Con la pubblicazione del nuovo Piano Nazionale per la Ricerca (PNR), al di là delle valutazioni (importantissime!) di merito, si rinfocola ancora una volta l’annoso dibattito sulla differenziazione ricerca di base-ricerca applicata, dibattito che porta spesso ad analisi sulla valenza ed efficacia del finanziamento alla ricerca che lasciano, a mio avviso, il tempo che trovano.
Ricerca di base e ricerca applicata
Premetto che la differenziazione fra ricerca di base e ricerca applicata (non sviluppo tecnologico, che è tutta un’altra cosa) mi lascia molto perplesso, in quanto personalmente sono portato a definire due sole diverse categorie della ricerca: buona ricerca e ricerca di scarsa qualità.
Detto questo, ho pensato potesse essere utile, nell’ambito di questa discussione, riprendere alcune valutazioni oggetto di un seminario (1) al quale ho partecipato del collega ed amico A.R. Ravishankara, Professore di Chimica dell’Università del Colorado, che a sua volta riprendeva i concetti espressi nel libro del 1997 Pasteur's Quadrant: Basic Science and Technological Innovation (2) da D.E. Stokes, allora Preside della Scuola Woodrow Wilson di Affari Pubblici ed Internazionali dell’Università di Princeton.
All’inizio della scienza moderna l’esplorazione del mondo e la formazione di idee, ipotesi e teorie dipendeva unicamente dalla curiosità degli scienziati di avanzare le frontiere della conoscenza. Più tardi emerse comunque l’interesse non solo a capire la natura, ma anche alle possibilità di poterla “manipolare” a nostro vantaggio. Non vi è dubbio, ad esempio, che la ricerca per convertire il calore in lavoro abbia costituito l’inizio della Rivoluzione Industriale. A questo proposito rimane quindi famosa la frase, attribuita a Louis Pasteur, “Non esiste la scienza applicata, esistono solo le applicazioni della scienza”.
Dalla ricerca all’applicazione, processo lineare?
Nel pensiero comune, anche di molti colleghi, il passaggio dalla ricerca all’applicazione viene visto come un processo lineare:
Scienza di base ---> Scienza applicata ---> Sviluppo tecnologico ---> Applicazione/Prodotto.
Una classificazione in quadranti
Vi è però un altro modo di vedere questo percorso, che forse così lineare non è e che è stato, appunto, proposto nel già citato testo di Stokes secondo una classificazione in quadranti (vedere la figura sotto), in funzione della rilevanza per l’avanzamento della conoscenza e per l’applicazione immediata.
Stokes identificò il primo quadrante in alto a sinistra con il nome di Bohr, uno dei padri della teoria atomica. Questo tipo di ricerca è condotta unicamente per l’avanzamento della conoscenza con nessuna finalità e rilevanza per l’immediata applicazione. Il fatto che la ricerca di Bohr sia stata centrale per lo sviluppo dell’energia nucleare, della bomba atomica, della medicina nucleare viene considerato incidentale.
Vi è poi quella ricerca il cui scopo principale è unicamente l’applicazione. Stokes identificò questo secondo quadrante in basso a destra mediante la figura del famoso inventore statunitense Thomas Edison. Va comunque ricordato che anche questo tipo di ricerca può contribuire, in certi casi, all’avanzamento della conoscenza, anche se questo non è il suo scopo di partenza.
Nel quadrante in alto a destra, identificato dal nome del biologo francese Louis Pasteur, sono collocate infine quelle ricerche i cui scopi sono sia l’avanzamento della conoscenza che l’applicazione “use inspired research”. Inutile esaminare il quarto quadrante, non a caso lasciato vuoto, che comprende le ricerche che non hanno rilevanza applicativa e non contribuiscono ad aumentare la conoscenza. Sembra strano ma esistono anche queste.
Il quadrante di Pasteur
Cosa significa dunque fare ricerca nel quadrante Pasteur e chi sono gli scienziati che vi operano? In primo luogo, il punto di partenza di queste ricerche è, come già detto, una finalità pratica e si possono fare tanti esempi sui campi di ricerca che si inscrivono in questo quadrante del diagramma di Stokes: la ricerca medica che ha come finalità la cura dei malati, la meteorologia, l’agronomia, i nuovi materiali e molti altri ancora. Pur avendo questo tipo di ricerca un fine applicativo, in tutti questi campi vi sono sempre informazioni ancora mancanti che devono essere ricercate. E non costituisce forse questo un avanzamento della conoscenza?
Per questo nella scienza moderna esistono ormai vaste aree grigie di contiguità fra i diversi tipi di ricerca che ci ostiniamo a definire con diversi aggettivi, senza peraltro riuscire a distinguerle compiutamente.
Voglio concludere questa breve nota, che peraltro, come già detto, si limita ad un adattamento di informazioni e concetti da un seminario del collega A.R. Ravishankara, con una preghiera a tutto il mondo della ricerca, inclusi i responsabili pubblici del suo finanziamento: smettiamola di accapigliarci sugli aggettivi e consideriamo che, in fondo, esistono davvero solo due tipi di ricerca: la buona ricerca e la ricerca di scarsa qualità e che è necessario provvedere adeguato supporto alla prima e, possibilmente, non finanziare la seconda.
Ovviamente su chi e come decide quale sia la buona e la cattiva ricerca il dibattito è sempre aperto. Purtroppo nel nostro Paese la valutazione della ricerca segue tradizionalmente vie impervie e sconosciute ai più, che non hanno certamente dato fino ad oggi buona prova di efficacia: si legga a questo fine l’analisi introduttiva sullo stato della ricerca nazionale nel testo del PNR 2015-2020.