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Quei nove mesi sono decisivi

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Questa recensione ha un obiettivo forse un po’ inconsueto, infatti, si prefigge di dare giustizia a un libro che nella sua traduzione in italiano ha perso molta della visibilità che ha invece ottenuto in lingua originale. Origins. How the nine months before birth shape the rest of our life è stato trasformato in I nove mesi decisivi (Tecniche Nuove Edizioni, 2012). La copertina americana mostra un guscio d’uovo diviso in due metà, quella italiana illustra una donna che avvolge il suo pancione con entrambe le mani mentre lo osserva. Da libro americano su un argomento innovativo a cui la recente ricerca scientifica sta dedicando molta attenzione, nella versione italiana il libro è finito negli scaffali dedicati all’argomento “gravidanza”, aggiungendosi alla letteratura un po’ di nicchia del settore genitorialità.

Merita invece attenzione perché l’autrice, Ann Murphy Paul, è una giovane giornalista americana che si occupa di divulgazione scientifica, scrive saggi e articoli su riviste come il New York Times e Time. In questo saggio racconta (mentre è lei stessa in attesa del secondo figlio) le molteplici osservazioni scientifiche su ciò che il feto “apprende” durante la sua stretta convivenza con la madre. 

Tutto comincia in utero

Convenzionalmente siamo portati a pensare che il momento zero della nostra esistenza sia la nascita, ma, stando a quelle evidenze, sembrerebbe proprio che ci sbagliamo. Quando nasciamo abbiamo già in attivo nel nostro curriculum ben nove mesi di interazione con il mondo, mediati dall'ambiente materno. Questi nove mesi sono cruciali per un fenomeno denominato “programmazione fetale”, ovvero il processo che porta un insieme molto variabile di fattori presenti durante la gestazione a interagire con il feto, esponendolo, una volta nato, alla possibilità di sviluppare alcune caratteristiche o malattie. L’insieme di questi effetti si dispiega in un arco temporale molto lungo, che sfocia nell’età adulta. 

Tempi difficili

Si è cominciato a osservare questo genere di effetti negli studi epidemiologici. David Barker, epidemiologo inglese, si era accorto, circa quarant’anni fa, che nelle zone più povere di Inghilterra e Galles vi era il tasso di mortalità per malattie cardiovascolari più alto della Gran Bretagna. L’incongruenza era sospetta, poiché solitamente questa malattie sono più frequenti nelle popolazioni benestanti, che privilegiano una dieta più ricca associata a una vita più sedentaria. La mortalità della popolazione osservata tra il 1968 e il 1978 risultava più alta per i nati nel periodo tra 1921 e il 1925. Che cosa era successo di particoalre in quegli anni? Le aree rosse di questa moria coincidevano con quelle in cui era stata registrata un’altissima mortalità infantile all’epoca precedente. I nati vivi erano perlopiù sottopeso e il loro organismo si era dovuto confrontare precocemente con la denutrizione in un momento cruciale per la “programmazione” metabolica degli organi. L’autrice intervista proprio Barker, che spiega come in condizioni di scarso apporto nutrizionale entri in atto un meccanismo che cerca di proteggere il cervello, destinandogli più risorse a detrimento però di altri organi. Questa operazione può salvare il feto, ma rischia di presentare il conto più in là nel tempo, una sorta di “difetto di fabbrica” che emerge più tardi. Con un meccanismo simile aumenterebbe anche l’incidenza del diabete di tipo 2 e dell’obesità.

Epigenetica delle catastrofi

Benché avversata per molto tempo, oggi “l’ipotesi di Barker” è stata confermata dagli studi epigenetici sull’interazione fra i geni di un individuo e l'ambiente fisico ma anche social e culturale nel quale si trova a vivere. L’autrice enumera una serie di studi che correlano la salute degli individui alla nutrizione, all'esposizione a sostanze tossiche (fumo, alcol, inquinamento) delle madri durante la gravidanza. Ci sono dati molto interessanti anche sugli esiti da eventi catastrofici, come l’uragano Katrina, l’attacco alle Torri Gemelle, terremoti e altro ancora. In questi casi l'ipotesi è che i disturbi post-traumatici da stress, caratterizzato da sintomi quali ipervigilanza, attacchi di panico, incubi, possano aver lasciato tracce nello sviluppo dei bambini nati in quelle circostanze.  

Il racconto continua, arricchito con molte altre indagini, come la depressione nelle gravide o le conseguenze dell’introduzione dell’ecografia prenatale. Vengono esplorate anche alcune questioni legate al genere sessuale, da un lato nei confronti della diagnosi precoce con l’ecografia, dall’altro nel modo in cui la prevalenza del genere maschile o femminile possa essere correlata ad alcuni fattori esterni, tra i quali l'inquinamento (si pensi all'esposizione ai distruttori endocrini come la diossina) o politiche discriminatorie. 

Quando inziamo a vivere?

E’ certamente un libro adatto a chiunque provi curiosità per l’argomento, magari non per aspiranti mamme troppo ansiose... In ogni caso, il libro ha il merito di spiegare in modo accessibile come la biografia di un individuo possa essere fatta risalire non al momento della nascita ma per certi versi addirittura al concepimento, grazie alla grande scambio di messaggi biologici che si scambiano mamma e feto.


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