche modo, ha trovato una via di rinascita tra le rovine. Un elemento non facile da interpretare, considerando che si tratta di siti ancora contaminati e non ancora ‘riqualificabili’ e che può forse trarre in inganno. Ma la contrapposizione, in questo caso, tra vita e morte può suggerire un modo ancora più forte per ricordare l’impreparazione dell’impatto tecnologico nei confronti dell’ambiente. Cogliere la fragilità di questi luoghi abbandonati e il tentativo di riscatto della natura può diventare, forse, un’occasione per ripensare un vivere più sostenibile.

Fonte: galleria fotografica Chernobyl di Bo Nielsen


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