Ambient air pollution: A global assessment of exposure and burden of disease. World Health Organization, 2016
Qualche giorno fa l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha pubblicato gli ultimi dati sull'inquinamento dell'aria, aggiornati a dicembre 2015, e ancora una volta l'allarme è netto: meno di una persona su 10 nel mondo respira un'aria che rispetta le più recenti linee guida in materia di inquinamento da PM10 e PM2.5.
Una situazione che porta con sé conseguenze importanti per la salute della popolazione: oltre 3 milioni di morti nel 2012 dovute a malattie croniche riconducibili all'inquinamento ambientale e se si considera anche l'inquinamento “indoor” cioè quello domestico, il numero di morti annue sale a 6.5 milioni. Un dato quest'ultimo che apparentemente può sembrare “confortante”, dal momento che qualche mese fa sempre l'OMS parlava di 7 milioni di morti annue, ma – precisa l'OMS – la differenza è dovuta solamente a una migliore quantificazione proposta in quest'ultimo rapporto, che per la prima volta raccoglie i dati paese per paese. Niente a che vedere dunque con un miglioramento della qualità dell'aria.
Tranne per quanto riguarda il continente americano, nel resto del mondo meno del 20% della popolazione vive in aree dove l'aria rispetta i limiti indicati dall'OMS, e 9 morti su 10 occorrono nei paesi poveri del mondo, due terzi nel Sudest Asiatico. Solo Europa e Stati Uniti sono riusciti fra il 2008 e il 2013 a ridurre i propri livelli di PM10 e PM2.5 e in generale il 30% delle città analizzate ha visto aumentare i propri livelli di inquinamento, con picchi di quasi il 50% sempre nel Sudest Asiatico.
Non sono infatti i paesi più ricchi a respirare l'aria peggiore, così come non sono i paesi più ricchi a veder deteriorare la propria salute. Se consideriamo il PM10, la media globale nel periodo 2008-2015 è stata di poco meno di 100 milligrammi per metro cubo (la soglia è di 50 µg/m3), con aree come il Medio Oriente che hanno sfiorato i 250 microgrammi, in primis Riyhad, Ma' ameer, Doha e Abu Dhabi – e il Sudest Asiatico, Delhi e Dakha in testa. Anche il dato africano salta agli occhi, con una media di 125 milligrammi per metro quadro. Vale la pena sottolineare che si tratta di valori medi di un periodo lungo, derivante dalla raccolta di dati da oltre 3000 città in 103 paesi sparsi nel mondo, finora il lavoro più completo mai pubblicato sul tema.
Con il PM2.5 non va affatto meglio. Solo l'America settentrionale rientra nella soglia di 10 μg/m3, mentre in Medio Oriente si superano i 90 milligrammi fra i paesi più ricchi, nel Sudest Asiatico i 55 milligrammi e in Europa i 20 milligrammi.
Le conseguenze sulla salute in termini sia di mortalità che di incidenza di malattie croniche e dunque di perdita di anni in buona salute sono evidenti e già ampiamente sottolineate sempre dall'OMS in rapporti precedenti a questo. 47 morti su 100 mila nel mondo sono riconducibili all'azione dell'inquinamento dell'aria, fra cui infarti (36% delle morti) malattie cardiovascolari (un altro 36%), malattie polmonari e ai bronchi (22%) e la situazione è particolarmente drammatica nelle regioni del Pacifico e del Sudest Asiatico ma anche in Europa. Fra i paesi ricchi europei – gruppo di cui fa parte anche l'Italia – l'inquinamento dell'aria è responsabile di ben 54 morti su 100 mila. Si perdono infine anche molti anni in salute, quelli che in gergo tecnico si chiamano DALYs (Disability-adjusted life years), quasi 85 mila nel 2012, in particolare per le conseguenze di infarti e malattie cardiache, di cui oltre 15 mila in bambini con meno di 5 anni.