Sarà “Foody” il nome della mascotte
ufficiale di Expo 2015, l’esposizione universale che prenderà il via a maggio
del prossimo anno, il cui tema cardine è “Nutrire
il pianeta. Energia per la vita”, che suona come una grande ambizione per
la città più multietnica d’Italia.
L’evento, spaziando tra focus su alimentazione, sostenibilità, ricerca e
innovazione, affronterà il problema della nutrizione per l’uomo, con una
particolare attenzione allo stato di salute della Terra, dalla quale ricaviamo
risorse vitali tutt’altro che inesauribili. La mascotte, il cui gioioso volto è
stato realizzato con la collaborazione della Walt Disney Italia, è composta da
alimenti che troviamo abitualmente sulle nostre tavole, ciascuno portavoce di
una storia secolare.
L’immagine, che attira la simpatia e la
curiosità dei più piccoli - ma non solo – rappresenta un connubio perfetto tra
passato e futuro, tra arte, storia e innovazione : il disegno si ispira infatti
alle “Teste Composte” del pittore
rinascimentale Giuseppe Arcimboldo,
meglio noto come l’Arcimboldi, ricavate da una bizzarra combinazione di
elementi nutritivi che appartengono al mondo vegetale e animale. La scelta
ispirata da queste famosissime rappresentazioni pittoriche non è certamente un
caso. Si tratta infatti di opere che si imprimono immediatamente nella mente di
chi le osserva, stimolando la fantasia e sottolineando un concetto rilevante
per la vita di ogni essere vivente, quello del suo legame indissolubile con la
natura, di cui è parte integrante.
In vista dell’Expo 2015 le
iniziative che toccano queste tematiche non mancano di certo: è stato
realizzato un progetto espositivo alla Triennale di Milano, l’”Art
& Food”, a cura dello storico dell’arte e critico Germano Celant, dedicato proprio al
rapporto tra arte e cibo, che si propone di arricchire il palinsesto
dell’esposizione. Al Piccolo Teatro Grassi si svolgerà sino al 17 marzo 2014 la
terza edizione di “Convivio. A tavola tra cibo e sapere”, una serie di incontri
che affronta le varie implicazioni culturali ed economiche legate al consumo di
cibo, proponendo nel contempo un’analisi sociologica.
Gli alimenti hanno ispirato artisti di ogni tempo e l’arte spesso ritrae la tavola
di chi ci ha preceduto, tramandandoci uno spaccato dei momenti di convivialità.
Esiste dunque una relazione tra arte e cibo? È innegabile che siano entrambi
considerati due fra i più importanti piaceri della vita: sono accomunati
dall’appagamento di almeno due sensi, la vista e il tatto.
Il dibattito nacque tempo addietro, tant’è che la filosofia se n’è occupata sin
dall’epoca di Platone, il cui dialogo “Convivio”
ha come cornice l’immancabile banchetto, ma nutre tutt’oggi la passione di
cultori del buon cibo e non. Alle pietanze è stata spesso data una specifica
forma dal valore simbolico e culturale: nell’arte religiosa, ad esempio, le
uova sono simbolo universale del rinnovamento periodico della natura, del ciclo
della vita e della resurrezione del Cristo. Il vino, quindi anche l’uva, e il
pane, sono segni eucaristici considerati sangue e corpo di Gesù; nell’arte
profana invece il vino e la vite rimandano metaforicamente a Bacco, divinità
della vendemmia ma anche degli eccessi.
Un tema ampiamente toccato
nella storia dell’arte è quello dell’ultima cena, che secondo la tradizione
cristiana Gesù consumò con i discepoli: dalla più celebre opera recentemente
restaurata di Leonardo da Vinci, il cui lavoro consistette per la maggior parte
del tempo nel dare vita agli schizzi preparatori delle vivande - e non dei
commensali, come si potrebbe erroneamente pensare - alla straordinaria
reinterpretazione in chiave pop-art di Andy Warhol; dalle versioni
contemporanee di Salvador Dalì e Aligi Sassu a quella cinematografica del film
“Viridiana” di Luis Bunuel. Il
momento della cena è da sempre uno spazio relazionale durante il quale vengono
condivisi amicizie, affetti e intimità, dove il confronto e il dialogo fra i
partecipanti è un elemento costante.
Sarebbe difficile non
menzionare il genere pittorico della natura morta, che rappresenta diverse
tipologie di soggetto, come frutta, fiori, pesci e cacciagione. Per gli antichi
greci questi temi erano prevalentemente funzionali alla scena nel suo complesso
e subordinati alla figura dell’uomo.
In Età romana si manifestò la presenza di
nature morte, e chiaro esempio ne sono gli affreschi delle ville pompeiane,
dove abbondano figure di fichi, pere, uva, miele e formaggi, nonché latte,
cacciagione, pane e vino. Sappiamo da fonti materiali e scritte che
nell’antichità diventò d’uso comune dotare le tombe di un corredo funebre
costituito da alimenti di vario tipo e oggetti che erano stati utilizzati in
vita. Tuttavia, da un determinato momento in poi, per ovviare al problema della
deperibilità del cibo, questo fu sostituito da una rappresentazione artistica.
Ma fu il Seicento a sdoganare la natura morta in tutta Europa come genere
pittorico autonomo, in modo particolare con Caravaggio che riuscì nell’intento
di distaccare le tematiche della natura morta da qualsiasi valenza religiosa o
filosofica, ponendole sullo stesso piano della figura umana.
Il cibo è storia, cultura,
identità, tradizione, memoria. L’atto del mangiare è un gesto quotidiano che
appaga i bisogni del corpo, ma anche dello spirito. Come scrive il critico Adam Gopnik ne “In principio era la
tavola” “mangiare è un atto di intelligenza, altrimenti sarebbe solo un gesto
animalesco”, “e ciò che lo rende intelligente è la compagnia di altre bocche e
di altre menti”.
È evidente come le culture codifichino quelle che sono le regole della nostra
alimentazione. Il cibo e la sua condivisione hanno senza dubbio delle
caratteristiche che distinguono il singolo individuo, i gruppi e la società,
all’interno dei quali rivestono certamente un ruolo comunicativo che si ha la
necessità di conservare e valorizzare per il futuro.
Riuscirà l’Expo 2015 a lasciare un’impronta anche in questo senso? Che dire:
gli ingredienti per farcela ci sono tutti.
Stefania Cambule