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Sulle malformazioni a Gela l'ambiente non è affatto da escludere

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L’argomento del nesso di causalità tra petrolchimico e malformazioni congenite a Gela è tornato di recente all’attenzione pubblica a seguito di articoli di stampa pubblicati il 16 ottobre su cronaca locale dal Giornale di Sicilia e dalla Sicilia, ripresi poi dal FQ , e più recentemente dall’articolo di Emiliano Fittipaldi sull’Espresso.
Trattandosi di un argomento complesso e delicato penso che qualche precisazione sul piano scientifico sia utile all’avanzamento del dibattito pubblico.
Avendo seguito da 15 anni in parallelo le vicenda di Priolo e di Gela, sia come perito delle rispettive Procure della Repubblica che come ricercatore, ed essendo primo autore dei tre articoli scientifici pubblicati sull'argomento su rivista con revisori indipendenti, ritengo utile offrire alcuni elementi allo scopo di una attenta valutazione della delicata situazione.

Studi utili alla definizione dello stato di salute nell’area di Gela

A Priolo-Augusta-Melilli un lavoro del 2004 mostrò un tasso di malformazioni congenite abbastanza elevato nel complesso, ed in particolare molto elevato per le ipospadie (anomalie a carico dei genitali maschili) pari a circa 4 ogni 1000 nati (5/1.000 ad Augusta), più del doppio dei valori riportati altrove da articoli scientifici.
Il primo lavoro a Gela, pubblicato nel 2006, mostrava un tasso di ipospadie ancora più elevato (5,7 su 1.000 nati), sostanzialmente confermato da un aggiornamento pubblicato nel 2014 e da dati in corso di pubblicazione. Valori cosi elevati non sono mai stati riportati altrove e sono molto superiori, appunto almeno il doppio, rispetto ai livelli correntemente rilevati nel mondo, in Europa e da parte dei registri italiani delle malformazioni congenite. Anche per altri tipi di malformazioni i tassi rilevati a Gela sono elevati, come rilevabile dai lavori pubblicati, dai dati del registro regionale delle malformazioni, e confermati dallo studio RiscRipro Sentieri (CCM - Ministero Salute), che è stato recentemente concluso e a breve sarà reso pubblico.
Poichè stiamo parlando di un sito di interesse nazionale per la bonifica (SIN) per il quale sono ben documentati dati di inquinamento delle acque superficiali e di falda, dei suoli, dell’aria e di alcune matrici alimentari, oltre che livelli alterati di arsenico nelle urine di numerosi abitanti (studio SEPIAS), ritengo sia ragionevole l'ipotesi che ci sia stato un ruolo delle pressioni ambientali sulla salute, senza escludere la compartecipazione di altri fattori di rischio.
Ragionevoli e persuasive ipotesi alternative non sono mai emerse, e l'unica avanzata a proposito di un seppure possibile ruolo di pesticidi non è mai stata dimostrata con uno studio adeguato allo scopo, ed è stata indebolita da recenti articoli scientifici. Nonostante ciò sono convinto che anche il possibile ruolo di esposizioni a pesticidi debba essere mantenuto come con-causa o almeno come fattore di correzione nel calcolo dei rischi per la salute dovuti ad inquinanti ambientali.
Le malformazioni ritenute con alta probabilità associate ad inquinanti ambientali documentati nell'area di Gela sono isolate, cioè non accompagnante da altre malformazioni principali, non inquadrate in forme sindromiche, e senza genitori e parenti di primo e secondo grado portatori della stessa anomalia congenita.
Queste caratteristiche rendono molto probabile che alcune malformazioni siano state causate dall'effetto diretto di sostanze teratogene, e poco probabile che si tratti di malattie genetiche ereditarie, come sostenuto da periti di parte ENI. Infatti bisogna innanzitutto distinguere le malattie genetiche ereditarie dalle mutazioni genetiche, che avvengono o in assenza di agenti mutageni noti (mutazioni spontanee) o sono prodotte dall'azione di particolari agenti fisici o chimici detti appunto agenti mutageni (mutazioni indotte).
Tali mutazioni genetiche, se non bloccate dai meccanismi biologici di riparazione, sono in grado di provocare danni nella progenie, e anche essere trasferite alle generazioni successive.

