Francisco Goya, "Con o senza la ragione", Acquaforte, guazzo, punta secca, bulino e brunitoio. 162 x 223 mm. Da: "I disastri della guerra"
La società del terzo millennio, dominata dalla diffusione di internet e dalla iperconnettività delle relazioni umane, ha reso il confronto e la comunicazione online un “dialogo” quotidiano e ininterrotto, che pervade ogni ambito della società umana e arricchito quotidianamente nel bene e nel male. Secondo i dati di www.wearesocial.com, nel 2016 il 74% degli italiani che sono andati su Facebook ne hanno avuto un uso quotidiano, (contro una media globale del 55%). Gli italiani, inoltre, con l'85% di penetrazione degli smartphone, dimostrano di essere decisamente tra i più propensi al mondo alla fruizione di contenuti sempre più in mobilità. Il nostro Paese si presenta dunque come uno dei luoghi in cui le relazioni e lo scambio di messaggi e di informazioni via web sta diventando costante e sempre più pervasivo.
Un fenomeno che, con una proliferazione delle diverse piattaforme su cui si sviluppa - social networks, blog, chat -, si alimenta a colpi di commenti, like e condivisioni di messaggi non sempre di natura benevola. Un sondaggio di ParoleOstili, community online contro la violenza nelle parole, ha studiato 80 milioni di tweet del 2016 condivisi in Italia, identificando 4 diverse categorie per tweet di amore e altrettante 4 per tweet di rabbia: lo studio ha constatato che lungo lo scorso anno i tweet di rabbia (8,9%) sono stati mediamente superiori a quelli di amore (7,9%).
E' in questo scenario che il Meet Me Tonight di Milano ha voluto organizzare “L'odio in rete”, un incontro con Giovanni Ziccardi, giurista e docente di informatica giuridica all'Università degli Studi di Milano, che nel suo volume “L’odio online. Violenza verbale e ossessioni in rete” ha voluto analizzare le diverse forme di “hate speech” diffuse sul web: dalle espressione di odio razziale, politico, quindi riferite a particolari categorie, fino a offese e comportamenti ossessivi nei confronti di persone singole, come nel caso di molestie o bullismo.
Internet non genera odio
Punto di partenza, che Ziccardi pone come fondamentale, è la consapevolezza che il web non sia un generatore d'odio in sé, quanto un canale attraverso cui espressioni di intolleranza e di violenza, preesistenti a internet, assumono una natura nuova: sfruttando proprio la capacità di internet di veicolare e diffondere informazioni come nessun mezzo prima di esso, si modifica il grado di potenza e di efficacia dell'espressione d'odio e, contemporaneamente, come viene recepita e subita l'offesa da parte della vittima, portando l'hate speech in rete a una esplosione della sua visibilità e della potenzialità del danno.
Sono tre i punti che Ziccardi pone come leve su cui questa evoluzione prende forma:
- la capacità di amplificazione del messaggio
- la persistenza o la permanenza dell'informazione in rete
- la viralità e socializzazione dell'odio
Amplificazione e persistenza dell'odio
Sappiamo bene come Internet rappresenti uno strumento che, in mano a chiunque, permette il raggiungimento di platee inimmaginabili prima del suo avvento. Vi è un amplificazione del messaggio data tanto dalla proliferazione degli oratori come, soprattuto, dalla moltiplicazione esponenziale degli uditori e commentatori sul web. Questo implica la potenzialità di fare arrivare espressioni di odio ovunque, quindi amplificare la platea delle espressioni violente e ossessive destinate, in realtà, a una singola persona. Quello che si genera è un impatto devastante del messaggio nei confronti della vittima, obbligata a rispondere non più a una offesa singola di una sola persona violenta, ma a confrontarsi con un esercito di fomentatori dell'odio.
Inoltre, sul web ogni messaggio pubblicato o condiviso gode della persistenza nel tempo: l'espressione d'odio in rete, come le altre informazioni, rimane per sempre. A differenza dell'offesa nel mondo fisico, che, consumata in pochi minuti e in presenza della vittima, potrebbe essere ritirata dal provocatore se mosso da pietà e compassione, le espressioni violente veicolate via web permangono: lo schermo del pc o dello smartphone, inoltre, costituisce un filtro attraverso cui non traspaiono gli effetti sulla vittima. Questo porta a una reiterazione e una costanza dell'offesa. L'improbabilità di sentimenti di compassione e la persistenza del messaggio sul web, secondo Ziccardi, annullano quello che i giuristi definisco il diritto all'oblio riferito all'odio, ossia la possibilità di rimuovere messaggi quali insulti e diffamazioni diffusi online.
La socializzazione dell'odio e l'effetto disinibitorio
Il terzo vettore che caratterizza la nuova natura dell'odio online è la socializzazione: l'odio diventa improvvisamente condiviso, linkato e fatto circolare in ogni ambito e raggruppa, riunisce e raduna persone che odiano, tutte insieme, un individuo specifico o un gruppo di persone. Questo identifica la natura identitaria dell'odio che, attraverso l'identificazione di una categoria verso cui sprigionarlo, ha come obiettivo quello di definire appartenenze e distinzioni culturali. Proprio per il suo ruolo identitario e per la ricerca di apprezzamento tra i propri “pari”, l'odio in rete non è mai anonimo: l'odio si diffonde sempre con un nome e un cognome.
Piuttosto che l'anonimato, è l'effetto disinibitorio della tecnologia a caratterizzare l'odio online: il filtro dello schermo e la mancanza di una relazione fisica con la vittima permette anche a persone che normalmente non usano un linguaggio d'odio, di veicolare espressioni violente. Nel caso del bullismo femminile, ad esempio, un fenomeno che nel mondo fisico è sempre stato molto inferiore rispetto a quello maschile, l'effetto disinibitorio della tecnologia ha portato a volte alla supremazia del bullismo femminile, in termini di violenza e di diffusione dell'odio, rispetto al bullismo maschile.