“Migrano in gruppi di almeno 23 elementi, si muovono in
modo autonomo e apparentemente casuale, ma perfettamente coordinato e compatto.
C’è un leader che guida il gruppo, indicando le strategie di movimento e la
rotta della migrazione”.
Quello descritto non è l’inizio di un documentario naturalistico sul
comportamento di uno stormo di uccelli migratori ma bensì alcune delle fasi del
processo di migrazione di cellule tumorali aggregate in gruppo.
Grazie
all’utilizzo di tecniche avanzate di imaging,
di bioinformatica e di matematica applicata, ricercatori dell’Ifom e
dell’Università degli Studi di Milano sono riusciti a “tracciare” per la prima
volta la tendenza di cellule maligne del nostro sistema immunitario di formare
aggregati che si muovono con modalità simili a quelli di uccelli o banchi di
pesci.
La ricerca, realizzata con la collaborazione del Weizmann Institute of
Science di Israele, dell’Università di Tolosa, della National University of
Singapore e di A*STAR di Singapore, è stata pubblicata sulla
prestigiosa rivista Current Biology.
La pericolosità dei tumori dipende soprattutto da due
proprietà: quella di invadere i tessuti circostanti e quella di inviare cellule
a distanza, ovvero la capacità di formare metastasi.
Non tutti i tumori possono dare metastasi e, in effetti,
è proprio questa proprietà che distingue i tumori maligni da quelli benigni. I
tumori benigni rimangono confinati nella sede nella quale hanno iniziato il
proprio sviluppo e non hanno proprietà infiltrative, mentre i tumori maligni,
grazie alla loro capacità di dar luogo a metastasi colonizzano altri organi. Ma
quali sono le strategie di “colonizzazione”?
Le cellule tumorali sgusciano tra altre cellule con movimenti contrattili e
propulsivi, infilandosi negli spazi liberi presenti nei tessuti, senza
interagire troppo con ciò che le circonda. Oppure possono ancorarsi a questi
con tentacoli e protrusioni, modificandoli per farsi spazio e poi trascinandosi
con forza, facendo leva su di essi per avanzare.
Negli anni Novanta si pensava che le diverse strategie di migrazione, una volta
stabilite, rimanessero fisse. Oggi si sa, invece, che a rendere possibile il
lungo e tortuoso viaggio di disseminazione del tumore nell'organismo è proprio
la straordinaria capacità delle cellule maligne di adattarsi ai diversi
ambienti, cambiando all'occorrenza strategia di migrazione. Una di queste
strategie è la motilità collettiva.
Un recente studio della
Harvard University ha quantificato che nelle cellule tumorali la motilità
collettiva che consente alle cellule di formare aggregati e di circolare nel
sangue costituisce un fenomeno minoritario, pari al 3% delle cellule tumorali
circolanti, ma sono proprio queste cellule tumorali che rivelano una
potenzialità di invasione metastatica superiore del 50% rispetto alle cellule
singole. “Siamo partiti da questi dati e ci siamo posti una domanda – spiega Giorgio Scita, direttore dell'unità di
ricerca Meccanismi di migrazione delle cellule tumorali presso IFOM e
professore all’Università degli Studi di Milano – quali sono i meccanismi
molecolari che aumentano la capacità migratoria e la resistenza nelle
aggregazioni collettive rispetto alle cellule tumorali solitarie?”
L’équipe di
Scita grazie all’utilizzo della microscopia in tempo reale combinata con saggi
di chemiotassi in vitro ha cercato approfondire il fenomeno. “Utilizzando la chemochina CCL19 come stimolo
chemiotattico abbiamo indotto cellule tumorali B, tipiche di alcuni tumori
liquidi come linfoma a migrare. Come previsto alcune di queste cellule tumorali
formano dei cluster ma la vera sorpresa è stata quella di vedere il diverso
comportamento fra gli aggregati cellulari e le cellule singole.
