fbpx L’accordo di Parigi sul clima: un evento storico? | Scienza in rete

L’accordo di Parigi sul clima: un evento storico?

Tempo di lettura: 4 mins

Va subito detto: l’accordo raggiunto a Parigi dalle delegazioni di 195 Paesi per il contrasto al riscaldamento del clima è, a mio avviso, un buon risultato.
Il principale aspetto positivo è che i governi del mondo, ben 195, responsabili di oltre il 90% delle emissioni totali, abbiano preso atto della pressante necessità di contrastare il riscaldamento del clima della Terra. Non era scontato che lo facessero. E hanno scelto addirittura di porre come traguardo non l’iniziale limite di 2 °C al 2100 rispetto al periodo pre-industriale, bensì il più ambizioso e sicuro limite di 1.5 °C. Attualmente la temperatura media della Terra è di 0.9 °C superiore rispetto al periodo pre-industriale.
Non va dimenticato che la COP è un evento politico nel quale la scienza, in questo caso l’Intergovernmental Panel for Climate Change (IPCC), rimane solo sullo sfondo a fornire le informazioni di base sulle quali i policymakers prendono le loro decisioni. Che la politica internazionale, fino ad ora molto timida in diverse sue componenti nell’impegno al contrasto del riscaldamento globale, abbia preso questo impegno firmando l’accordo di Parigi va visto come un ottimo inizio.

Senza entrare nel dettaglio dell’accordo (comunque reperibile, per il momento solo in lingua inglese, a questo link), va ricordato che questo comprende, oltre ai già ricordati targets di aumento massimo della temperatura:

  • un percorso chiaro di riduzione delle emissioni di specie clima-alteranti attraverso una revisione degli impegni ogni 5 anni;
  • misure per l’adattamento con lo scopo di aumentare la capacità adattativa e la resilienza delle nostre società e ridurne la vulnerabilità ai cambiamenti climatici;
  • un contributo di 100 miliardi di dollari annui a favore dei Paesi che non hanno le risorse per attuare efficaci azioni di riduzione delle emissioni previste dall’accordo, oltre al trasferimento tecnologico e capacity building verso questi stessi Paesi.

Stabiliti questi aspetti positivi, va però anche ricordato che molte delle misure previste dall’accordo di Parigi sono su base volontaria ed i controlli previsti sono definiti in modo piuttosto vago. Su questi aspetti si sono focalizzate le critiche giunte da più parti, ed è ovvio che anche un buon accordo come quello di Parigi potrebbe essere male applicato, vanificando le intenzioni di per se molto positive.

Non bisogna dimenticare che, per non superare l’aumento della temperatura media della Terra di 1.5 °C alla fine di questo secolo rispetto al periodo pre-industriale, le emissioni di CO2 (e delle altre specie clima-alteranti) debbono raggiungere il loro massimo fra il 2020 ed il 2030, per poi arrivare alla completa decarbonizzazione delle nostre società per la metà del secolo. Questo in quanto la CO2 ha una persistenza in atmosfera dell’ordine di un secolo, ed anche nel momento in cui le emissioni fossero completamente azzerate la temperatura della Terra è destinata a crescere ancora per decenni, in funzione delle emissioni dei decenni precedenti. I tempi per agire sono quindi stretti ed è questa consapevolezza che ha portato i governi del mondo verso l’accordo di Parigi.

In conclusione, ci troviamo dopo Parigi a un buon punto di partenza della via che potrà permettere di contenere il riscaldamento globale a un livello sostenibile per le nostre società. La comunità scientifica può assistere questo percorso con dati e proiezioni sempre più precise che possono aiutare sia i governi che il mondo industriale ed economico a persistere e migliorare le azioni di mitigazione ed adattamento al cambiamento climatico. I cittadini e le varie organizzazioni che li rappresentano, oltre ad assumere comportamenti virtuosi nella quotidianità, hanno il compito di vigilare ed esercitare pressioni sui governi perché il percorso virtuoso iniziato a Parigi venga completato.

Due cose sono comunque certe:

  • l’impegno a contrastare il riscaldamento del clima può essere solamente globale: una tonnellata di CO2 emessa in Italia ha lo stesso effetto sul clima di una tonnellata emessa in Australia;
  • i costi, certamente elevati, della mitigazione ed adattamento al cambiamento del clima sono senz’altro inferiori a quelli che si dovranno sostenere nel caso la temperatura media del pianeta ecceda i limiti fissati a Parigi;
  • già oggi possediamo tutte le tecnologie che possono servire a ridurre il riscaldamento del clima, che può anche essere visto come una opportunità di sviluppo per il mondo nel suo complesso.
Articoli correlati

Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Il taglio alle università, una doccia fredda sul Piano del rilancio della nostra ricerca pubblica

taglio fondi universita

Il Fondo di finanziamento ordinario delle università italiane per il 2024 subirà un taglio di circa mezzo miliardo di euro: il provvedimento potrebbe mettere a rischio la crescita e la sopravvivenza delle università statali italiane, nonostante il progresso registrato tra il 2019 e il 2023. Il Piano Amaldi-Maiani propone di integrare i fondi del PNRR con 6,4 miliardi di euro aggiuntivi dal 2024 al 2027 per mantenere gli investimenti nella ricerca pubblica al livello attuale, pari a circa lo 0,7% del PIL. Senza queste risorse aggiuntive, terminato il PNRR, molti ricercatori si troverebbero senza lavoro e costretti come molti loro colleghi a prendere la via dell’emigrazione.

Immagine di copertina creata con DALL-E

Brutte notizie per le università italiane, che si vedono tagliare per decreto il Fondo di finanziamento ordinario 2024 (FFO), un taglio che secondo la Conferenza dei rettori ammonta a circa mezzo miliardo di euro. «Il provvedimento – spiega il documento dei rettori – presenta notevoli elementi di criticità che, se confermati, rischiano non solo di arrestare l'evoluzione virtuosa del sistema universitario nazionale ma anche di mettere a rischio la sopravvivenza stessa dell'università statale italiana».