Dire che le malformazioni riscontrate a Gela, e soprattutto non contribuisce a fare chiarezza nei confronti di chi è stato colpito, della comunità gelese, e delle autorità competenti. Infatti, le caratterizzazioni ambientali dei suoli e delle acque del sito di bonifica di Gela hanno documentato la presenza abnorme di decine di metalli pesanti e sostanze organiche misurate in concentrazioni da 10 volte a migliaia di volte superiori ai limiti di legge (arsenico, mercurio, rame, nichel, cloruro di vinile, benzene, benzo(a)pirene, xileni, 1,2 dicloroetano), tra cui quelle teratogene o mutagene o anche i distruttori endocrini abbondano: si vedano al proposito il numero monografico su Gela pubblicato su Epidemiologia e Prevenzione (Epiprev, N. 33(3), Suppl-1, anno 2009; e il volume recente dell'OMS (Mudu P, Terracini B, Martuzzi M, eds (2014). Human Health in Areas with Industrial Contamination. Copenhagen: WHO Regional Office for Europe).
Un altro concetto, quello dell'origine multifattoriale di malattia, viene spesso chiamato in causa per asserire, o maliziosamente sottintendere, che l'eziologia dipende da molti fattori e che quindi non potendone identificare uno specifico occorra in qualche modo darsi pace; un pò come quando viene detto che la colpa è di tutti e quindi di nessuno! Invece occorre dire con responsabilità che nel caso di molte malattie e malformazioni specifiche si conoscono i fattori di rischio che giocano un ruolo e anche come interagiscono tra loro i fattori ambientali con quelli genetici. Sull'interazione tra ambiente e geni le conoscenze sono aumentate moltissimo negli ultimi anni, anche nell'ambito degli approfondimenti sull'epigenetica, cioè il campo di studio dei cambiamenti che influenzano il fenotipo senza alterare il genotipo e dei processi di trasferimento alle generazioni successive.
Nel caso per esempio delle ipospadie la letteratura scientifica propende per un’eziologia multifattoriale chiamando in causa il ruolo di inquinanti ambientali. I numerosi studi sperimentali, epidemiologici e le rassegne di studi hanno consolidato il razionale a favore di un’interazione gene-ambiente, con l’identificazione di diversi geni candidati e polimorfismi, e di numerosi fattori di rischio ambientali implicati.
Tra gli inquinanti ambientali per i quali è stata dimostrata un’azione di interferenza endocrina, come arsenico, policlorobifenili, diossine, idrocarburi policiclici aromatici, ftalati, bisfenolo A, pesticidi, alchilfenoli e metalli come cadmio, piombo e mercurio, alcuni sono documentati nell’area del SIN di Gela. Inoltre l’ipotesi di un effetto cumulativo di esposizioni multiple a basse dosi è ritenuta di interesse crescente.