Con un concentrazione bassa di CCL19, una cellula singola solitaria non migra
mentre un cluster cellulare dimostra un’aumenta capacità migratoria” sottolinea
Cita. Altro aspetto “anomalo” è stato
quello di scoprire che quando lo stimolo chemiotattico viene aumentato gli
aggregati cellulari continuano a muoversi, al contrario le cellule “solitarie”
vanno incontro al fenomeno di migrazione revertita: per eccesso di stimolo la
cellula una volta arrivata al gradiente ribalza e torna indietro. “Ma non ci siamo
fermarti alla ‘semplice’ osservazione – continua Scita – abbiamo sviluppato
insieme ai colleghi del Weizmann Istitute e di Singapore un modello matematico
in grado di analizzare e indentificare,
per la prima volta, i vettori che rappresentano motilità, velocità e direzione
di ogni singola cellula alla risposta agli stimoli chemiotattici. Grazie a
questa analisi abbiamo indentificato le varie fasi del processo migratorio,
fasi che sono strettamente collegate alla concentrazione della chemochina”.
I
cluster cellulari, quando il gradiente chemiotattico è alto, hanno un cammino
compatto e veloce che rallenta, fino ad arrestarsi, man mano che il gradiente
diminuisce. “Ma gli aggregati di cellule
non arrestano definitivamente la loro corsa ma utilizzano questa pausa per
riorganizzare il loro cammino. Apparentemente i singoli componenti si muovono
in modo casuale ma in realtà mantengono una perfetta coordinazione nel modo di
procedere. Incredibilmente, le cellule tumorali presentano delle dinamiche
comportamentali e relazionali di fatto identiche a quelle tipiche di tutte le
entità migratorie come gli uccelli che tendono a muoversi in gruppo per
confondere l’aggressore”, afferma Cita.
E’ come in uno stormo di uccelli si può descrivere chiaramente il comportamento
di ogni singola cellula: vi sono delle cellule
in testa al gruppo che guidano e fanno da motore al movimento. Queste cellule
leader sono soggette a una diminuzione progressiva dell’efficienza e a una
riduzione della motilità dovute alle forze di frizione che incontrano durante
la migrazione, al pari di una cellula singola. Ma a differenza di una cellula
solitaria, che a causa dei danni cellulari provocati dalle forze di frizione
può andare incontro ad apoptosi, i cluster cellulari mettono in atto un processo di turn
over continuo, così espongono all’esterno sempre cellule nuove che non sono
state ancora indebolite.
Questo “cambio al vertice” è determinate anche quando i recettori delle
chemiochine vanno incontro a internalizzazione e le cellule leader diventano
così meno responsive al gradiente. “Il momento di pausa serve proprio a questo:
a guidare il fronte di migrazione arrivano cellule nuove che non sono state
ancora “indebolite”. Un po’ come in una gara di ciclismo quando l’arrivo è in
volata. Lì si crea un “treno” di corridori della stessa squadra che a turno
prendono la testa del gruppo. Il cambio è dovuto al fatto che il ciclista in
testa è più esposto al vento e agli ostacoli e quindi fa più fatica. Ecco, allo
stesso modo avviene nella migrazione tumorale collettiva”, sottolinea Scita.
Ma come comunicano le cellule tra di loro? Lo fanno attraverso le integrine, proteine che regolano le comunicazioni tra cellula e cellula. Una di queste, una glicoproteina di adesione chiamata LFA-1, media letteralmente il contatto tra un linfocita B e un altro, consentendo la formazione di aggregati. I ricercatori dell’Ifom hanno dimostrato, infatti, che bloccando le integrine, attraverso inibitori specifici, i cluster cellulari smettono di migrare. “Finora abbiamo osservato questo fenomeno solo in vitro e in un unico tipo di tumori liquidi. Il prossimo passo sarà quello di capire, innanzitutto, se il modello matematico da noi proposto ha un reale riscontro in vivo e sui tumori solidi. A livello clinico cercheremo poi individuare un inibitore in grado di interferire con questi meccanismi di comunicazione intercellulare e disgregare il gruppo, eliminando o riducendo la capacità di migrazione e di chemiotassi”, conclude Scita.
Lo studio condotto dai ricercatori di Ifom e dell’Università degli Studi di Milano è stato possibile grazie al sostegno, tra gli altri, della Comunità Europea, dell'Airc, del Miur, della Regione Lombardia, dell’Aicr, della Fondazione Cariplo e dell’EMBO.