Dagli studi descrittivi alla sorveglianza epidemiologica

In linea col ragionamento fin qui rappresentato, la perizia (CTU) presentata in un recente procedimento civile da Pierpaolo Mastroiacovo, uno dei massimi esperti a livello internazionale sulle malformazioni congenite, fornisce per numerosi casi malformati prove altamente persuasive di una causa ambientale. La sequenza di argomentazioni sopra riportate dovrebbe essere sufficiente a prendere decisioni per proteggere la salute pubblica e anche per identificare le cause del danno.
D’altra parte non solo a livello di sanità pubblica ma anche in campo giuridico ci sono state recentemente interessanti evoluzioni in favore dell’applicazione del criterio della “ricerca della prova oltre il ragionevole dubbio” ai dati alterati di comunità invece che individuo per individuo. Infatti, l'epidemiologia ambientale è in grado di stabilire la presenza di casi in eccesso rispetto a quanto atteso in condizioni normali, ma non di dire chi sono quei casi; per fare un esempio se si attendono 50 casi e se ne osservano 100 si può concludere che ci sono il doppio dei casi attesi, ma non stabilire chi sono i 50 in più tra i 100 osservati. Per questo è ragionevole concludere che sono tutti i 100 casi a dover essere tutelati.
Che la comunità gelese abbia subito danni alla salute negli ultimi decenni non lo dicono solo i dati sulle malformazioni congenite ma anche quelli sulla mortalità e sui ricoveri, documentati nei rapporti dell’Osservatorio epidemiologico regionale e dello studio SENTIERI.
Invece, a Gela, come in molte altre aree inquinate, si assiste da anni ad un balletto macabro tra risultati prodotti da studi e richiesta di ulteriori prove, tra valutazioni serie di livelli di credibilità e fabbricazioni capziose di incertezze tese a screditare o depotenziare i risultati raggiunti.
E così anche a Gela spesso l’assenza della certezza di una relazione causa-effetto è stata usata come certezza dell’assenza della relazione causa-effetto: un gioco sui significati e sui valori che non rende onore a chi lo propone, ne sul piano scientifico ne sul piano etico. Non c’è dubbio che ulteriori studi possono essere utili, ma in situazioni così gravi, l'onere della prova del nesso di causalità non spetta a chi sta dalla parte pubblica, cioè di chi è stato danneggiato, ma a chi sostiene la sua inesistenza, sempre che sia in possesso di un'altra ipotesi sufficientemente convincente e robusta da poter essere considerata.
Quello che è cruciale è stabilire con responsabilità se i risultati fino ad oggi conseguiti siano da ritenersi sufficienti per prendere decisioni nell'interesse collettivo e quindi di tutte le persone, senza dimenticare che lo scorrere del tempo consuma la possibilità di fare della prevenzione efficace.

La comunicazione e il rapporto con il territorio

A Gela, come in molte altre aree inquinate, la partita della prevenzione primaria si gioca sul risanamento ambientale prima ancora che sul passaggio a produzioni veramente pulite (riconversione green), elementi necessari per ridare un futuro alla comunità e ai territori oltre che a dare importanti opportunità sul piano occupazionale. Per ultimo, ma non per importanza, il tema della comunicazione pubblica. La difficoltà di comunicazione del rischio ambientale per la salute è critica quando la situazione è caratterizzata da “fatti incerti, valori in conflitto, posta alta in gioco e decisioni urgenti”. (S. Funtowicz, J. Ravetz, Science for the post normal age, in Futures 1993, 25, 7; 739-755).
Quando in gioco c’è l’esposizione a più sostanze e composti (rischio cumulativo) la comunicazione del rischio è ancora più delicata rispetto a situazioni semplificate in cui è presente uno solo o un prevalente tipo di esposizione (esempio PCB a Brescia, fluoro-edenite a Biancavilla, arsenico nel viterbese). Gela è una situazione di questo tipo, per la presenza di più inquinamenti rilasciati da molti anni in tutte le matrici ambientali, aria, suolo, acque superficiali e di falda, e per la presenza di molti danni alla salute. In situazioni di questo tipo il coinvolgimento della popolazione dovrebbe essere considerata una via obbligata.
Eventi informativi e formativi verso target specifici: dagli studenti ai docenti, dagli operatori sanitari alla società civile, dal mondo del lavoro a quello delle professioni, fino agli amministratori coinvolti nelle decisioni. Non solo per spiegare i risultati e come vanno interpretati ma prima ancora per condividere i metodi, gli strumenti e il significato dei tanti argomenti di studio, come appunto l’associazione di rischio e il nesso di causalità.
Per innalzare i livelli di conoscenza e comprensione anche di sistemi complessi che riguardano la salute individuale e collettiva ci sono questioni chiave non evitabili, come il conflitto di interessi, la competenza provata nelle varie discipline e l’attitudine al lavoro multi ed interdisciplinare.
Per fare questo percorso tecniche e metodi sono disponibili ma è necessario un significativo impegno di risorse e tempi non brevi, ma l’esperienza dice che non sembrano esserci scorciatoie. Purtroppo in tante situazioni, come Gela, ci sono stati molti anni, spesso decenni, a disposizione per realizzare piani di comunicazione efficaci, che purtroppo fino ad oggi non ci sono stati, ma non è mai troppo tardi!


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